In soffitta la terza via europea
Jospin? Fantastico, come anche la posizione più recente del ministro degli esteri tedesco Joshka Fischer. Il primo problema che dobbiamo porci in Europa è quello della forma politica dell’Unione. Sui contenuti possiamo discutere, ma oggi Jospin, come il Fisher più recente, sposa l’idea dell’ “Unione di Stati” e non la formula del “Nuovo Stato” post-moderno, che risponde al suggerimento di una Terza Via che non esiste”.
Giulio Tremonti parla da accademico, ci teine a precisare che con questa intervista non rompe il silenzio stampa che si è imposto nella fase di costruzione del nuovo governo.
Professor Tremonti, da dove trae la soddisfazione con cui accoglie questi ultimi sviluppi del dibattito sul futuro dell’Europa?
“Il Fischer di un anno fa, ebbe il merito di aprire questo dibattito, ma il suo intervento di allora non aveva un andamento cartesiano, quanto piuttosto, direi, circolare. Conteneva varie opzioni che, se vogliamo schematizzare, si riassumono nella formula post-moderna dello “Stato Nuovo”, costruito empiricamente e secondo dinamiche politiche da sperimentare, aggregando realtà politiche differenziate intorno a dei codici. Un nuovissimo che è antichissimo e che ha tantissimi punti di analogia con il Sacro Romano Impero, come mi permettevo di ricordare già in un mio libro del ’90. Nel medioevo i codici erano linguistici, ecclesiali, etici ed estetici e ora dovrebbero essere monetari, ambientali, culturali: codici tra virgolette, codici di terza generazione. Questo paradigma è politicamente recessivo, a dimostrazione che la Terza Via non esiste, ma che esiste solo la via giusta. Lo dimostra il fatto che Fischer, una settimana fa, ha ammesso il “wishful thinking”, dicendo che non vivrà abbastanza per vedere la realizzazione del sistema post-moderno e che la forma più credibile è quella dell’Unione degli Stati. Jospin oggi è sostanzialmente sulla stessa linea”.
L’Unione degli Stati è un concetto più vicino a quello del centro-destra?
“è un disegno che nasce da Giscard d’Estaing e ad Jacques Delors, anche se nessuno pensa che Delors sia di destra. È un modello più classico e convenzionale, se vuole. Ma è ancorato a una dinamica politica e costituzionale attuale, che è quella della devoluzione verso l’alto, cioè ad un’entità sovranazionale, e verso il basso, le regioni”.
Non c’è i rischio di confondere questa visione con quella nazionalistica?
“è il contrario, è la difesa della democrazia. Lo stato nazione è un’entità politica in crisi, ma è come se si fosse spenta una stella di cui noi ancora vediamo la luce. Per questo, ancora per anni, lo stato nazione è il luogo di riferimento della geometria politica democratica e parlamentare. Oggi non c’è ancora un’alternativa”.
Fischer aveva fatto un tentativo di rappresentarla.
“Siamo poco convinti dall’idea che la “governance” del mondo sia espressa meglio dai non eletti che dagli eletti, che la valutazione sui servizi sia rappresentata meglio dal benchmark della McKinsey che dal voto dei cittadini. Pur sapendo che la democrazia non è una formula naturale data, e che potrebbe anche essere la peggiore del mondo, noi ancora e per ora non ne conosciamo di diverse e di migliori. Non è il “nazionalismo” degli anni ’50, è il rispetto del parlamento come forma compiuta di espressione cui non c’è ancora alternativa. Ci riconosciamo in questa visione, vuoi per una dose di realpolitik, vuoi per ragioni di tenuta democratica”.
L’importante è dunque che il problema dell’alternativa tra i due modelli sia stato posto.
“Non c’è dubbio. Quello che unisce il dibattito è l’esigenza di una Costituzione, e le costituzioni hanno due parti, una sui diritti, l’altra sulla forma dello stato. La prima c’è già ed è la Carta Fondamentale dei Diritti che è una buona base anche se non contiene i diritti di terza generazione. Ora dobbiamo porci il problema della forma politica. Se vuole un esempio domestico è quello che è successo in Italia dopo la guerra, con il referendum tra repubblica e monarchia”.