Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Repubblica

L'economia e l'arte di usare il tempo

Caro direttore, ho letto con molto interesse l’articolo di Eugenio Scalfari, pubblicato su Repubblica del 28 aprile, sotto il titolo: “Il ministro del Tesoro che compra il tempo”.

Nel titolo e nel testo l’accusa è di quelle potenzialmente terribili: “ magia”! Il negozio sul tempo, cui si allude nel titolo, appartiene in effetti al repertorio economico interdetto. Ma solo fino a Salamanca. Il pensiero economico di Eugenio Scalfari (qui di seguito: S.) pare invece fermo, e come sospeso nell’intervallo temporale tra Aristotele e la prima Scolastica: non si può negoziare il tempo, perché il tempo è un bene di Dio e non degli uomini. È invece da secoli, più o meno dalla scuola di Salamanca (tarda Scolastica, XVI secolo), che questo interdetto è stato superato. L’essenza dell’economia è infatti l’arbitraggio temporale. Senza arbitraggio temporale non c’è tasso di interesse e, in sequenza, non c’è capitale, non c’è investimento per il futuro, non c’è sviluppo. In termini moderni, la logica della politica economica è analoga a quella degli investimenti privati: perseguire e determinare la crescita economica futura e l’equilibrio dei bilanci, attraverso l’utilizzazione quanto più possibile immediata delle risorse potenzialmente disponibili nel presente. Più seriamente: non solo il “negozio” sul tempo è lecito, ma il ministro del Tesoro non ha bisogno di comprare tempo. Per una ragione molto semplice: perché ha tempo. Un tempo politico più che sufficiente.
Per le ragioni che saranno esposte appena qui di seguito, analizzando il testo dell’articolo si S. Un testo sviluppato in 13 punti. 13, un numero poco spinoziano e molto “magico”. Dunque, un terreno su cui dovrei essere naturalmente avvantaggiato. Ringrazio e argomento:
1. Sostiene S.: “… la politica economica del ministro del Tesoro è…liberismo, keynesismo, colbertismo…”. Concordo. Nel tempo presente, e non solo in Italia, la politica economica è infatti e non casualmente, e non irrazionalmente, diversa da quelle classiche, sempre più includendo e sintetizzando, nella logica del “policy mix”, materiali politici diversi, vecchi e nuovi,; nuovi e vecchi, insieme.
2. Sostiene S. che al ministro del Tesoro: “…non giovò la lunga polemica…sul famoso buca…che avrebbe ereditato dal governo precedente”. Posso assicurare che, tra fare una “polemica” e fare una riforma, avrei in assoluto preferito fare una riforma. In specie, avrei preferito partire da subito con la riforma fiscale. Con una specifica conclusiva. Denunziare il “buco” non è stato, e non è, contestare: “i risultati del risanamento finanziario” operato dai governi Amato – Ciampi, fino a Prodi. Ma più oggettivamente prendere atto degli effetti prodotti, dai successivi governi, attraverso un “ciclo elettorale” lunghissimo (2000-2001), in cui c’è stato di tutto (entrate e risparmi inventati o rinviati; eliminazione del ticket, etc), tranne che una reale politica di risanamento! Chi sa cosa è un “ciclo elettorale” non può credere al “furto d’autore”. Per cui proprio quelli cha hanno “rubato” almeno un anno, per cercare di perdere meno voti possibile nelle elezioni, formulano l’accusa che si è perso più di un anno!
3. Sostiene S. che l’azione del governo va valutata: “…dopo un anno di gestione in acque congiunturali non certo favorevoli…”. Concordo e ammetto: c’è stato l’11 settembre.
4.  Sostiene S. che il governo: “…opera in presenza di un vincolo esterno…costituito dalla promesse elettorali… dove qualche scricchiolio si è già manifestato, qualche crepa nella fiducia si è già avvertita…”. Concordo sulla prima, non sulla seconda tesi. Che svela in S. un singolare penchant per la “democrazia dei sondaggi”. Osservo piuttosto che le legislature non sono state inventate per evitare ai cittadini il fastidio di dover votare tutti i giorni, ma perché gli elettori possano giudicare il risultato dei governi che hanno scelto alla fine del loro mandato. Questa è l’assenza della democrazia liberale rappresentativa. Il contratto con gli elettori è davvero un vincolo. Un vincolo di legislatura, assunto con scadenza 2006.
5. Sostiene S. che il ministro: “…si affanna da mesi a cercare di convincere gli operatori che la ripresa è già…in atto, nell’intento di modificare le aspettative del mercato…”. S. pensa che tutto sia “res extensa” e non pare intendere che c’è anche la “res cogitans”. Più in pratica, pare che S. non valuti adeguatamente il ruolo fondamentale che in economia è svolto appunto dalle aspettative. In realtà, tutte le politiche economiche che hanno realmente cambiato le cose sono riuscite, proprio perché hanno compreso il ruolo delle aspettative e le hanno mutate in crescita.
6. Sostiene S., a proposito di risorse, che il ministro: “… rastrella senza scrupoli e con indubbia abilità”. Difficile esprimersi, in positivo od in negativo. Solo un commento: meglio rastrellare sul mercato, che nelle tasche dei cittadini!
7. Sostiene S.: “…il primo rastrellamento lo fece cartolarizzando un grosso lotto di immobili di proprietà dell’Inps e di altri enti pubblici”. “Asset securitization”. Domesticamente: “cartolarizzazione”. Formule misteriche, scarti semantici, equivoci politici. Cerchiamo di essere chiari e semplici:
