"Attenti, torna l'Europa dei ragionieri"
Secondo Tremonti la volontà politica di costrutire l’Unione ha ceduto il passo al rigore dei tecnici
«Attenti, torna l’Europa dei ragionieri»
Ciampi accusa le imprese di mancanza di fiducia nel Paese. Se è vero, non sono le sole, visto che anche il commissario europeo De Silguy agita cartellini gialli, sia pure metaforici. Ne parliamo con l’economista ed ex ministro delle Finanze, Giulio Tremonti.
Professore, come giudica la sfiducia dell’Europa nei confronti della nostra economia? «Si è esaurita la fase politca dell’inclusione, che è stata generosa, dato che nel “gruppo di testa” sono entrati tutti esclusa la Grecia. La politica ha affermato il suo primato sulla ragioneria: ora l’impressione è che la ragioneria torni a contare, e che sia in corso un sindacato di merito sui conti del ’97 e sulle prospettive. In quei conti c’erano molte entrate fiscali ‘artificiali’ arrivate da Banca d’Italia, ferrovie, esattorie, ancipazione forzose di gettito Iva: tutto ciò non è ripetibile. Il fatto è che l’Europa non è un fotofinish bloccato al 31 dicembre ’97: è un film da girare fino alla fine».
E quale sarà il seguito della storia? «Lo sviluppo economico, se ci fosse stato, avrebbe perdonato gli artifici contabili. Ma sembra che non sia stato così, anzi, la tendenza è piuttosto piatta. In questo modo emerge chiaramente che si è trattato solo di una manovra, e non di quel risanamento strutturale del meccanismo di spesa voluto dall’Europa. Per ora le discontinuità che sono state introdotte nel sistema – l’Irap, le novità contabili – impediscono una valutazione precisa. Ma al fondo, se l’economia non va bene, i conti non vanno bene».
Così veniamo alla mancanza di investimenti criticata dal ministro del Tesoro. «In questo modo il governo svela un fondo di cultura dirigistico-pedagogica, in quanto non considera il mercato per quello che è ma per quello che “dovrebbe” essere. Non basta che ci sia l’acqua perché il cavallo beva. In altri termini, il basso costo del denaro è una condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo: se le aspettative di domanda sono scarse, l’industria non investe. Se poi il costo del lavoro resta alto, tutt’al più si punta all’investimento in macchinari, non si crea certo occupazione».
E con le 35 ore che cosa succederà? «Come ho detto, non è vero che il basso costo del denaro crea occupazione. Se il fattore uomo resta troppo regolamentato, come appunto con le 35 ore, e troppo tassato – vedi gli altri contributi – il risultato non può che essere l’investimento in robot “rubalavoro” o la delocalizzazione. Come già sta avvenendo. Mi sembra che la riduzione del costo del danaro abbia avvantaggiato piuttosto il debitore, cioè lo Stato».