Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

Tremonti: un fisco così si vede solo in tempo di guerra

«Sono cose da tempo di guerra». Non lascia dubbi il giudizio di Giulio Tremonti, economista e ministro delle Finanze del governo Berlusconi, sui dati diffusi da Eurostat che mettono in evidenza l’incremento della pressione fiscale in Italia.

In particolare, Tremonti prende in esame l’accelerazione impositiva nel periodo 1980-97, la più forte in Europa: dal 30,6% è arrivata al 44,5 con un aumento di 13,9 punti percentuali in 17 anni.

«Perfomance di questo tipo – afferma – sono caratteristiche eccezionali, da tempo di guerra appunto: in tempo di pace sono difficilmente giustificabili e sostenibili. Quella che viene traditaè la vera filosofia dell’Europa, quella del 3 per cento».

Che cosa significa? «I parametri di Maastricht, come è noto, prevedono che il deficit non possa superare il 3% del Pil. Si pone quindi un limite preciso alla spesa pubblica e questo principio dell’integrazione europea: meno Stato più mercato, per usare uno slogan. In Italia la tendenza è tutt’altra, e quello dell’Eurostat non è che l’ennesimo indicatore. Basta leggere la finanziaria di Prodi, che è criticabile non solo per quel che c’è, cioè l’impostazione caotica, ma piuttosto per quello che non c’è».

È un paradosso? «No, e le spiego perché. Il governo insiste sul fatto che si tratta di una finanziaria da “soli” 14mila miliardi, ma quello che non dice è che sono la punta dell’iceberg. Quello che dovrebbe esserci, e non c’è, è la riduzione della montagna di tasse e di spese che stanno sotto ai 14mila miliardi».

Il ministero delle Finanze si difende dicendo che l’Italia, al nono posto della classific Ue, «resta ben lontana dal vertice dei Paesi più tassati d’Europa». «Ma questa è una comparazione cieca. Il rapporto tra pressione fiscale e Pil non è tutto: bisogna andare a confrontare quello che il cittadino riceve in cambio di quello che paga. Altrimenti è come se si dicesse “bisogna pagare le tasse perché lo Stato c’è”, ma questa è un’idea assolutista, direi islamica della fiscalità. Invece bisogna pagare le tasse perché “lo Stato fa”, cioè la fiscalità deve avere una contropartita di servizi. La classifica europea va riletta in questo senso».

E la posizione dell’Italia cambia? «Certo, perché a parità di pressione fiscale gli italiani stanno peggio dei cittadini di altri Paesi dove i servizi hanno una qualità ben diversa. Il 46,3% della pressione fiscale ’97 in Francia, per fare un esempio, o il 54,1% della Svezia hanno un peso ben diverso dal nostro 44,5%».