Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Repubblica

Dico no al fascista Le Pen, Bossi è un'altra cosa

Ministro Tremonti , l’Europa è sotto choc per il voto francese. Anche lei? "No, io non sono sotto choc. Sarei choccato se lo considerassi espansivo e pericoloso. La sensazione che mi provoca Le Pen non p paura, ma repulsione”.

ROMA – Perché uno come Le Pen, allora, ha battuto un primo ministro in carica come Jospin?
“Perché ha raccolto i frutti di un patto faustiano. Se firmato da chi? Da Mitterrand. Il fenomeno Le Pen nasce nel 1981, quando il sistema elettorale francese diventa proporzionale. È in quel momento che emerge Le Pen. Fino a quel momento De Gaulle l’aveva esorcizzato. Poi la sinistra fa un patto col diavolo: scambia l’anima per il potere. Oggi ha perso il potere, e non ha più l’anima. La prova è che nelle banlieu oggi una parte del popolo non vota socialista, vota per Le Pen”.
Colpa della concorrenza al centro tra Jospin e Chirac, come sostengono molti analisti del boom dell’astensionismo?
“Cartesianamente, alla francese, noto due dati asimmetrici. La banalizzazione e la radicalizzazione della politica. Emergono specie politiche d’inizio secolo che si credevano estinte, dai trotzkisti ai fascisti”.
E questo la allarma?
“No. Io dichiarai di provare una profonda ripulsa per Haider, e dichiaro ora una profonda ripulsa per Le Pen. Però da qui a trarne la conclusione che corriamo i rischi di tornare all’inizio del secolo scorso io non ci arrivo. Non solo perché la storia non si ripete, o perché la prima volta è tragesia ma la seconda è farsa”.
Perché, allora?
“Perché mancano le masse. Mancano le ideologie. Manca la meccanica. Manca il romanticismo, che forniva il clima culturale. Manca l’arbeiter, il lavoratore: al suo posto oggi c’è il computer. Il mondo è radicalmente diverso. Non c’è più quel tremendo cocktail che ha insanguinato il secolo scorso. I fenomeni politici come Le Pen sono pessimi, ma non possono replicare il fascismo”.
Non sono pericolosi?
“Magari possono essere pericolosissimi, ma non con la meccanica politica che ha prodotto il fascismo. Il consumismo ha superato tutti i vecchi meccanismi ideologici”.
In Francia c’è Le Pen, ma in Italia c’è Bossi. Mi spiega la differenza?
“Semplice. Le Pen è fascista e nazionalista, Bossi è federalista e libertario. Le Pen è lumpenproletariar, Bossi è la piccola impresa con i suoi operai e le loro famiglie. Le Pen è Sud, Bossi è Nord. Le Pen  è antieuropeo, Bossi no. È radicalmente diverso. Quelli vanno a scoperchiare le rombe, mentre la Lega non è mai stata protagonista di un episodio di violenza”.
A parte il versamento della pipì dei maiali nelle moschee.
“Lì non c’era ancora la moschea”.
Dunque non condanna?
“Sì. Ma credo anche che lei non avrebbe mai sfondato o incendiato la porta di una sede della Lega. Cerchiamo di essere equilibrati. In vent’anni di battaglie politiche, non c’è mai stato un episodio di violenza politica attribuitole alla Lega”.
Però c’è la violenza del linguaggio. Ricorda, dopo la Carta di Nizza, le parole di Bossi contro l’Europa “pederasta e stalinista”?
“Io ricordo che la Lega ha funzionato da contenitore democratico di una protesta che altrimenti sarebbe girata sui campanili, come quelli che sono saliti a San Marco. La Lega è molto più democratica e liberale di quanto non venga dipinta”.
Oltre al fenomeno Le Pen, lei cosa vede, guardando dentro il laboratorio politico francese?
“Certamente la crisi della sinistra. Nel 1989, prima ancora che cadesse il Muro di Berlino, io scrissi che stava cominciando la dissoluzione dello Stato-nazione. Non mi pare che nel 1989 questa ipotesi fosse così diffusa, neppure nei circoli culturali più sofisticati. Questo ha colpito soprattutto la sinistra, perché la socialdemocrazia ha come contenitore proprio lo Stato-nazione, e funziona grazie ai meccanismi di deficit. La Terza via è stata una cosa rilevante nell’economia politica della sinistra, un tentativo non effimero di superare questa crisi. Che poi le terze vie portino sfortuna è un altro discorso”.
Dove ha sbagliato, allora, la sinistra?
“Ha adottato un’ideologia con una caratura fortemente internazionalista che si rivolge a una specie di uomo che non c’è, o non c’è ancora: l’uomo a tagli unica”.
Cosa vuol dire?
“L’uomo unificato da un solo codice di consumo che ha dappertutto gli stessi jeans, gli stessi abiti, la stessa musica, lo stesso cibo, la stessa moneta, possibilmente due sessi diversi ma non necessariamente… Non lo vede, che questo è il modello della sinistra?”
Questo è per lei il pensiero socialdemocratico italiano?
