Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

Tremonti contro l'EUROretorica

Ministro Tremonti, parliamo dell’euro? “Volentieri. Ma non al tempo presente; al “futuro anteriore”. Non vorrei parlare di moneta, ma di Costituzione. Non di economia, ma di politica. Ho qualche ritrosia a mettermi su una strada che pare la via delle maschere di Lévy-Strauss, frequentata da primati con le insegne, guaritori, sciamani, taumaturghi, bancari”.

L’Europa è di fronte a una svolta storica, che giunge al termine di n anno drammatico. Non trova normale che venga celebrata?
“In effetti la liturgia viene celebrata, con saggi che occupano metri quadrati di giornale, e la materia è trattata nella forma della simbologia salvifica: l’euro come un supertalismano. Segno peculiare è l’idea che l’euro porti la pace, la “finis belli”. Ma le guerre finiscono con il prevalere del consumismo sul romanticismo: dove consumismo non è solo McDonald’s e romanticismo non è gentil comportamento, bensì l’infernale cocktail di stati maggiori, inni, patrie e divise che ha insanguinato l’Europa. Trovo un po’ eccessiva l’idea di Kohl secondo cui l’euro porta la pace; la pace la portano la fine delle masse, la fine del romanticismo, la fine delle “tempeste d’acciaio”. La pace in Europa c’era già con il Mec, quasi mezzo secolo prima dell’euro. Al posto dell’Arbeiter c’è il Computer. Siamo nello Zeitgeist, nello spirito dei tempi. Una cosa che mi impressiona è che quelli che parlano dell’euro in questi giorni hanno tutti più di sessant’anni…”.
 Be’, lei va per i cinquantacinque…
“Certo. Ma quand’ero un po’ più giovane, nel bicentenario della Rivoluzione francese, scrissi sul Corriere della Sera che, come il 1789 aveva segnato la costruzione della macchina politica giacobina, così il 1989 avrebbe segnato la fine di quella macchina. La crisi dello Stato nazione. Eravamo a luglio, prima del crollo del Muro”.
L’euro segna il culmine di un processo di desovranizzazione che ha disinnescato i nazionalismi. È un processo che deve proseguire?
“Parlai di desovranizzazione, e mi accusarono di volerla. Ora la Costituzione europea non deve distruggere sovranità, ma organizzare funzioni. L’Europa ha impiegato tre secoli, dalla pace di Westfalia alla seconda guerra mondiale, a equilibrare l’idea di sovranità. Incidere su quell’equilibrio sarebbe un rischio. Temo la piena della retorica e dell’enfasi, perché conduce all’insufficienza per eccesso”.
La sua freddezza sembra comfermare due critiche rivolte da più parti al centrodestra: scetticismo verso l’Europa, e mancanza di generosità verso il centrosinistra. Dopo le riforme di scuola e sanità, metterete in discussione anche l’euro?
“Le ricordo che l’euro nasce a cavallo tra gli Anni 80 e 90, con governi conservatori. Nel ’94 ho firmato una finanziaria da 50 mila miliardi in nome dell’euro: la seconda manovra per entità dopo quella di Prodi nel ’96, anzi la prima; perché i nostri tagli erano veri. Tra luglio e settembre ho firmato una correzione finanziaria di 37 mila miliardi –altro che polemiche su buco o non buco-, in nome del patto di stabilità. E, a proposito di destra impresentabile, all’Ecofin mi trovo benissimo”.
è anche disposto a riconoscere i meriti del centrosinistra per l’ingresso dell’Italia nella moneta unica?
“Sarebbe sleale negare che la sinistra abbia avuto un ruolo. Intendiamoci: non è che l’Italia ha fatto il 3 per cento, quindi è entrata nell’euro; è stata compiuta la scelta politica di far entrare l’Italia nell’euro, e per questo l’Italia ha fatto il 3 per cento. I conti pubblici italiani erano fortemente migliorati a causa della caduta mondiale dei saggi di interesse. La scelta di inclusione nell’euro causò l’ulteriore caduta dello “spread” negativo sulla lira; perché si è capito che la lira non c’era più”.
Chi fece quella scelta?
“Hanno contato fattori interni ed esterni. La credibilità di Ciampi. La volontà dei tedeschi. E un establishment italiano che ha condotto il dialogo tra interno ed esterno. La partita iniziò durante il governo Dini, quando si comprese che l’Europa a due velocità con l’Italia in orbita esterna non avrebbe potuto funzionare, perché presupponeva la stabilità”.
E in Italia c’era la Lega…
“Il mancato ingresso nell’euro avrebbe provocato in alternativa la secessione o comunque una forte scossa federalista, una crisi di stabilità”.
Invece vinse l’Ulivo, e fece una politica europeista.
“La sinistra preparava una Costituzione su questa formula basica: la tecnocrazia è la prosecuzione della democrazia con altri mezzi. Era disposta a sostituire la triade rivoluzionaria liberté-egalité-fraternité con globalité-marchais-monnaie. Aveva fatto del mercato il valore assoluto. Anziché a Mosca andava alla City; ricorda quel leader dell’Ulivo che in tv disse: sono stato legittimato dai mercati finanziari? Aveva creato un meccanismo per cui il legislativo cedeva all’esecutivo, e l’esecutivo alla tecnocrazia; il prcesso di ritorno al legislativo poteva avvenire in questi termini solo per obbligatoria acclamazione, tipo Carta di Nizza. La loro Costituzione stava nascendo in modo strisciante, per “fais accomplis”, fatti compiuti: al parlamento non sarebbe restato che ratificare. Le faccio un esempio. A Laeken si è discusso della famiglia orizzontale, della