Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Famiglia Cristiana

«Abbiamo fatto i conti, ora viene il bello»

Il ministro dell’Economia rinnova le promesse. I bilanci sono a posto, la crisi sta finendo: entro la fine della legislatura completeremo la riforma fiscale. E sul lavoro...

Alla fiera degli slogan il ministro dell’Economia Giulio Tremonti viene accreditato come il più thatcheriano dei ministri del Governo Berlusconi, il super liberista che chiede maggiore flessibilità del lavoro e non vedrebbe male un certo ridimensionamento del potere sindacale.

Nella realtà il professor Tremonti è uno dei ministri più atipici e indefinibili, anche politicamente, della storia repubblicana: «Credo di essere uno dei pochi che ha conosciuto la Thatcher, però non sono stato, non sono e non sarò thatcheriano», precisa pignolo in questa intervista a Famiglia Cristiana, «conosco il mercato, credo, come pochi, ma proprio per questo riesco a evitarne gli eccessi. La proposta a cui tengo di più è la cosiddetta de-tax, che è l’alternativa democratica alla Tobin tax. Questo dà l’idea del profilo morale dell’azione politica».

Al professor Giulio Tremonti la conoscenza dei meccanismi finanziari del resto non manca; oltre alla de-tax, che è un sistema efficace per finanziare la lotta al sottosviluppo, l’attuale ministro dell’Economia è anche l’inventore dell’8 per mille, il congegno che realizza in modo semplice e poco burocratico il finanziamento della Chiesa italiana. Ma il Primo Maggio incombe e i lavoratori, seccati dalla volontà del Governo di abolire l’articolo 18, anche se in una serie di casi limitati e senza intaccare i diritti acquisiti, non vedono nel ministro dell’Economia uno di quelli la cui santità, per così dire, è chiarissima.

- Perché il Governo insiste su questa posizione?
«Il discorso del lavoro è molto semplice, il problema non è di abbassare il livello delle garanzie, ma di spostare l’asse delle garanzie dall’impresa alle società. In un sistema economico classico le garanzie le fornisce la grande impresa. Il contratto collettivo, lo Statuto dei lavoratori, la cassa integrazione per intenderci. Questa è una struttura economica che c’è e deve restare, è sociale, è legale e nessuno la vuole smantellare. Il problema nasce dove questo meccanismo non funziona più. È qui che all’imprenditore, che altrimenti non assume o fallisce, deve subentrare la società. Il posto di lavoro, in molti casi, non te lo può dare e garantire il singolo imprenditore, magari con 16 dipendenti; te lo deve dare la società. È questo lo spirito di Barcellona al quale abbiamo contribuito fortemente. Ho sentito definire Barcellona come sfrenatamente liberista, in realtà quel documento è stato sottoscritto da tutta la leadership socialista o socialdemocratica, cioè Jospin, Blair, Schröder e Prodi con cui abbiamo lavorato. Non solo, noi siamo pronti a fare la nostra parte con una riforma fiscale che parte dai più deboli e con il rafforzamento degli ammortizzatori sociali».

- E tuttavia, signor ministro, lo scontro sociale c’è e forse il Governo ha fatto l’errore di trasformare una questione da discutere in una battaglia ideologica contro il sindacato...
«Francamente non credo che ci siano stati errori da parte del Governo. Se vede le proposte di D’Alema, della Cisl e della Uil non le trova dissimili dalle nostre. Credo che alla normale dialettica si sono sovrapposti elementi estranei, alcuni incontrollabili».

