Tremonti: "Senza il Sud non c'è sviluppo"
Il vicepremier: servono una banca e interventi Ue per attrarre capitali in Meridione.
Ama parlare del Mezzogiorno, sogna una banca tutta per il Sud, un'Europa diversa, più globale, più competitiva, più attenta al Meridione e applaude l'arrivo del siciliano Gianfranco Miccichè a Palazzo Chigi. Non è il tratto biograf-co di un meridionalista incallito, ma la summa programmatica del presunto alfiere del presunto asse del Nord: Giulio Tremonti, neo vicepresidente del Consiglio nel nuovo governo Berlusconi. Il suo rientro a Palazzo Chigi ha destato preoccupazione - e anche qualche atavica paura - nei settori della maggioranza che hanno aperto la crisi proprio per dare il segno della «discontinuità» con l'asse del Nord. Ma il Tremonti di queste ore è molto lontano dal cliché che gli è stato cucito addosso: se nel 2001 fu fondamentale per ricucire lo strappo tra la Lega di Umberto Bossi e il resto della maggioranza, oggi ha ripreso in mano ago e filo per fare il tessitore di una nuova trama politica a favore del Mezzogiorno, superando così le diffidenze di Alleanza nazionale e Udc.
Cominciamo dalla vulgata: è tornato l'asse del Nord?
«Sciocchezze. Il governo Berlusconi I non era quello dell'asse del Nord, ma quello dell'assenza dell'asse del Sud. Non c'era un ministro con portafoglio proveniente e rappresentativo dei territori a sud di Roma. Questo è il punto vero».
Pensa che la scelta di affidare a Gianfranco Miccichè il ministero per lo Sviluppo e la coesione possa sanare questo deficit di meridionalismo?
«Se confronta la struttura del governo precedente con quello attuale, si rende conto che la cifra meridionale è aumentata. E non solo. lo vedo nel ministero di Sviluppo e coesione territoriale un passaggio fondamentale, perché se guardiamo la quantità di fondi pubblici stanziati per il Sud negli anni del governo Berlusconi e la confrontiamo con quella di prima, ci rendiamo conto che è enormemente salita».
Ma il centrosinistra accusa il governo di aver tagliato i fon-di per il Sud.
«E’ un falso assoluto quel che dice la sinistra. I fondi al Sud non sono stati tagliati, sono cresciuti. Sfido Prodi, Fassino, D'Alema e Rutelli: andiamo all'Eurostat, con i bilanci pubblici in mano, e vediamo se è vero che i fondi sono stati tagliati o sono aumentati enormemente. Risultato: chi perde e ha detto il falso - ed è certo che a dire il falso è Prodi, che però ha una naturale vocazione a questo esercizio, direi una vocazione organica alla bugia - si dimette da parlamentare o va a lavorare nel Sud per un anno nei campi».
Al Sud qualcuno non se n'è accorto e molti voti sono passati all'opposizione. Come lo spiega?
«Quello che ha impedito il ritorno economico è stata la vischiosità dei meccanismi di spesa inventati dai mitici governi D'Alema. Peggiori ancora dei vecchi meccanismi clientelari, che almeno funzionavano. In termini di capitale siamo quasi al doppio, ma in termini di circuiti, di flussi finanziari, di meccanismi per spenderli, le strutture inventate hanno bloccato tutto. Abbiamo assistito a una moltiplicazione e proliferazione degli strumenti e delle competenze. Il ministero affidato a Miccichè supera tutto questo, perché finalmente ci sarà un responsabile unico, una concentrazione straordinaria in un unico soggetto tecnicamente e politicamente responsabile».
Lei ha lanciato l'idea della Banca per il mezzogiorno. Perché?
«Il Sud ha venti milioni di abitanti ed è l'unica area d'Europa che non ha banche proprie».
Ma le banche un tempo c'erano, poi sono state cedute alla galassia finanziaria del Nord.
«Esatto. Il Sud ha le banche che fanno la raccolta e poi i capitali vengono impiegati al Nord. Ecco perché serve la Banca per il Mezzogiorno».
Qual è la situazione con l'uso dei fondi comunitari?
