Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Italia, la forza del nuovo Terzo Stato

Giulio Tremonti, superministro dell'Economia designato da Berlusconi, spiega: il Cavaliere e Bossi sono l'anima politica naturale del blocco non stalinista - "Lanciato lo sviluppo, ridurremo le tasse".

Se gli chiedi come ha fatto a mettere d’accordo Berlusconi e Bossi , Giulio Tremonti si schermisce. “Non credo alla politica antropomorfa, alle pulsioni dei singoli, in questo sono marxista” butta lì di getto. La data delle elezioni non è stata ancora fissata e la Casa delle Libertà, per ora, ha vinto solo nei sondaggi. Ma ha già un “superministro dell’economia” designato da Silvio Berlusconi in persona che si professa, a suo modo, “marxista” e invoca la “forza della storia”. Tremonti Giulio, deputato valtellinese, ex ministro delle Finanze, non ha dubbi: “C’erano i fondamentali, erano già tutti a posto. Anche il vento dell’Europa spingeva in questa direzione”.
Addirittura.
Guardi, tutte le società europee sono la sintesi di sue blocchi contrapposti. Il primo è quello statalista e tiene insieme apparati pubblici, grande industria, sindacato, mille burocrazie. Il secondo è composto da artigiani, commercianti, piccole imprese, professionisti, dalle loro famiglie e, cosa assolutamente innovativa, dai loro operai. In Europa, ma soprattutto in Italia, non solo il lavoratore è uscito dalla fabbrica, è finito anche il conflitto di classe.
Che cosa c’entra tutto ciò con i fondamentali di Berlusconi e Bossi?
Sono l’anima politica naturale del blocco italiano non statalista. Un blocco molto particolare perché rappresenta un gigante economico –vale il 60% del Pil- e un gigante sociale- la maggioranza della popolazione –ma è stato fino a oggi un nano politico proprio a causa delle divisioni tra Lega e Polo. Capisce ora, in che senso parlavo di marxismo?
La forza degli interessi, il primato dello storicismo…
Berlusconi e Bossi hanno un idem sentire, sono i referenti di un ceto economico e sociale che avverte l’esigenza di un comune meccanismo di rappresentanza. Con loro piccola e media borghesia, forza produttive e classe operaia si sommano in un nuovo Terzo stato italiano. Erano e sono “condannati” dalla storia a stare insieme.
Non c’entra, per caso, anche un accordo segreto che punta a ridurre all’1% del Pil il patto di solidarietà tra Nord e Sud del Paese?
E' la prima volta che ne sento parlare, nulla di più sballato. Ma domando chi possa mettere in circolazioni simili fandonie. A proposito di fandonie, il ministro Loiero mi attribuisce l’idea che alcune Regioni sindachino l’uso delle risorse fatto da altre.  Niente di più falso.
Decentramento, devolution, federalismo: regna l’incertezza. Ciò che emerge, però, è la forte spinta di Lega e Regioni del Nord a usare in proprio la leva fiscale. Non è pericoloso ridurre il federalismo solo a una questione di tasse?
Un federalismo solo fiscale non esiste. Il nostro obiettivo è la devoluzione che significa due cose. Trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni e apertura al mercato della produzione di servizi alle persone.
In tutti i campi?
Pensiamo di partire da scuola e sanità. La legge dello Stato definisce i principi, ma la Regione ha un crescente potere nella organizzazione di questi servizi. Scelga liberamente i provider: privati o pubblici. Faccio notare che la devoluzione è già nella Costituzione: l’articolo 117 prevede l’ampliamento delle competenze regionali con legge costituzionale. La devoluzione non è una riforma della Costituzione del 1948, è all’opposto la sua applicazione.
Nel frattempo, intorno ai municipi, si sta cementando una specie particolarissima di nuova razza padrona che alimenta i suoi disegni espansionistici con la rendita dei monopoli locali…
Lasciamo perdere il folklore. La sostanza del problema è smobilizzare direttamente gli asset (in questo caso il Comune esce da tutto) oppure conserva la proprietà municipale della rete e privatizzare il servizio. Sono due modelli ugualmente accettabili. Tocca ai singoli Comuni decidere, rispetto le loro scelte. La privatizzazione della gestione è, comunque, il minimo indispensabile. Come vede: il federalismo non si esaurisce nel fisco, faremo che senza fisco non c’è federalismo.
