Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Messaggero

Le politiche sociali del governo hanno prosciugato l’antiberlusconismo

Le decisioni economiche dell'esecutivo hanno sgretolato l'aspettativa della sinistra di scelte di destra reaganiane. "Avendo avuto la fortuna di prevedere in anticipo la crisi, la priorità è andata alla conservazione dello stato Sociale". Intervista a Giulio Tremonti di Carlo Fusi.

Quando percorri un tornante hai due visuali: devi ovviamente guardare avanti per non andare fuori strada, ma puoi anche gettare un’occhiata in basso, vedere il percorso che hai fatto. Dopo una ventina di mesi o giù di lì, e alla vigilia di un appuntamento elettorale importante come le regionali, il convoglio del governo Berlusconi si trova in quella posizione: è obbligato a guardare avanti ma non può non osservare il tragitto percorso. Da un angolo di osservazione cosi particolare, Giulio Tremonti registra un paio di cose. La prima: le politiche economiche dell’esecutivo hanno sgretolato l’aspettativa della sinistra di scelte di destra reaganiane sulle quali impoistare l’opposizione. Dunque è stata prosciugata l’acqua in cuil nuotava l’antiberlusconismo “politico”. La seconda, conseguente: che crollato quel tipo di antiberlusconismo, resta solo la lotta ad personam”. «Ma la sinistra continua per quella strada - dice il ministro dell’Economia – se cioè si preoccupa di rimettere in piedi una coalizione contro una persona, fallirà ancona una volta. Anche perchè le dò una notizia: nel 2013 ii successore di Silvio Berlusconi sarà Berlusconi Silvio». «Dal ’94, il contrasto a Berlusconi si è incentrato su un doppio “anti”: anti-Berlusconi e anti-berlusconismo. Il 20l0 si apre con un elemento di continuità e uno di novità. Il primo “anti” rappresenta la continuità: opposizione di tipo personale molla verso una figura politica “moderna”, certarnente diversa rispetto a quelle convenzionali. Una figura non post-politica bensì post-ideologica».

E questa opposizione personalistica dove la ravvisa: c’entra per caso la giustizia, il salvacondotto giudiziario per Berlusconi?
«In effetti c’è un “curiosum”. Prima del 1994, per Berlusconi neanche una multa per divieto di sosta, dopo il ‘94 una vertiginosa concentrazione dell’azione penale».

Concentrazione o accanimento, comunqque sempre di processi si tratta.
«Le rispondo cosi: credo ci sia una qualche differenza tra il processo di Norimberga e il processo sui diritti. Il primo simbolizzava una grande questione non solo giudiziaria ma anche politica il secondo è oggettivamente un po’ diverso.
Faccio notare che la giustizia non è che è dentro l’azione del governo Berlusconi solo per i suoi processi. Guardi la reazione violenta della malavita organizzata. Se fosse vero il teorema della indifferenza della nostra azione politica sulla legalità, sulla criminaliti e sulla giustizia, non ci sarebbero gli attentati e non ci sarebbe il sostegno ai magistrati»

Ok. Veniamo al secondo anti: l’antiberlusconismo.
Per 15 anni l’antiberlusconismo si è sviluppato come opposizione ad un modello politico che la sinistra rappresentava in termini sistematicamente negativi. Un modello più inventato che reale. Da sinistra si fa una continua forzatura, la si tratteggia in forme caricaturali.
Darwinismo sociale, evasione fiscale, anarco-capitalismo, irrilevanza delle regole e dei saldi di bilancio: è cosi che veniva rappresentato a sinistra il berlusconismo: una politica dominata dal vinca il migliore, dal mercatismo».

Scusi ministro: deve ammettere che in parte è cosi. O almeno è così che vi siete raffigurati. Non stiamo parlando degli animal spirits della destra?
«Vede, le idee degli anni ’80 non è che fossero tuttte invalide appunto in quel periodo. Non lo sono più adesso».