“Non parlo solo di Italia. Io dico che al vecchio pensiero, alla vecchia tecnica politica socialdemocratica, si è sostituito questo pensiero postmoderno e tendenzialmente postdemocratico. Sviluppato in assenza di popolo, perché quando si esprime il popolo loro lo bollano subito: “populismo”. È la sinistra della governance, quella che ha sostituito al voto dei cittadini il benchmark delle consulting”.
Le risulta che qualcuno abbia sostenuto questa tesi, nella sinistra italiana?
“Ricordo perfettamente che un ministro diessino, la scorsa legislatura, disse in tv: “Siamo stati legittimati dai mercati finanziari”. Non dimenticherò mai questa frase. Badi bene: non dal mercato ma dalla finanza”.
Poi però arriva un Le Pen  e rompe tutti gli schemi.
“Le Pen si pone tutte le domande giuste, solo che dà le risposte sbagliate. Lo diceva Mitterrand”.
Le Pen ha battuto molto sulla paura degli immigrati. Anche in Italia questo è stato un terreno di scontro, tra centrodestra e centro-sinistra.
“Sì, ma in altri termini. Il problema è che secondo la sinistra della Terza via, la società multirazziale e multiculturale è il modello ottimo che va perseguito  deterministicamente. La baronessa Ruthford dice che noi dobbiamo dimenticare le nostre origini bianche e cristiane, che probabilmente sono una vergogna storica. È un documento ufficiale del Parlamento europeo”.
E invece?
“Invece, se hai un pensiero diverso ti rendi conto che, per esempio, quello dell’immigrazione è un problema drammatico da gestire, con la necessaria umanità, ma pensando a pesi e contrappesi. Per essere chiaro, io non ho nulla contro il cuscus, ma ho molto a favore della pasta. Vede, noi e il centrosinistra siamo diversi. Di fronte al multiculturalismo che arriva, loro vogliono accelerarlo. Per noi, in una prospettiva storica, è necessario ibridare il globale e il locale, anche nel caso dell’Italia, perché l’Italia non ha un’esperienza coloniale, è una società vecchia e fragile, sparsa su cento città. E per quanto sia una società civilissima, se noi diamo in modo indiscriminato le case agli extracomunitari provochiamo reazioni xenofobe. Sia chiaro: dobbiamo dargliele, ma dobbiamo anche stare attenti a come gliele diamo perché altrimenti scateniamo fenomeni di invidia, di risentimento”.
Lei crede che anche in Italia possa esserci, prima o poi, una pulsione radicale di destra?
“Assolutamente no. Non c’è stata, non c’è e non ci sarà. Anche perché ci siamo noi. Basta evitare di fare errori, e noi non facciamo errori”.
Su questo, mezza Italia non la pensa come lei. Ma mi dica: perché l’Europa spaventa tanta gente, per esempio in Francia, spingendola a votare per Le Pen?
“è un certo tipo di Europa che, se viene presentato come modello assoluto, può generare inquietudine. Perché è un meccanismo che standardizza e livella cose che non necessariamente devono essere standardizzate e livellate. La moneta unica non ha creato problemi. Le faccio un esempio di oggi: la bozza di direttiva europea sul possibile abuso di potere nei rapporti di lavoro dentro l’impresa. Siccome chi seleziona i nuovi assunti può abusare della sua posizione dominante per ottenere prestazioni sessuali indebite, l’impresa deve organizzare un sistema di consulenza. Ecco, io dico che non tocca all’Europa risolvere questo tipo di problemi dall’alto. Questo è il parto di un’ideologia “benevolmente burocratica”, politically correct”.
Lei ha detto che non serve riscrivere la carta dei diritti, perché c’è già la Carta di Roma del 1950. Ma in quella carta c’è anche la pena di morte, la detenzione per i vagabondi, gli alcolizzati e i tossicomani. Sui diritti civili è un documento datato…
“Lo è a tal punto che un Parlamento che non mi pare ancora illiberale come quello di Westminster l’ha importato come modello costituzionale. Poi si può migliorare, ma è la base su cui la Corte di giustizia di Strasburgo dice diritto in tutta Europa. E francamente non mi pare che un documento burocratico come la Carta di Nizza sia un progresso, visto che prevede i diritti obbligatori che mi pare fossero presenti nella Costituzione di Stalin”.
Dopo Laeken, lei disse che si era discusso della famiglia orizzontale dipingendo “un affresco sociale che includeva i sindacati, i corpi intermedi, tutto ciò che era meritevole per le zitelle del Nord, l’universo politically correct, mentre le chiese erano finite negli etcetera”.  È questo il segno dell’omologazione burocratica che la preoccupa?
“Le direttive soddisfano l’ansia benevola del politically correct: ti spiego io come ti devi comportare:  alimentano il meccano mentale della burocrazia, perché produrre una direttiva è il coronamento di una carriera. E sono anche pane per le lobbies, che con le direttive spostano quote di mercato. La sinistra ha perso perché non ha tentato di parlare con l’elettorato che c’è. Ha tentato di parlare con l’elettorato che non c’è. Poi urlano se in quel vuoto si infila un trotzkista o un Le Pen”.