Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Padania

"Un'Europa fatta dai popoli"

Ministro Tremonti, l’abbiamo vista a “Porta a Porta” spiegare l’imminente ingresso nella nostra vita della moneta unica europea.

Eppure “l’Euro” arriva in una fase storica ben diversa da come si era immaginata al tempo dei trattari. O no? “Certo, la moneta unica arriva dal primo gennaio, ed è un bene, ma forse, mai come oggi, si può comprendere che lo scenario in cui entra in vigore è profondamente cambiato. E che quel “modello unico” di stampo tecnocratico non è poi così ineluttabile come ci era stato presentato. Mai come oggi si avverte che l’Europa non è una moneta…”
Detta dal ministro del Tesoro, quest’ultima è un’affermazione sicuramente impegnativa. Anche se ci pare di capire che la vera questione sul tappeto è il processo di formazione dell’Europa.
“Appunto. Un processo storico che ha già vissuto due fasi. La prima, quella eroica, dell’idea europea che ha consumato decenni per diventare patrimonio collettivo. La seconda, quella economica, che si è dipanata sul mercato comune e sulla costruzione della moneta. Ma quando comincia la terza, e cioè la fase politica, che è necessaria, non si può commettere l’errore di fare una Costituzione nello stesso modo con il quale si è fatta una moneta”.
A proposito di moneta, perché sull’euro compaiono infrastrutture, viadotti e ponti e non c’è mai (tranne che per l’eccezione vaticana) una faccia, una persona. Come se non ci fosse un’anima europea?
“Avrei preferito anch’io vedere artisti, poeti, musicisti, insomma una cultura. Ma ormai è così e ce li teniamo così. Semmai è il frutto anche simbolico di un “dispotismo illuminato” (spesso più “dispotico” e meno “illuminato”) che ha contrassegnato un’intera stagione politica”.
Era la fase storica che si pensava appunto “ineluttabile”?
“Proprio quella. Quando si riteneva che la democrazia elettiva fosse una realtà ormai superata. E che il primato della tecnocrazia veniva (e viene tuttora) sostenuto da una dottrina post-moderna e neo-fascista dove spiccavano i saggi sulla “governance” di Giuliano Amato, (ma non solo lui), secondo i quali il “bench-mark” (la valutazione di riferimento) sui servizi alla società non dovessero provenire dai cittadini utenti ma dalle aziende di consulting…Secondo poi un modello non lineare, ma geroglifico, riservato a che è in grado di decrittarlo e che prescinde totalmente dai popoli…”
Eppure il rischio di una dottrina “post-moderna e neo-fascista”, per usare la sua espressione, si scontra con la una realtà in forte cambiamento. Non è allora una condanna fatale?
“Niente affatto. Nell’ultimo anno molti fattori stanno dimostrando che è in atto un’inversione di tendenza che sembra rispondere al “pendolo della Storia”. La nostra vittoria politica in Italia è stata il primo passaggio significativo. È ormai sepolta la Terza Via ulivista, in Europa soffia un vento diverso. Pensi, ultima, alla Danimarca che ha cambiato maggioranza dopo settant’anni…E poi c’è stato l’11 settembre…”
Un processo storico che appunto l’11 settembre ha contribuito ad accelerare…
“Sì, ma i cambiamenti non sono un “Big Bang”. Sono anche determinati da una serie continua di atti politici scelti e attuati. Alcuni con una cifra simbolica alta, altri meno, ma tutti orientati in una direzione chiara. Una legge sugli asili-nido, la scelta economica e politica per la famiglia, i provvedimenti sull’immigrazione… E aggiungo, ad esempio, l’ipotesi (che potremmo mettere in Finanziaria) sulle Fondazioni, che siano sempre meno bancarie e sempre più Fondazioni…”
Tutti cambiamenti che avranno il loro effetto nella società e che indicano una strategia di governo determinata. Ma come si armonizza questo cammino con le nuove scadenze europee?
