Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

L’apparato (digerente) nella stanza dei bottoni

Fallito il progetto di un Grand Tour in Turchia, per risolvere la questione curda in margine alla partita Galatasaray - Juventus, progetto che non era da dilettanti (come uno potrebbe pensare) ma da statisti “moderni” istintivamente capaci di miscelare la grandeur politica con il minimalismo esistenziale, a Massimo D’Alema resta solo la memoria del suo primo Petit Tour fatto qualche giorno fa a Torino, al fine di visitare lo stand dell’Arcigusto, allestito dentro il «Salone del gusto» al Lingotto.

Seguiamo con la memoria il percorso del premier.  Per gli studiosi del lavoro il Lingotto è la fabbrica novecentesca, futurista e tayloriana per definizione. Per i lavoratori era più semplicemente Portolongone. Giusta dunque la scelta del Lingotto, come luogo simbolico per marcare e celebrare l'ultimo trionfo di (quel che resta della)  classe (operaia): lo spostamento in avanti della frontiera politica, ovvero la sostituzione, alla catena di montaggio, con la catena di assaggio. Nell’economia moderna e dunque l'«Acquisto» la nuova cinghia di trasmissione, che sposta dal conflitto di classe al dominio dei sensi (come va il «Bisnis») dalla volgarità del mangiare all’eleganza del degustare («...l’apoteosi del gusto, dell'attenziune al cibo di qualità»), dal cibo al meta-cibo («È una cosa meravigliosa, il formaggio di Castelmagno, anzi epica»), dalla fame alla silhouette («sono qui come socio di Slow Food»). In estrema sintesi: dal bisogno all’effimero, dallo sforzo allo sfizio «Sono qui non da crapulone, ma da appassionato»

La nuova Bolognina. Niente a che vedere dunque con i vecchi rituali bolognesi, con i tortellini o con l’erbazzone, l’arsenale umanitario-propagandistico del vecchio Prodi. Roba da Terza internazionale. Il nuovo corso parte, come ogni nuovo corso che si rispetti, da una cellula rivoluzionaria: dallo Slow Food («...avviato da un gruppo di intellettuali di sinistra disamorati della politica e disgustasti dal fast food»). Alla fine del suo percorso politico, che si presume sia stato complesso, la nuova «cosa» e stata giustamente legittimata dall’adesione del premier che vi ha conferito la doppia forza del suo apparato, digerente e dottrinario: «La nostra gastronomia, i nostri vini, sono un patrimonio della nostra civiltà... sono contento di avere visto molti giovani... questi prodotti sono un fatto che appartiene alla cultura». Gramsci sarebbe felice. Non è forse stato proprio lui a scrivere che  «quando il vecchio muore ed il nuovo stenta a nascere; ci si infla al ristorante («D'Alema, ormai lanciato nelle praterie delgusto, chiude la trasferta in un ristorante»)? In una sequenza pensiero-azione così forte, per contenuto simbolico, l'atto costituzionale finale può  essere solo uno: una fusione ministeriale, la fusione tra «Risorse agricole e risorse culturali» . Non è forse vero che l’ombelico è il punto di emersione dell'intestino? Non è forse vero che tra ansie intestinali e circonvoluzioni cerebrali l'analogia è impressionante (per l’ebete sensibile), qui ponendosi dunque l'essenza della «modernità»? Non per niente, e intorno all’ombelico che, in un ordine sistematico sviluppato dai «porci comodi» ai «porci (arci) gusti». ruotano le nuove filosofie: la cultura oggettuale, la generalizzazione del particolare, la prevalenza dell’orizzontale sul verticale, la memoria che deglutisce il passato, l’assolutizzazione dell'attuale, la banalizzazione dell’esistente, la mastellizzazione del potere (la stilizzazione dell’apppetito fisico sembra infatti solo una maschera, per nascondere altri e ben più robusti appetiti).

Il «deus ex machina». Come tutti i meccanismi scenici, a un certo punto si cala il deus ex machina. Più ex machina di così non si poteva, trattandosi dell'Avvocato: «Agnelli: la flessibilità? Mai abbastanza». Questa posizione è stata (l’unica) corretta. Un solo rilievo critico, di ordine essenzialmente estetico, sull'uso del termine flessibilità». Il termine fa tanto componentistica e/o Comau. Non sarebbe meglio usare la vecchia parola: «libertà» ? Straordinaria è stata comunque la parte assegnata al vecchio sindacato. Nel «Salone del gusto», quale parte poteva essere assegnata al vecchio sindacato, se non quella del «convitato di pietra»? In silenzio, come si dice circo stanziato, il sindacato ha così fatto proprio quello che doveva: ha prestato il suo silenzio-assenso. Scientificamente, in fondo, che differenza c’è tra il teorema delle utilità equivalenti e l’ovvio ma dei periodi differenti: con i pre-licenziamenti non è che il lavoro dura di meno, è che la pensione dura di più.

Il nuovo Ulisse. In ogni caso, Massimo D’Alema ha battuto Leopold Bloom. L’Ulisse di Joyce, il paradigma banale dell’uomo «moderno» sintetizza il suo viaggio esistenziale in 18 ore. Massimo D’Alema ha fatto molto meglio: in appena 8 ore è riuscito a sintetizzare nella banalità l’essenza di una «moderna» premiership. È riuscito in questa perfomance sfruttando con sapienza ed efficienza il kombinat. Gulfstream più Arcigusto più Media. Prima la compressione del tempo e poi l’esplosione (nel vuoto) del messaggio politico. E così che Torino è tornato ai suoi fasi: insieme, di capitale e di laboratorio politico par excellence.

Il cuoco di Stato. Era giusto che il rito, insieme festoso e liberatorio, si chiudesse con una celebrazione. È stato proprio così: «Dietro di lui (dopo averlo baciato) troneggiava Gianfranco Vissani, il gigantesco supercuoco di Baschi». Nel corso impetuoso della storia, dopo il grigiore degli «impianti del progresso» di togliattiana memoria, era infine giusto che venisse lo splendore dei cuochi. Beninteso, non cuochi di corte, ma cuochi di Stato. È questa, infatti, anche se per ora solo in nuce, la figura «istituzionale» nuova. Già ora, la base elettorale del premier coincide con la sua «cultura» alimentare («gastronomicamente parlando, è un uomo del Centro Sud»). In prospettiva futura, le due figure, del cuoco e del premier, sono destinate a una naturale ibridazione e identificazione. Il premier futuro dovrà essere cuoco. Un cuoco dovrà essere premier. Forse sarebbe stato ancora più politically correct il ricorso ad un poeta. Un poeta che, come il Vissani rivisita vecchi piatti, fsse capace di rivisitare un qualche vecchio poema. Ne suggeriamo la base esistenziale. «Tale devi essere, non puoi sfuggire te stesso» (Goethe).