Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Ecco perché l'economia può rimbalzare

Per governare non bastano gli slogan, né gli enunciati ideologici o astratti. Non basta il dover essere, al posto dell’essere. Servono invece –e tutte insieme- le idee, la tecnica, la forza politica.

Una visione complessiva. Serve quella che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, chiama la “cultura del fare”. Una cultura che non dovrebbe essere né di destra, né di sinistra. Che tuttavia è rara, nei palazzi del potere. Ecco, la forza di questo Governo sta in larga misura nella sua capacità di “fare”. Si prenda la politica economica. In soli sei mesi il Governo ha realizzato un programma di interventi senza precedenti, che a portato a una profonda modernizzazione delle istituzioni economiche. Il giudizio sulla qualità degli interventi di politica economica elencati nella “matrice” che si sviluppa qui sotto compete, nel tempo, prima agli operatori e poi agli elettori. Non ho titolo soggettivo per valutare la qualità degli interventi catalogati. Tuttavia,  c’è un elemento oggettivo, indiscutibile, che vorrei far notare, costituito dalla quantità degli interventi operati. Raramente (quando?) tanto è stato fatto, in così poco tempo. Una prima considerazione. La radicale riforma delle “istituzioni economiche” del nostro Paese che emerge dalla “matrice” è, tra l’altro, la prova della forza politica propria del Governo, anche rispetto a molti altri importanti partner europei. Non solo abbiamo le elezioni alle spalle; abbiamo anche una straordinaria maggioranza al nostro fianco. E questo non è solo un “asset” politico. È anche un “asset” economico. Un punto di forza del nostro Paese, nello scenario europeo. Il 9 luglio 2001, presentandosi per la prima volta ll’Ecofin, il Mef (ministro dell’Economia e delle Finanze) ha illustrato il programma italiano di politica economica proprio sulla base di questa “matrice”. Lo spirito era quello giusto per l’Europa. Lo spirito proprio del Trattato di Maastricht è infatti quello di rigenerare il Vecchio continente, per rimetterlo in pista, nella competizione globale. Cosa altro vuole dire il parametro del “3 %”, se non, attraverso una strutturale riduzione della spesa pubblica “in deficit”: “meno Stato, più mercato”, “meno Stato, più privato”? Quello che abbiamo presentato era, ed è, esattamente il nostro programma di governo. Non per caso sviluppato sull’asse del tempo, come una precisa, cadenzata e operativa “agenda di Governo”. Ne è venuta fuori, appunto, una radicale modernizzazione delle “istituzioni dell’Economia”, estesa dal mercato del lavoro alla struttura della proprietà industriale, dai fondi pensione alle banche, dalla deregulation alle infrastrutture, alla privatizzazione delle reti. Per 24 volte –tanti sono i provvedimenti elencati e commentati nella “matrice” riprodotta qui sotto- quanto era stato pensato, studiato, programmato nei sei anni passati fuori dal Governo, è stato realizzato nei primi sei mesi di governo. Pur nella varietà degli strumenti legislativi utilizzati e dei tempi parlamentari, tutto è comunque compreso in un unico, concreto, progetto riformatore, senza slogan o prese di posizione ideologiche. Ma, appunto, con una visione complessiva. Con quella “cultura del fare” che non è né di destra né di sinistra. A Bruxelles, il 9 luglio scorso, la “matrice” degli interventi di politica economica era ancora incompleta. Mancava, infatti, e necessariamente, perché si era appena all’inizio, la colonna di destra, la colonna sull’ “avanzamento” lavori. Ora, all’inizio del 2002, la colonna è stata tutta riempita. Ci pare sia una buona base, su cui si può partire, con la ripresa. È la base su cui, di qui in avanti, l’economia italiana può “rimbalzare”, prima e meglio degli altri.