Fiscalità d’impresa, Italia in panne
Con un’intervista pubblicata sul Sole-24 Ore del 3 dicembre, il ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, ha illustrato la sua proposta di armonizzazione della fiscalità industriale europea: «Regole europee facoltative per le aziende sulla determinazione della base imponibile – Aliquote fissate dagli Stati».
In prima approssimazione, l’idea sembra buona. Si tratta di una proposta basta su di una «astuzia politica» e su di una scissione «tecnica». L’astuzia politica consiste nel tentativo di introdurre una formula di armonizzazione fiscale di tipo «convenzionale». E perciò basata sulla combinazione tra due termini (altrimenti) incompatibili: «armonizzazione» e libertà. Nell’economia essenziale dell’ipotesi qui in discussione, l’armonizzazione fiscale, che non può essere imposta dall’alto, verrebbe però offerta come opzione. La scissione tecnica è tra base imponibile e aliquota: la base imponibile verrebbe «liberamente» armonizzata identificanto, nella logica del «doppio binario», una base imponibile europea opzionalmente alternativa rispetto alla base imponibile interna.
L’aliquota resterebbe invece legalmente differenziata «per country» e obbligatoria in funzione dello Stato di incorporazione (ogni Stato, la sua aliquota). Come si è premesso, in prima approssimazione la proposta sembra buona. Ma nel merito (e a prescindere da pur possibili considerazioni negative pregiudiziali, del tipo: perché non si comincia l’armonizzazione eliminando l’Irap, che costituisce un fortissimo differnaizale fiscale specifico italiano?) sembra comunque ragionevole formulare due primi rilievi: a) nell’economia fiscale, l’aliquota legale d’imposta ha comunque una funzione centrale. È, e resta, il simbolo dell’imposta. È evidente che sul sasggio di imposizione numerarie, finiscce quasi sempre per prelevare infatti il dato secco costituito dall’aliquota legale più bassa. È così che si sceglie un Paese, privilegiandolo rispetto agli altri. In questi termini, è evidente che l’ipotesi di armonizzazione «convenzionale» qui in oggetto si rivela insufficiente perché non influisce, se non parzialmente, sui meccanismi di competizione fiscale; b) nel corso degli anni 80, le grandi riforme europee della fiscalità industriale si sono sviluppate in base alla formula: basi imponbili allargate – aliquote legali d’imposta abbassata. Tipica (e simbolica) in questo senso la riforma fiscale inglese, basata su di un forte abbassamento delle aliquote legali (auto)finanziato con un vastissimo allargamento della base imponibile (via i lifos, via le capital allowances, eccetera).
Ne deriva la possilibtà di formulare una seconda ipotesi di conclusione (da verificare empiricamente, ma in prima approssimazione razionale): la futura base imponibile europea armonizzata sarà presumibilmente (i) simile alla base imponibile media degli altri grandi Paesi europei, (ii) e, proprio per questo, più ampia della base imponbile interna italiana. In Italia, infatti, in assenza di riforme organiche comparabili con quelle europee, il sistema si è attestato su di un equilibrio di squilibri, sintetizzabile nei seguenti termini: la base imponibili è stata (è) una somma casuale di «benefici» (lifo, ammortamenti accelerati perpetui, eccetera) e, insieme, di «malefici» fiscali (limitazioni alla deduzione di molte classi di perdita eccettera). Sulla base imponibile hanno per contro conitnuato (e, continuano) a insistere aliquote relativamente maggiori di quelle europee (queste, tra l’altro, destinate a una ulteriore discesa, prevedibile già nel breve andare). A parte la complessità sistematiche connesse alla costruzione della base europea armonizzata, l’effetto fiscale finale specifico per le imprese italiane non sarebbe dunque positivo, ma probabilmente negativo. Le imprese italiane avrebbero infatti l’opportunità di applicare una base imponibile europea probabilmente più ampia, ma sotto il vincolo delle aliquote legali italiane comunque più alte di quelle europee. In particolare, la combinazione Irpeg+irap può portare, fuori dal contesto finanziario, nella casistica industriale normale (dove ancora si segnalano manodopera e indebitamento), a gradi di incidenza sostanziale dell’imposta sull’utile di bilancio (che è la base che dovrebbe comunque essere la base europea «armonizzata») tra i più alti d’Europa.
Non sembri irriverente o eversivo, ma non pare un caso che il sistema di «armonizzazione europea» suggerito dalla «Life» sia l’esatto opposto: base imponibile italiana, aliquote europee. In conclusione, la proposta continua a sembrare buona, ma sarebbe ancora meglio se qualcuno potesse spiegare a cosa serve.