“è qui che la scelta deve essere chiara. La sfida del nuovo che è in atto è appunto quella di evitare il “Male di Nizza”.
Un anno fa a Nizza, lo ricordiamo per i lettori, il processo europeo si incartò sia sulla “Carta dei Diritti” sia sui numeri dell’allargamento, sia sul bilancino delle rappresentanze. Adesso si parla della Convenzione per la Costituzione Europea. Che ne pensa?
“Qui torniamo appunto alla determinazione di evitare “il Male di Nizza”. Una costituzione, lo ripeto, non la si può fare come si fa una moneta. Non la si fa con il computer, con i modelli a tavolino, con il voto ponderato… L’unico metodo per la Convenzione è il voto popolare, il metodo democratico. La costituzione europea non fa parte, non può far parte degli “arcana imperii”. O c’entrano i popoli oppure…”
Oppure, che pericolo intravede, onorevole Tremonti?
“Il rischio è che si interpreti la futura convenzione come il Congresso di Vienna del 1815.  Ovvero dove si riuniscono i rappresentanti dei capi di Stato senza alcuna partecipazione dei popoli e dei parlamenti…”
Ma, ammesso che si riesca a costruire una partecipazione democratica, ci sarà poi l’oggetto costituzionale  del contendere, e cioè quale modello di Europa. E non esiste un’unica alternativa?
“Senta, ormai è evidente che servirà un’estrema chiarezza nella scelta. E che la dialettica è sostanzialmente ristretta a due opzioni sostanziali. Per farci capire è la stessa dialettica che fa scegliere tra repubblica o monarchia. In questo caso la prima è l’unione degli Stati, secondo la linea già intravista da Giscard d’Estaing e Delors; la seconda è l’ipotesi del Superstato europeo, quello delineato da Fischer a Humboldt…”.
Non è difficile intuire che, nonostante le forti spinte (anche mediatiche) verso la “monarchia”, la netta preferenza sua, della Lega, della maggioranza di governo sia indirizzata verso la “repubblica”, ovvero il modello della “Unione degli Stati”.
“Non sbaglia. Anche perché è il risultato di un cambiamento di metodo. E cioè il passaggio dal Trattato (com’è stato finora, moneta compresa) alla Costituzione, che è un lavoro di democrazia. E comunque la scelta dell’unione degli Stati presuppone uno sviluppo positivo (che il Superstato non ha) verso un modello politico del futuro”:
In che senso? Ci faccia comprendere…
“Nel senso che lo Stato-nazione si dimostra chiaramente troppo piccolo nei confronti di fenomeni grandi e parimenti troppo grande verso fenomeni piccoli…”
E quindi?
“E quindi comporterà naturalmente un processo di “doppia devoluzione”. Vero l’alto e cioè nei confronti dell’Unione per pochissime materie (in latino “pauca”) e verso il basso e cioè le regioni e le autonomie delle competenze esclusive (le “multa”). In un meccanismo agevole di distribuzione di ruoli e poteri all’insegna dell’efficacia e della democrazia.”.
La “doppia devoluzione” ha un indubbio fascino, almeno per questo giornale. Però resta in sospeso la domanda più che legittima a chi, come Bossi o come Lei, si è sempre definito “federalista”. Perché questo ruolo così importante attribuito ancora agli Stati-Nazione?
“Viviamo nello storia. E la storia ci dice che esistono (anche oggi) Stati senza democrazia; ma non è mai esistita una democrazia senza Stati. In altre parole, si mi passate un’immagine astronomica. La Stato-Nazione è come una lontana stella che si è già spenta, ma continua ancora  a mostrare la sua luce. Non sappiamo che la stella è spenta , ma la sua luce che arriva ancora serve a illuminare il percorso di riforma da compiere e a far vedere gli ostacoli (tanti) sparsi sul cammino. Meglio usare fino in fondo di quella luce, finchè c’è. Perché l’alternativa sarebbe solo il buio di una tecnocrazia irresponsabile”.