Il Paese è spaccato in due nel reddito e nel lavoro. Che cosa ribatte a chi teme il classico federalismo all’italiana, vale a dire più soldi ai ricchi e più povertà ai poveri?
Per fortuna, la stagione delle grandi rivendicazioni di fondi pubblici al Sud è finita. È un dato di fatto che i flussi di spesa clientelari del passato sono interrotti, la politica del debito pubblico e dell’elemosina è morta. C’è ora la grande occasione dei fondi europei. Siamo tutti convinti che il Mezzogiorno è penalizzato dal fatto di essere remoto e non è un caso che la proposta di legge-obiettivo per le infrastrutture è firmata da Bossi Umberto. Raddoppio dell’Autosole, riqualificazione dell’autostrada fino a Reggio Calabria, ponte di Messina, sono tre priorità assolute. L’idea-guida non è quella di dividere l’esistente, ma di lanciarci insieme sul futuro. Da Roma oggi non arrivano più aiuti, ma solo vincoli.
Chi l’ha detto? Le Italie sono sempre due: Formigoni vuole il bonus scolastico per i ricchi a Milano; Fitto è costretto a rispedire al mittente l’assegno per i lavori sociali in Puglia…
Il dato politico del ragionamento è che il federalismo significa apertura dei territori e, quindi, rappresenta un’occasione di crescita per tutti. Per il Sud l’apertura è ancora più importante. Sia chiaro, però, la parola sviluppo viene prima, si parte dalla realtà per arrivare alle tasse. Lo abbiamo sempre detto: se c’è sviluppo, potremo finanziare la riduzione della pressione fiscale in una misura tollerabile. Il nostro federalismo è la ricchezza futura.
Il duello all’ultimo sconto fiscale tra Polo e Centro-Sinistra è no spettacolo quotidiano. In tempi di campagna elettorale, annunciare tagli alle tasse “paga” sempre. Fa un certo effetto, comunque, assistere al duo  Visco-Tremonti che si mette a giocare con l’Irpef –resta l’imposta italiana più importante e vale l’11% del prodotto interno lordo- o che annuncia all’unisono una “rivoluzione copernicana”…
Intanto l’espressione rivoluzione copernicana non mi appartiene. Forse è di Visco, un retaggio scolastico. La nostra proposta non è di oggi, risale a molti anni fa: due aliquote, al 23 e 33 per cento. E abbiamo sempre detto che si possono finanziare solo sul presupposto dello sviluppo. Che vuol dire legge-obiettivo per le infrastrutture al Sud, un nuovo tipo di contratto del lavoro libero, una normativa per la new economy, i fondi pensione privati, la devoluzione. Sulla base di determinati incrementi di sviluppo, ci siamo spinti a proporre un taglio che oscilla tra i 50 e i 70mila miliardi recuperabili o finanziabili grazie a sviluppo, emersione del sommerso, eliminazione degli sprechi della spesa pubblica.
Nel poker elettorale del fisco, questa volta però Visco è stato più bravo di lei. Ha alzato la posta: ha messo sul tavolo un piatto da 130mila miliardi con dieci milioni di italiani che dicono addio all’Irpef…
Visco non ha alzato la posta, ha perso la testa. Anzitutto esistono in contemporanea due proposte Visco. La prima è quella contenuta nella Finanziaria per il 2001e successive che si basa su un Irpef con cinque aliquote e una struttura piuttosto tradizionale. Poi c’è la Visco numero due che cancella sostanzialmente gran parte dell’Irpef. Rispetto a lui, se mi consente, abbiamo due differenze fondamentali.