«Mentre prima i fondi comunitari non venivano utilizzati in pieno (l'Italia dava 100, ne riceveva indietro dall'Europa 90 e alla fine ne spendeva 40, cosicché gli altri 60 tornavano agli altri Paesi) con il governo Berlusconi sono state quasi raddoppiate le risorse per il Sud e quasi totalmente raddoppiati i fondi comunitari. È un governo che per il Mezzogiorno non ha fatto certo poco. Il Sud è fondamentale, non esiste sviluppo o mercato se non c'è il Sud».
Perché il Mezzogiorno non è competitivo?
«Il Mezzogiorno è tremendamente penalizzato, non solo dal fatto che i fondi non vengono spesi e vanno a residuo, ma anche dalla delocalizzazione del lavoro, in maniera più significativa rispetto al Nord. Dato che le produzioni del Mezzogiorno sono ad alta intensità di manodopera e bassa intensità di capitale, si trovano presi nella morsa. Da una parte dall'allargamento verso Est (Albania, Romania, eccetera) e dall'altra parte dall'aggressione competitiva dell'Asia».
Ma le risposte che vengono da Bruxelles non sembrano efficaci.
«Quello che sta iniziando è un processo che porterà a rivedere tutta la macchina europea. Questi fenomeni, l'euro, l'allargamento, l'Asia, sono cose giuste, ma affrontate in modi e tempi sbagliati da una politica sbagliata. Una politica che nel mondo è stata quella della Terza via, e in Italia del trittico Prodi-Fassino-D'Alema».
L'Unione Europea proprio tre giorni fa ha annunciato l'indagine sull'importazione di tessili dalla Cina. E’ un passo avanti?
«E’ troppo tardi, forse non si sono resi conto che la terza guerra mondiale è già cominciata ed è una guerra commerciale. Io ho cercato di fare quello che potevo, dall'euro di carta a segnalare il caso della Cina, adesso si dice che bisogna passare all'azione».
La Francia si avvia a dire no alla Costituzione Ue. Quale sarà il contraccolpo?
«Bisognerà aspettare soltanto qualche giorno. Il referendum francese sulla Costituzione Ue sarà la tomba politica della sinistra».
L'Unione dirà che in Francia governa Chirac, che non è certo di sinistra.
«La sinistra usa l'Europa quando le conviene e nella stessa maniera la dimentica quando non le conviene. Loro hanno portato l'Italia nell’Euro e la conseguenza è stata che l'euro è venuto in Italia. Quindi non si può ragionare senza considerare l'Europa e le sue conseguenze, come fanno loro».
Un «no» francese alla Costituzione Europea potrebbe essere un'occasione per rilanciare l'Unione su altre basi?
«lo sto preparando una sorpresa».
Per creare ricchezza servono capitali e l'Europa non appare più un terreno fertile per attrarli.
«Bisogna fare pressioni vere sull’Europa. L’Europa che abbiamo è stata costruita con la testa di cinquant’anni fa, nella logica dell’integrazione e non della competizione. Dobbiamo chiedere che in Europa e in Italia e nel Sud in particolare ci siano delle aree con l’esenzione fiscale per attrarre capitali da fuori».
In che modo?
«Bisogna scardinare un meccanismo europeo che è stato pensato con la testa di mezzo secolo fa, quando il problema era integrare l’Europa. Vi do un’informazione: dopo cinquant’anni il problema dell’Europa è competere nel mondo».
E quali carte potrà giocare il Sud del nostro Paese?
«Per competere bisogna individuare in ogni Paese un’area e prevedere la possibilità che i capitali investiti, provenienti da fuori, in quell’area siano esenti da imposte. E’ l’unico modo che ci resta per tentare di competere con l’Asia. Bisogna poi prevedere nel sud fiscalità di vantaggio e zone franche».
Lei oggi è vicepresidente del Consiglio. Rientra nel governo con un ruolo politico importante, non solo tecnico. Come pensa di interpretarlo?
«Quello che cercherò di fare, avendo una funzione di indirizzo, è di lavorare per la coalizione nel suo insieme. Con grandissimo rispetto per tutti gli alleati. Anche perché la missione di questa fase politica, l’imperativo è quello di vincere le elezioni».
Il centrodestra può ancora vincere le elezioni politiche del 2006?
«Avrei risposto no se la sinistra avesse accresciuto i suoi voti. Invece rispondo sì perché la sinistra, in valore assoluto, in realtà di voti ne ha persi».