Già, ma lei ci ha creduto. Insisto: almeno in parte.
Non ho mai fatto parte della “cittadella” del pensiero. Comunque dopo venti anni – e che anni - cambiate radicalmente la cultura e la velocità del mondo, cambiato lo scenario, la visione non poteva e non può restare fissa. Il punto politico fondamentale è che nel pensiero politico prima di FI e poi del Pdl si è registrata una maturazione profonda, derivata dalla analisi del mutamento della realtà. Che appunto nulla ha a che fare con la caricatura che fa la sinistra. A molti avrebbe fatto comodo che noi fossimo entrati nella crisi con le idee degli anni ’80. Non eravamo anarco-capitalisti prima, non lo siamo certamente adesso. Mentre gli altri avevano scritto nel loro programma elettorale la parola “miracolo”, noi abbiamo inserito la parola crisi. Per questo abbiamo subordinato tutta la nosira azione alle compatibilità con la situazione economica complessiva e con quella dei conti pubblici. Il pilastro è il bilancio pubblico. Che non è ragioneria, non è Economia: è politica pura. Il bilancio è la sintesi delle virtù e dei vizi di un popolo. Come si diceva ai tempi della Destra storica».

Parliamoci chiaro: lei sta sostenendo che oggi l’azione politica del governo Berlusconi ha “spiazzato” la sinistra. Che la politica di sinistra la state facendo voi: è cosi?
«Non so se è di destra o di sinistra ma so che abbiamo fatto una politica opposta alle aspettative caricaturali della sinistra. Avendo avuto la “fortuna” di aver previsto in anticipo la crisi, la priorità è andata alla conservazione dello Stato sociale. Che significa garanzia senza tagli della spesa sociale, pur in un contesto di crisi. Abbiamo deciso di non adottare la strada del deficit spending: sarebbe stato fatale. Non puoi dire ad un ammalato che gli dai meno medicine perchè è sceso il Pil. E lo stesso ad un pensionato. E’ per questo che al calo del Pil delle entraste fiscali corrisponde il deficit. Ma questo non è fare deficit spending: è investire sulla pace e sulla coesione sociale».

Intanto però il debito è cresciuto. Giusto?
«E vero che abbiamo un debito che sale, per la ragione di cui sopra, per la scelta di conservare la spesa sociale. Ma ci sono due punti interessanti. Primo, il debito italiano per la prima volta cresce meno della media europea. Secondo, i premi di rischio sul debito italiano sono minori rispetto a quelli di Paesi che pure hanno un debito più basso. Dietro questo fatto, c’è una valutazione complessiva e finora positiva dello stato cconomico e della politica di bilancio italiana»

Ed è per questo che l’antiberlusconismo si sgretola?
«Diciamo che perde la sua organicità politica e assume solo un carattere antropomorfo, personalistico. Se c’è qualcosa ad personam non sono le leggi bensì la politica ad personam, anzi contra personam, fatta dalla sinistra. E questo è fuori dalla storia, dalla tradizione, dalla logica della sinistra. Non c’è mai stato nulla del genere. Vede, le differenze tra noi e la sinistra sulle politiche economiche e di campo sociale riguardano più che altro la compatibilità con i conti pubblici. Non i contenuti. La sinistra ha fatto proposte quantitative diverse, ma non diverse qualitativamente da quelle del governo. La tenuta di  bilancio è il bene pubblico fondamentale. La nostra azione di governo si basa su questo».  

Dunque alla sinistra cosa rimane?  
«La politica sociale dell’opposizione coincide con quella di governo, con la differenza che il governo ha la responsabilità del  bilancio, che è un interesse nazionale fondamentale. Questa combinazione costringe la sinistra o una sua parte a non fare una opposizione politica sui fondamentali ma solo una opposizione personale. Che è politicamente suicida. Questa è la variante italiana della crisi generale della sinistra europea». 