standardizzazione del diritto di famiglia. Se non l’avessimo fermata ci saremmo trovati di fronte a un obbligo assunto. E l’affresco sociale includeva i sindacati, i corpi intermedi, tutto ciò che era meritevole per le zitelle del Nord, l’universo politically correct; le chiese erano finite negli etcetera. All’Ecofin di Liegi si è discusso per un’intera mattina se la fiscalizzazione delle polizze nel trasporto aereo rientrasse o no negli aiuti di Stato. La preoccupazione era difendere il libero mercato. Sono intervenuto per far notare che gli Stati Uniti già aiutano le loro compagnie; che se c’è un business globale sono le aerolinee, ce c’è un bene pubblico è la pace; per questo è giusto che i costi della pace e della sicurezza competano allo Stato. Mi hanno ascoltato con viva simpatia; complimenti a titolo personale; ma la discussione è continuata come prima”.
Questo rifiuto del dogmatismo di mercato non dovrebbe riguardare anche il patto di stabilità, in una fase in cui Washington persegue una politica economica espansiva?
“Di queste cose non si parla sui giornali; si decide tutti insieme. Comunque, quello era il meccanismo; è stato straordinario scoprirlo. Ora si è inceppato”.
Perché?
“Per due motivi. Le vittorie del centrodestra, da Vienna a Lisbona, da Roma a Copenaghen. E l’11 settembre. Le racconto un episodio. Washington, G-7, la notte prima dell’attacco all’Afghanistan. Alla sera, quando si fanno i discorsi veri, un grande dell’economia mondiale si chiede: “Perché non accettano la globalizzazione?”; poi, più profondo: “Dove abbiamo sbagliato? Education? Agriculture?”. Si è capito che l’umanità non si riduce in un grafico, l’uomo non è il pil; che la globalizzazione in atto è virus, passioni, interessi, ideali, sentimenti; che politica e globalizzazione sono due facce della stessa medaglia. Quando il commissario Monti dice che il governo italiano ha un rapporto adolescenziale con l’Europa, non coglie il dato fondamentale. Il trapasso non è tra adolescenza e maturità; è tra economia e politica. e non riguarda il governo Berlusconi; riguarda l’Europa”.
Sta dicendo che finisce l’Europa della tecnocrazia e comincia l’Europa della politica?
“Ci sono tre fasi della storia dell’Europa: quella eroica, che parte dal manifesto di Ventotene; quella economica, che si chiude con l’euro; e quella politica, che si apre oggi. L’euro è stato necessario, ma non è sufficiente. A lungo c’era stata l’illusione che fosse diverso, che cifra monetaria e cifra politica si identificassero in un unico segno. Non è così. I popoli rifiutano il pensiero postmoderno e neofascista secondo cui la tecnocrazia è con altri mezzi la prosecuzione della politica, il benchmark espresso da un consulting vale più del voto espresso dai cittadini, la governance la fanno meglio i non eletti degli eletti, i cooptati contano più dei votati, ed anzi questi meno per il solo fatto che sono stati sporcati dal voto. Tutto ciò è molto moderno, anzi aristotelico. Secondo Aristotele la democrazia non funzionava perché distribuiva cose eguali a persone diseguali”.
Non sta esagerando?
“Vada a rivedersi le analogie tra la Convenzione, così come se ne parlò a Nizza, e il Congresso di Vienna: i rappresentanti personali di capi di Stato e di governo, i tecnocrati illuminati… Ora si torna a parlare di democrazia. Di Costituzione. Il tempo politico del modello Fischer-Humboldt ha cominciato a sgretolarsi”.
E siamo a Giscard.
“Ottimo. Una grande scelta. Non conosco invece il peso dei vicepresidenti non previsti”.
Non ha fiducia in Amato?
“Ha già dato molto con il titolo V della Costituzione italiana, cui ha conferito una configurazione geroglifica. Purtroppo l’impatto della sua riforma non riguarda solo l’arabesco, ma la politica. E rischia di produrre l’implosione dello Stato italiano”.
Quale modello di Europa ha in mente il governo?
“Quello Giscard-Delors. Unione degli Stati con doppia devoluzione, verso l’alto e verso il basso. Un nucleo essenziale: ex multis pauca. L’Europa non ha bisogno che siano fissati diritti, che sono già garantiti dalla Carta europea dei diritti dell’uomo, siglata mezzo secolo fa a Roma. L’Europa ha bisogno di fissare poteri e funzioni. Conta individuare il soggetto da cui partire; che dev’essere lo Stato nazione, perché è il container della democrazia. Conosciamo Stati senza democrazia, non ancora democrazie senza Stato”.
Intende dire che lei non è contro l’Europa, ma contro l’idea di Europa fin qui perseguita?
“Proprio perché siamo per l’Europa non ne vogliamo la paralisi. Vede, l’idea di Europa era una delle più vissute e discusse nel collegio di Pavia in cui ho studiato. Ora siamo di fronte a un’alternativa paragonabile al referendum su monarchia e repubblica. Dobbiamo scegliere se vogliamo un’unione di Stati, o qualcosa di diverso, che non ha alcun senso accostare al Sacro romano impero. Ha mai fatto caso che le bandiere occidentali sono geometriche, e quelle orientali geroglifiche, bastate sulle circonvoluzioni? Dobbiamo scegliere tra il modello cartesiano e il rischio di pantografare il titolo V della Costituzione riscritto dalla sinistra. Proprio per fare l’Europa, la formula è unione su Stati; non cessione di sovranità, ma organizzazione di funzioni; non tutto l’immaginario, ma il massimo possibile. Ex multis pauca”.