- Professor Tremonti, l’opposizione vi incalza, dice che non avete mantenuto la promessa di abbassare le tasse, che risponde?
«Mi permetta di dissentire. Innanzitutto abbiamo aumentato le detrazioni per i figli fino a un milione, e mantenuto l’impegno di aumentare le pensioni minime fino a un milione. Non era mai successo. Comunque l’azione di un Governo non si giudica dopo appena otto mesi. All’opposizione vorrei ricordare che ci hanno lasciato i conti pubblici con un buco di 37 mila miliardi al termine di due anni di ciclo elettorale, durante i quali, si sa, abbondano regali e voci di entrate che poi si rivelano inesistenti. Hanno persino detto che mi sono inventato un buco che non c’era da nessuna parte, ma i fatti mi hanno dato ragione, e in ogni caso vorrei dire a chiare lettere che avrei preferito avviare subito la riforma fiscale piuttosto che essere costretto a grosse correzioni di bilancio per tagliare le spese. Il processo di risistemazione dei conti è ancora in atto anche se a buon punto. Ora siamo a ridosso della ripresa economica, nelle condizioni di programmare l’avvio della riforma fiscale a partire dalla prossima legge finanziaria».

- È possibile sapere entro quale arco di tempo sarà portata a termine la riforma fiscale?
«Ripeto: partirà dal 2003; alla fine della legislatura sarà completata. Noi siamo convinti di farcela, ma ripeto: sarà graduata entro questo arco di tempo tenendo conto di tutte le variabili; una cosa infatti è programmare un taglio di imposte senza un potenziamento degli ammortizzatori sociali, un’altra è farlo dovendo risolvere quest’ultimo problema».

- Le famiglie italiane cosa debbono aspettarsi per l’anno prossimo?
«Sicuramente una riduzione dell’Irpef a partire dai redditi più bassi».

- Lei afferma che avremo un aumento del Pil e cioè dello sviluppo, pari al 2,4%. Mentre lo stesso Fondo monetario non stima più dell’1,4%. Che è una percentuale bassa per far partire la riforma fiscale, non crede?
«Gli istituti fanno previsioni, i Governi ragionano per obiettivi. L’importante è fare i conti alla fine. Aggiungo che nelle previsioni c’è una volatilità molto alta, come fa notare spesso il Governatore della Banca d’Italia Fazio. Siamo convinti che i nostri obiettivi siano estremamente ragionevoli. Certo l’11 settembre non stava in nessun modello econometrico, a dimostrazione che la vita non è un grafico, non è fatta solo di numeri, ma di passioni, sentimenti, fede...».

- E che ne dice di questo federalismo che rischia di toglierci con le tasse locali quello che lei dà a livello nazionale, se non addirittura farci pagare di più?
«I benefìci fiscali che gli italiani avranno dalla mia riforma saranno maggiori degli eventuali aggravi derivanti dalle imposizioni locali. In ogni caso, ciò che lei dice è il risultato del caos voluto dal Centrosinistra, che ha voluto mettere insieme la riforma Bassanini ispirata al decentramento e una sorta di federalismo ottenuto cambiando a maggioranza la Costituzione. Il risultato è quel pasticcio che è sotto gli occhi di tutti. Con questo congegno abbiamo tutti i difetti dei vari sistemi senza un pregio».

- Si dice che il Governo deve svoltare se vuole realizzare i suoi obiettivi...
«Le critiche e le parole... Se vede il bilancio di questo primo anno di attività del Governo si accorgerà che mai nella storia italiana è stato fatto tanto in così poco tempo. La legge sul contratto di lavoro a tempo determinato, la legge sulle infrastrutture, i fondi immobiliari, il mercato dei capitali, la detassazione degli utili, la nuova legge societaria, il patto di stabilità con le Regioni, la possibilità data ai Comuni di scindere la proprietà dalla gestione delle reti di servizio, le fondazioni bancarie... Questa è la svolta».

- I cattolici non condividono la sua proposta sulle fondazioni bancarie...
«Nelle vecchie fondazioni ci si occupava più di affari, di banche, di assicurazioni, di nomine che di terzo settore, solidarietà o cultura. Ogni tanto si faceva della carità o del mecenatismo. Ma in modo poco trasparente e poco controllato. Con la riforma le fondazioni escono dalle banche, si concentrano sulla loro missione di solidarietà e cultura, lo fanno in modo più efficiente e più trasparente. Chi vuole fare il mercato fa il mercato, chi vuole fare solidarietà fa solidarietà».