Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Avvenire

Tremonti: «Referendum? Non voterò»

«La combinazione dei dubbi e della libertà mi porta a questa scelta». Il vicepresidente di Forza Italia assicura che dietro non c'è una spinta politica «La questione della bioetica non si chiude nel mezzo aut aut» di una consultazione popolare.

Inutile girare intorno alla domanda, perché Giulio Tremonti va dritto al bersaglio, senza bisogno di insistere. «Se andrò a votare per il referendum? La mia risposta è: in dubiis libertas».
Cioè a dire?
«Cioè non voto».
Perché?
«La combinazione dei dubbi e della libertà mi porta alla scelta di non andare a votare. E dico subito che non è una scelta politica. E' una scelta che dipende da una ragione generale, per così dire, "filosofica'', basata su due ragioni particolari, una giuridica, una scientifica».
Vogliamo provare a spiegarle?
«La bioetica oggi è la metafora più forte della modernità. Una modernità che può essere alternativamente positiva o negativa, l'uomo che si cala nell'antro della vita e ne risale, angelo o lucifero, homo sapiens od homunculus, mito o incubo. Diciamo che a questa altezza di tempo la "cifra" delle mutazioni in atto è drammaticamente intensa. Siamo in una fase della storia in cui si stanno manifestando vertiginose accelerazioni».
Che cosa intende per "cifra" del progresso?
«Da mezzo secolo a questa parte il progresso è stato lineare sulle cose ma verticale sull'uomo. Le cose sono sempre le stesse: auto, treni, aerei, televisori, lavatrici sono migliorati in senso qualitativo e più diffuse in senso quantitativo, ma sono rimaste le stesse. Sull'uomo invece il progresso avviene in modo verticale: il salto scientifico sta passando dalla pura analisi ontologica all'azione sui corpi. Cioè non ci limitiamo più alla fase gnoseologica, a conoscere la vita, ma agiamo sulla vita. E in questo si sta avverando la profezia di Malthus, ovvero dell'uomo che non dipende da un'origine ma che è origine esso stesso. Filosoficamente dunque la questione della bioetica si incrocia con questioni scientifiche e filosofiche fondamentali: non si chiude nel mezzo aut aut di un referendum».
E qual è la ragione giuridica della sua scelta di non voto?
«Pensare che una materia come la bioetica sia ancora sotto il dominio di una legge statale nazionale è un nonsense assoluto, perché questo è uno schema che non domina più la modernità: il campo di applicazione della legge non coincide più con l'estensione dei fenomeni che dovrebbero esserne regolati. La bioetica non si ferma sui confini nazionali, non sta chiusa nel nostro vecchio ager politico. In uno scenario relazionale, comunitario, di libera circolazione delle persone e delle cose, la dimensione di riferimento dovrebbe essere come minimo europea».
Ma ciò non accade, o non accade compiutamente...
«In effetti, se la dimensione nazionale è insufficiente e la dimensione giusta è europea, non è che salendo di livello i problemi scompaiano per magia».
Cioè?
«La dimensione europea è per necessità una dimensione di consenso comune. E qui è tutta da costruire. Pensi ad esempio al Regno Unito, che è la patria dello scientismo. Storia della scienza e storia del pensiero inglese si identificano sostanzialmente, dal naturalismo di Oxford all'empiricismo matematico, da Bacone a Malthus, da Darwin a Galton a Huxley, profeta della società perfetta futura destinata a correggere le storture di una "specie vivipara" che si riproduce a casaccio. Quello che si fa nei laboratori inglesi non è entità trascurabile: nel continente tutto circola e niente può essere bloccato sulle frontiere. La forza dì una legge nazionale è puramente simbolica e addirittura può essere rovesciata in senso regressivo. Chi vuole o chi può è in grado di sottrarsi liberamente alla legge "interna" e fare shopping di legislazione straniera. E' per questo che dico che il dibattito sulla legge domestica è un assoluto nonsenso. In questi termini non stiamo discutendo di una legge a sovranità piena, ma su di una legge a sovranità limitata. Non stiamo discutendo della patente a punti, ma di una materia che non si ferma ai confini nazionali. Se poi esaminiamo il testo del referendum, vediamo che il suo limite non è solo quello istituzionale tipico dei referendum abrogativi, che sono binari (sì o no), ma che non ci è neppure data la possibilità di una discussione piena, dato il suo carattere discontinuo, geopardizzato e dunque parziale (comma dentro, comma fuori)».
Parafrasando Leniti le domando allora: che fare?
«Proprio perché la bioetica è questione dominante della modernità futura, il modo per trattarla deve essere diverso. Ci vuole una discussione su scala come minimo europea, e comunque molto più intensa».
Se il referendum o una legge nazionale non basta, cosa mai potrà fare l'Europa?
«Sulla mappa della questione bioetica intravedo due percorsi, uno ideologico e politico, l'altro empirico e burocratico. Il primo ha avuto quattro tappe: 1991, 1996, 2000, 2004, dalla prima Convenzione bioetica alla Convenzione di Oviedo, dalla Carta di Nizza al corpus finale della Costituzione europea. Qui gli enunciati in linea di principio sono alti, nobili e accettabili ("dignità e integrità della persona", "divieto delle pratiche eugenetiche"). Il diavolo però sta nei dettagli e nelle formule assiomatiche di cui la Carta è piena. Quanto al percorso empirico, sappiamo che Bruxelles accentra tutto in nome del mercato. Dato l'obbiettivo della parità di condizione concorrenziale tra imprese, di fatto regolamenta tutto, standardizza, influenza, finanzia. Il tutto è oggettivamente dominato in nome del mercato da forme gnostiche postmoderne, da un sincretismo consumistico in una logica di armonizzazione livellatrice dei sistemi valoriali e delle identità. L’Europa è una macchina che crea ideologie, che tendenzialmente sono tecnocratiche e uniformi. Il pericolo sta qui».
Lei non andrà a votare. Come vogliamo chiamarla, "sfiducia costruttiva" alla tedesca o totale disincanto?
«Rimango ottimista. Più tempo ci viene dato, più intenso può essere l'esercizio di coscienza che tutti dobbiamo fare. Il cielo stellato sopra di noi e la legge morale che è in noi».
Kant...
«Sì, Kant».