a) la tecnica della cartolarizzazione è stata importata in Italia e lanciata nel 1999, con la prima grande cartolarizzazione di crediti Inps. Non mi pare che, all’epoca, siano state formulate accuse di “magia”!
b) nella finanziaria per il 2001 erano previste entrate, da cessioni di immobili, per circa 8000 miliardi di lire. A giugno, quando si insedia il nuovo governo, l’operazione è ferma al palo. Con il D.L. n. 351, è stata operata la privatizzazione tramite cessione dei portafogli immobiliari già pre-selezionati dal vecchio governo. La procedura è stata ed è assolutamente coerente con la “best practice” internazionale. E dunque trasparente ed efficiente.
8. Sostiene S.: “… altre operazioni analoghe ma ancor più sofisticate tecnicamente sono state imposte coinvolgendo la Cassa depositi e prestiti… la creatività…”. Strutture identiche, o fortemente analoghe a “Infrastrutture S.p.A.” esistono in Germania (KFW), Francia (CDC), Spagna (ICO), Austria (OKB). L’anomalia italiana non è dunque avere, ma non avere strutture simili. Strutture che consentono la canalizzazione diretta dei flussi finanziari, dal mercato alle infrastrutture. Senza l’intermediazione dello Stato. La missione e la tecnica operativa di “Infrastrutture S.p.A.” saranno totalmente trasparenti e coerenti con lo standard internazionale, con montaggio graduale e nel rispetto necessario di tutti gli “economics”. Importare in Italia uno strumento di questo tipo non presuppone creatività, ma tecnica, visione e contatti internazionali. Spiace davvero che, pur disponendo, e su scala tanto più grande, di tutti questi “intangibile assets”, la sinistra di (al) governo non ci abbia pensato, da sola e per prima. Non solo. C’è anche “Patrimonio S.p.A.”. La ragione di questa scelta è molto semplice. Lo Stato ha un enorme passivo (un debito pubblico circa pari a 1,3 trilioni di euro), collocato sul mercato. Ma, a fronte, ha anche un enorme attivo (circa il doppio del passivo), fuori dal mercato. C’è dunque, nei nostri conti pubblici, una doppia asimmetria: l’attivo è maggiore del passivo; l’attivo è fuori dal mercato. L’attivo non è mai stato sistematicamente valorizzato. Si tratta di esternare valore: soprattutto, flussi strutturati di reddito; solo marginalmente “capital gains”. Questa e solo questa è la missione di “Patrimonio S.p.A.”. Non il “container” societario di tutto il patrimonio pubblico. Ma lo strumento necessario per metterlo progressivamente a reddito. Ipotesi alternativa, come quelle formulate, non da S. ma sa politici dell’opposizione (conferimenti, plusvalenze, imposte interne al circuito pubblico, etc.) svelano solo un deficit di tecnica, maldestramente compensato da un surplus di malignità. Eppure conviene occuparsene, perché sono fuori dalla realtà:  “pauca sed bene confusa sophismata”.
9. Sostiene S.: “…le vittime da spogliare sono in questo caso le fondazioni bancarie…”. È un’ipotesi che sta a zero. Dalla riforma delle fondazioni ex-bancarie deriveranno infatti, e solo, efficienza e trasparenza, tanto per il settore del credito, quanto per il terzo settore. Il vincolo ad investire il 10% in infrastrutture è nella logica del radicamento territoriale delle fondazioni. Non nell’interesse erariale. La riforma delle fondazioni ex-bancarie non serve infatti al bilancio dello Stato. Non ce n’è bisogno! Del resto e giustamente, non è lo stesso S. a sostenere che: “…di liquidità…l’economia italiana e l’economia mondiale dispone in abbondanza in questa fase post-recessione”?
10. Sostiene S.: “la ripresa è ancora incerta… il pareggio non può essere raggiunto nel 2003…gli scenari macroeconomici del 2003 sembrano invece migliori…”. 2003 o 2003? In realtà, un conto sono le previsioni formulate dalle istituzioni economiche nazionali ed internazionali; un conto sono gli obiettivi programmatici che ogni governo ha il dovere di porsi. Finora le revisioni sono venute, e verso l’alto, dagli stessi centri di previsione istituzionali. Tutte le previsioni per il 2003 convengono e consentono, per l’Italia, sul 3% di crescita. Non per caso coincidente con l’obiettivo programmatico del governo. Dopo l’11 settembre è evidente, credo per tutti, che il 2002 è un anno anomalo. Tuttavia, nonostante questo, il governo sta mantenendo, ed è convinto di mantenere, l’equilibrio finanziario, rispettando il patto di stabilità.
11. Sostiene S.: “…il primo vincolo (elettorale) si chiama diminuzione della pressione fiscale…”. Ini tutti i paesi occidentali, le grandi riforme fiscali hanno (avuto) sviluppo graduale e progressivo. Sarà così anche per la riforma fiscale italiana. Una riforma che sarà avviata e dimensionata con la legge finanziaria per il 2003. Conseguentemente, come la riforma fiscale, così il suo “costo”, sarà distribuito su più anni, fino al termine massimo costituito dalla scadenza della legislatura. E sarà perciò sostenibile.
12. Sostiene S.: “… sull’altro lato del fronte arriva al pettine il nodo degli ammortizzatori sociali che la Cgil stima, a regime, pari ad almeno 10 miliardi di euro…”. Due rilievi: prima di stimare il costo degli ammortizzatori sociali se ne dovrebbe definire la tipologia; il costo degli ammortizzatori va tarato in funzione del ciclo economico ed è comunque inferiore, in fase di “start up”.
13. Conclude S. che il ministro del Tesoro: “ … è certamente creativo ma la bacchetta magica non ce l’ha…”. È vero. Ma le parole hanno sempre una loro forza: ragioneria non fa rima con magia, ma deriva da ragione.