Cominciamo dalla prima
La coerenza.  Noi siamo fermi da molti anni sulla stessa proposta. Lui è passato attraverso tre fasi. A ottobre ha detto che la riforma fiscale in Italia c’era già stata e che i tedeschi copiavano da noi. A novembre ha presentato una riforma con cinque aliquote. A dicembre propone di ridurle a due. Ho già dichiarato, in Parlamento, che in Europa esistono ministri che raccontano balle agli elettori, ma non esistono ministri che raccontano balle a se stessi. Indubbiamente, al confronto, la cultura e la capacità tecnica del ministro Del Turco è nettamente superiore.
E la seconda differenza…
Noi diciamo:  lanciato lo sviluppo, possiamo ridurre le tasse. Lui dice: riduco le tasse senza avere la copertura dello sviluppo. Una bella differenza. Francamente mai avrei immaginato che Visco potesse convertirsi in modo così spregiudicato alle teorie della supply side. Dal ciclo elettorale emerge l’icona di Visco-Laffer.
Per una volta, professor Tremonti faccia un fioretto: lasci perdere le polemiche e riconosca che Visco ha cambiato l’amministrazione finanziaria e ha stanato gli evasori ..
Ha rinnovato l’amministrazione finanziaria? La mia convinzione è che la privatizzazione della funzione fiscale sia stata un grave errore. La Thacther disse: se lo Stato non fa nemmeno questo, che cosa deve fare? In ogni caso si tratta di materia governativa da riserva di legge: inserire una logica di budget in questo  campo significa mettere in gioco principi fondanti. Come direbbe Amato: “purtroppo” c’è la Costituzione.
Abbia pazienza: la macchina dell’amministrazione fiscale, oggi, in Italia, funziona meglio di qualche tempo fa …
C’è tutta una mistica che avvolge questo genere di informazioni. Sono sereno: potrebbe essere an che un gol, dico solo che è più serio esprimere giudizi dopo le verifiche. Per quanto riguarda la lotta all’evasione, sottolineo che le Finanze stesse indicano un obiettivo raggiunto di 6mila miliardi per il 2000, una cifra piuttosto contenuta, ma realistica. Si è arrivati a questo risultato grazie agli studi di settore, al concordato. Mi consenta di ricordare che si tratta di meccanismi proposti da chi parla già nel 1981 e definiti fascisti e corporativi da Visco; furono successivamente introdotti e approvati, in Parlamento, nel 1994 con il voto contrario del medesimo Visco. E non diciamo, per carità, che ha ridotto le tasse…
Meno male che le avevo chiesto di fare un fioretto…
Parlano i conti. Nel ’99 la cosiddetta riduzione delle tasse ha i seguenti numeri: 42mila miliardi di maggiori entrate, 12mila miliardi di bonus o dividendo come lo chiamano, la differenza è più di 30mila miliardi. Quest’ano non abbiamo ancora i numeri: il bonus è stato di 13mila, credo che l’incremento sia intorno ai 50mila miliardi, la differenza è +37mila miliardi. Vedremo le cifre definitive, ma non  è vero come sostiene la mistica di regime che sono diminuite le tasse. Se lei mi dice che restituire una parte del maltolto è come dare, le rispondo di no. La pressione fiscale non è mai scesa.

Il project financing può fare miracoli

Torniamo a parlare di sviluppo. Il fisco è una leva importante, ma come la mettiamo con una spesa pubblica corrente che continua a crescere?
"Le posso rispondere con i numeri per l'anno in cui siamo stati responsabili. Nel '94-'95 le spese correnti sono diminuite dal 52,8 al 50,7% del Pil, le enrate fiscali dal 48,3 al 45,7. Il Pil è cresciuto del 2,9% e rappresenta tuttora l'incremento più alto dell'intera decade.
Il problema della spesa pubblica, in Italia, non è solo di quantità quanto piuttosto di qualità...
Noi crediamo che il federalismo possa dare un significativo contributo, e puntiamo sullo sviluppo per fare tutto. sia per tenere i meccanismi di spesa, sia per ridurre le entrate...
Ma le infrastrutture, ad esempio, non si costruiscono con i quattrini del futuro?
Intanto i costi delle opere vanno calcolati pro rata, di anno in anno, e poi ci sono i fondi comunitari, la formidabile leva del project financing. Non dimentichiamoci che l'edilizia, il mattone, è un fortissimo moltiplicatore.