Ma è così sicuro che la sinistra è in crisi dappertutto? Eppure ci sono Paesi in cui governa, o no?
«Guardi la carta geografica dell’Europa. Come si presenta adesso, riflette un radicale mutamento dello scenario politico. Prima la politica si muoveva sull’asse destra-sinistra o viceversa seguendo una logica di pendolo, di ciclo. Ora siamo andati oltre quella meccanica di pendolo, nel senso che non trovi più la sinistra. La realtà è che la sinistra è marginale, e dove è al governo è in crisi. E’ il segno che  non siamo davanti ad un cambiamento congiunturale, al vecchio pendolo appunto, bensì ad un cambiamento strutturale. Ad alta intensità politica e storica, una discontinuità radicale. Per mezzo secolo la sinistra europea ha avuto la sua matrice politica nello Stato sociale - ed è stato un bene per tutti - poi davanti ai limiti di bilancio imposti dal costo crescente di quella macchina è andata nella direzione opposta. Ha divinizzato il mercato, ha teorizzato la confusione della terza via. Adesso non parla più con i popoli, non ne interpreta le speranze, non ne comprende le paure. Artefice della globalizzazione, ne è la vittima». 

Insomma un quadro senza speranze...  
«Cosa è politica di sinistra quando solidarietà, compassione, garanzie, interpretazione del bisogno profondo dei popoli nell’età dell’incertezza, sono politiche fatte dalla destra? La crescente marginalità della sinistra in Europa è causata dall’assenza di idee e di messaggi. Senza idee e messaggi non c’è base di consenso popolare. In politica prima dell’hardware serve il software. Se non hai idee buone per le masse, non hai consenso di massa. Con questo non voglio dire che la storia della sinistra è finita: voglio dire che la sinistra deve creare un suo nuovo software politico capace di raggiungere la mente e il cuore dei popoli. Rispetto a questa mancanza, non è alternativa sufficiente l’ossessione ad personam anti Berlusconi spinta fino all’estremo dell’odio. Non credo che questi riflessi pavloviani, questo autismo siano un grande investimento. Se il futuro della sinistra italiana si concentra sull’assemblaggio di una coalizione per battere Berlusconi nel 2013 e non sulla costruzione di idee autonome alla dialettica contra personam, è una via che porta ad una nuova, anzi alla stessa, sconfitta. Invece una soluzione può essere che la sinistra si impegni per le riforme come accadde nel ’48». 

E in Italia il centro-destra come sta?
«Non è certo un caso che il governo Berlusconi ha un consenso consolidato. Il consenso per il premier e quello per il governo vanno oltre il consenso per i partiti della coalizione. Significa che c’è consenso per la nostra azione anche da parte di gente che non vota per noi». 

Berlusconi ha annunciato per il 2010 una riforma del fisco. Cos’è, un trucco per vincere le regionali?
«Una riforma fiscale non è una manovra elettorale. Non è neppure una manovra finanziaria, è qualcosa di enormemente più complesso. E’ una sfida che Silvio Berlusconi ha lanciato - e me lo ricordo perché io c’ero - già nel ’94. Il discorso che abbiamo fatto col premier è che noi abbiamo un sistema fiscale che è stato disegnato negli anni 60, messo in legge negli anni 70 e poi per 40 anni infinitamente rattoppato. E’ diventato un labirinto. Abbiamo una infinita quantità di regimi fiscali che non corrispondono alla facoltà di comprensione della mente umana. Il fisco italiano non riflette più la realtà dell’Italia. Con Berlusconi, siamo convinti che non si può entrare nel nuovo secolo con gli strumenti di cinquant’anni fa. E tuttavia abbiamo una serie di vincoli, a partire dal debito pubblico. Sappiamo che non possiamo fare errori, e  dobbiamo tra l’altro combinare la riforma fiscale con il federalismo fiscale. E’ un meccanismo ad alta complessità. Ecco perché servono insieme alla determinazione politica ed all’ottimismo sempre necessario anche una grande prudenza e un grande consenso».