Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

Tassi bassi e tasse alte: è la depressione

Tremonti: quella di D’Alema è la solita politica economica della sinistra al governo dal 1995

La finanziaria di D’Alema? È tutto chiaro e c’è poco da dire: va tutto come prima, non c’è rottura con il passato, non c’è balzo in avanti, c’è una sostanziale continuità col passato e con tutti gli altri governi di sinistra che, salvo la parentesi del governo Berlusconi, sono al potere in Italia da dieci anni a questa parte, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti».

Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze, valuta le promesse di Massimo D’Alema, il programma di cento giorni, con la rassegnazione di chi se l’aspettava, ma anche la delusione di chi pensava, da oppositore, che qualcosa di più, e di meglio, ci si sarebbe dovuti aspettare da un premier che non aveva rinunciato alla tradizione «forte» del piano dei tre mesi e poco più. Il fiore all’occhiello dei cento giorni di Berlusconi fu proprio la legge Tremonti sulla defiscalizzazione degli investimenti. Il segno di un’inversione di tendenza. «Qui, invece, non vedo altro che ordinaria amministrazione e vecchie idee. L’appello all’opposizione perché non ostacoli l’approvazione della finanziaria nei termini stabiliti, è anche quello un appello retorico. Si è mai vista una finanziaria che non rispetti le scadenze? ».

Non prevede proprio nulla di buono nei prossimi cento giorni? «Anzitutto, andrebbe sfatato un mito. La sinistra, in realtà, e proprio D’Alema lo ha dichiarato apertamente alla Camera, governa altro che da cento giorni. Governa da mille giorni, anzi di più. Dal gennaio 1995. D’Alema ha raccolto l’eredità di Dini e Prodi. Abbiamo visto gli effetti di questi mille giorni».

Vada per i mille, ma i prossimi cento? «La tecnica del programma dei cento giorni è una tecnica di forte impatto, di fortissima enfasi politica. Serve a dare un segno di forte novità. Io, qui, non vedo né la forza, né la novità. Qual è, la tassa sulla benzina? Non è che così che si favorisce la crescita».

Pare che le previsioni di crescita dovranno essere corrette al ribasso, meno dell’1,8% l’anno... «Già. E sarebbe una correzione alle previsioni che loro stessi hanno fatto. Poi bisogna dire che c’è un problema globale di crescita economica a rilento, ma da questo punto di vista il differenziale italiano è maggiore: in Italia l’economia cresce meno che nel resto d’Europa, e questo è l’effetto di un decennio di governi di sinistra. Dobbiamo risalire ad Amato... ».

In sintesi, che cosa sta succedendo in Italia? «Il denaro costa poco e il lavoro tanto. Il declino dei tassi di interesse è un fenomeno mondiale, non italiano: l’inflazione è all’1,1% in Argentina, al 3,6% in Brasile. Quindi c’è poco da vantarsi».

Tassi bassi e costo alto del lavoro. Risultato? «Disoccupazione forzata. Si è incentivati a passare dall’uomo alla macchina: ai robot. Inoltre, se il capitale è libero di circolare mentre il lavoro è vincolato, si accentua la tendenza all’emigrazione dei capitali, per investire là dove sul lavoro non pesano tutte le tasse che ci sono in Italia. In sintesi, da noi non ci sono tassi bassi e tasse alte, e questa è la formula che contiene in sé la struttura stessa della depressione».

La sinistra obietta che lo Stato ormai è risanato... «Questa del risanamento, poi... Ma allo Stato va benissimo! È all’economia che va male. In America i tassi bassi producono crescita, in Italia no. Qualcosa non va. Più in generale, da noi vige una specie di integralismo giuridico che ingessa il sistema. Due sono gli indicatori di libertà: quante tasse e quante leggi. Le tasse sono quelle che sono: 1 milione e 300 mila lire in più a testa, compresi vecchi e bambini, negli ultimi due anni. E di leggi ne abbiamo 1 chilometro 200 metri in più al mese. No, così proprio non va».