Il cantiere berlusconiano è entrato tra le polemiche nelle case degli italiani con le cartine di Porta a Porta. Può tentare di darci un'interpretazione autentica?
www.parlamentoitaliano.it proposta di legge Berlusconi-Bossi-Tremonti: è tutto scritto lì. Abbiamo certamente bisogno di infrastrutture, in Italia non se ne fanno da vent'anni. Abbiamo la tecnologia: le nostre imprese costruiscono all'estero. Abbiamo i capitali o, quanto meno, la possibilità di raccoglierli. A fronte c'è un eccesso di falsa democrazia e burocrazia: un meccanismo di assemblee, concessioni, vincoli e permessi che blocca tutto.
Tutto vero, nulla di nuovo però...
La nostra proposta è chiara: ogni anno, in legge finanziaria, si identifica con l'elenco delle infrastrutture strategiche: sono quelle, per definizione, conformi a legge e, cioè, fuori dalla palude burocratica e falso-burocratica. Quasi tutto è basato sul project-financing ed è assolutamente rispettoso delle autonomie. Il federalismo non è localismo, nè particolarismo. La democrazia non è assemblearismo, ma responsabilità per quello che si fa.
Con un debito pubblico pari a 2,5 milioni di miliardi e gli arcinoti vincoli del patto di stabilità europeo dove troverete quei fondi pubblici di cui avrete comunque bisogno?
Viviamo in un mondo in cui il denaro costa poco. Se ci sono gli strumenti giuridici e la volontà politica, con il project financing, si possono fare miracoli. Prenda l'autostrada del Sole: allora si chiamavano obbligazioni Iri, ma era project financing. Si può ripartire dal mondo del dottor Cuccia e dalle obbligazioni Iri-Autostrade.
A proposito di sviluppo vero, se la sente di rompere il silenzio assordante del Polo sulle pensioni?
Il silenzio assordante è del Governo. Chi governa ha l'onere di proporre. Non esiste un silenzio assordante del Polo, ma un silenzio assordante della maggioranza. Il Governo ha il dovere di fare proposte. La mia opizione è comunque che la grande questione sia quella dei fondi pensione. Su questo tema, c'è una differenza fondamentale: la sinistra li vuole controllati dal sindacato; noi li vogliami controllati dal mercato, chiediamo che sia il lavoratore a scegliere dove mettere il suo Tfr.
In Italia liberalizzare e privatizzare sono due verbi che, per una ragione o per l'altra, non si riescono mai a declinare...
Belle le privatizzazioni che fa la sinistra: trasferisce proprietà senza liberalizzare, e vuole i fondi pensioni solo per ristatalizzare. Noi siamo profondamente cambiati dal ’94 e ci schieriamo ideologicamente per le privatizzazioni. Aggiungo: se anche non ne fossimo convinti, sarebbero comunque necessarie per rispettare i parametri di Maastricht. Sinista, centro, destra, a prescindere dalle ideologie, le privatizzazioni sono un must comunque.
Perché, allora, avete privatizzato poco e male a Milano?
Scusi, ma l’Aem mi sembra che sia quotata in Borsa!
Cito una sua dichiarazione testuale: nei primi cento giorni di Governo Berlusconi, la legge sulle fondazioni bancarie sarà azzerata con il conseguente azzeramento di tutti gli organi amministrativi. Delirio di grandezza o di convinzione?
Quell’intervista ha prodotto un fatto straordinario. Ha determinato l’apparizione, nel panorama delle attività professionali, di un nuovo, genere di prestazioni: il parere pro veritate su di un’intervista. Con rispetto parlando, mi sembra che tecnicamente l’intervento legislativo è possibile senza violare la Costituzione su basi di civiltà giuridica e, cioè, senza retroattività. Certamente un provvedimento che modifichi da qui in avanti è nella piena potestà del legislatore. Politicamente è una materia su cui c’è molto da riflettere, con responsabilità e serietà, sentendo tutti i mondi interessati.
Scommetto che le riflessioni partono dal Monte dei Paschi?
Assolutamente, no.