Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- L'Unità

Tremonti: Ma di questa paralisi abbiamo colpa tutti

Il calo del Pil, allarme serissimo

Roma. La Corte dei conti denuncia il fatto che lo Stato utilizzi male le risorse disponibili per creare nuovi posti di lavoro. Professor Tremonti, qual è il giudizio su questa ‘incapacità di spesa’, che per la erità il ministro Treu già ridimensiona? «La chiamerei “maledizione giuridica”. Non che le nostre pubbliche amministrazioni siano mai state particolarmente decenti; però va detto che per ideologia giuridica, per perfezionismo, per garantismo e sindacalismo, per ossessioni millimetriche, si è determinata una leglislazione paralizzante per la quale abbiamo tutti colpe».

Altro punto dolente sul fronte del governo, la crescita. Perché, a suo giudizio, il prodotto interno lordo del primo trimestre del ’97 è arretrato dello 0,1% in controtendenza rispetto alla media Ue? «Farei una premessa: se uno vuole capire lo spirito politico dell’Euro deve pensare al dato simbolico e a quello parametrico. Quello simbolico lo possiamo leggere in un bellissimo dialogo di Kant, quello tra il re e il mercante.Il re, che si interessa di commerci, chiede: “Cosa posso fare per voi?”. Il mercante risponde: “Dateci moneta buona, al resto pensiamo noi”. Vale a dire he se il pubblico, lo Stato, fa alcune cose buone essenziali – la “moneta” – tutto il resto devono farlo gli altri. Quanto ai parametri, pensi al rapporto tra deficit e Pil, che non deve superare il 3%: ciò vuol dire che ogni 100 lire di spesa pubblica solo 3 possono essere fatte in deficit. Ponendo un freno al deficit, Maastricht pone un fortissimo freno all’attività pubblica, che si è sempre finanziata in deficit. In conclusione quel 3% significa: meno Stato e più mercato. La mia impressione è che l’Italia invece abbia fatto il 3% con la meccanica opposta rispetto allo spirito “kantiano” di Maastricht, cioè con più Stato e meno mercato».

Perché? «Il principale indicatore della libertà è la pressione fiscale, che misura la presenza dello Stato nell’economia. Oggettivamente la pressone fiscale è salita. Un altro elemento è dato dalla vicenda delle 35 ore: che contano, più che come articolato normativo, come simbolo politico, cioè sono la bandiera del ritorno e dell’insistenza dello Stato in economia. Le 35 ore dunque trascendono il disposto normativo e sono i cuneo di una presenza politica, quindi inducono a comportamenti di reazione, di alternativa. La discesa del Pil è, a mio parere, determinata dall’altra faccia dell’Euro, cioè dalla riduzione dei saggi d’interesse, causata soprattutto da fattori internazionali (anche se va riconosciuto al governo un differenziale italiano). La riduzione è andata a breve allo Stato, debitore, ma non altrettanto all’economia. Perché significa meno soldi nelle tasche della gente. Un esempio: una persona che aveva 30 milioni in banca, con gli interessi ci faceva una tredicesima. Con i saggi di adesso, non più. Cioè la caduta dei saggi ha tolto liquidità e ha causato la caduta della domanda. Questo è un fatto drammatico. Così, quando il governo dice che gli industriali non sono patriottici perché non investono, sbaglia: in realtà gli industriali non possono investire perché prevedono una scarsa domanda da parte del mercato».

Quanto è allarmante questo 0,1%? «È una spia serissima».

Secondo lei cosa bisognerebbe fare? «Cambiare politica, naturalmente. Ho l’impressione che la sinistra bbia usato ciò che sapeva fare: lo Stato. E abbia compiuto il risanamento, Maastricht, con eccesso di attenzione su ciò di cui aveva esperienza: lo Stato, ripeto. Il limite della politica del governo è un eccesso di attenzione al Tesoro e simmetricamente un eccesso di disattenzione al mercato, all’economia. Per intenderci: non basta Bersani».

Lei avrebbe una ricetta per invertire la tendenza? «Occorre una politica diversa, ma non è solo un problema di strumenti, è anche un problema di persone, di classe dirigente. Non bastano, cioè, le sole ricette economiche. Ho l’impressione che questo governo si sia molto identificato con un certo tipo di politica e quindi venga percepito in certi termini da chi deve decidere come investire, cosa comprare, deve indirizzare il risparmio. Il governo ha avuto un premio dalla sua esperienza, ma ha anche pagato un prezzo».