Tremonti: il successore del Cavaliere? Non sarò io, non c' è alternativa a Silvio
«Sopra le riforme sta la Carta Ue, impossibile fare il dittatore in Italia» «La sinistra ora punta sull' esterno: a loro piace il cuscus, a noi la pizza». La rilevanza di queste Regionali non è nella lotta per il potere ma nella progressiva emersione di due visioni del mondo. Non ho mai creduto nella politica antropomorfa. La prossima legislatura sarà trainata da Berlusconi.
Professor Tremonti, la campagna per le regionali è stata percorsa dallo scontro sulla riforma costituzionale, che è poi quella concordata nella sua casa di Lorenzago. Non soltanto il centrosinistra considera le nuove norme un pericolo per la democrazia e per l' unità della patria. «Nei primi mesi di quest' anno il Parlamento ha votato una doppia riforma costituzionale. Ormai le Costituzioni sono due: una esterna, e una interna; una europea, e una italiana. Solo un numero stupefacentemente limitato di persone ha realizzato che i principi esterni dominano su quelli interni; che le norme europee prevalgono su quelle italiane; che la Corte di Giustizia europea prevale su tutte le corti nazionali. In questa gerarchia giuridica, ogni forma di alterazione del sistema democratico è impossibile». Crede che questo basti a tranquillizzare chi ha espresso timori? «Ho la non vaga impressione che chi ha parlato di democrazia perduta o erosa abbia una percezione davvero limitata dell' intensità dei fenomeni di ingegneria costituzionale che sono in atto da decenni in Europa, e prendono la forma storica e drammatica di crescenti cessioni verso l' alto di quote della sovranità nazionale. Chi ignora questi fenomeni o è in malafede, o è superficiale; ovviamente il cumulo delle cariche non è vietato. Ma forse questa miopia ha una sua spiegazione». Quale? «In Italia la cessione di quote di sovranità non è stata basata su riforme istituzionali ad hoc, né su consultazioni popolari, ma sull' uso dell' articolo 11 della Costituzione». «L' Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie»... «Un meccanismo che opera dentro il Parlamento e non nelle piazze, mediato nel voto d' aula e non mirato al cuore della gente. Forse è stato proprio l' uso continuo ed esclusivo dell' articolo 11 a impedire la percezione della portata storica dei processi di cessione di sovranità verso l' Europa. La Costituzione europea non solo replica e sviluppa i principi un tempo originali ed esclusivi della Costituzione italiana, ma stabilisce una gerarchia giuridica di prevalenza della Costituzione europea e di dipendenza della Costituzione italiana». Tutto però potrebbe essere vanificato da una vittoria del no al referendum in Francia, tra due mesi. «Un voto popolare negativo in Francia sarebbe una battuta d' arresto, ma non influirebbe sull' architettura costituzionale europea. In sostanza la nuova Costituzione europea è un "testo unico" di norme e trattati internazionali già recepiti negli ordinamenti nazionali. Se anche si toglie il trattato di Roma del 2004, ci sono comunque il trattato di Nizza e tantissimi altri strumenti giuridici. Fare il dittatore in Italia è comunque un mestiere impossibile. Alle vittime di un regime che non c' è e non ci sarà basterebbe comunque rivolgersi alla Corte di giustizia europea». Sta dicendo che la riforma tanto cara alla Lega, tanto osteggiata dall' opposizione, e tanto temuta da una parte della maggioranza non è poi una riforma così importante? «È vero l' opposto: è una riforma importantissima, ma non riguarda il regime democratico; riguarda l' efficienza del sistema, la bontà del governo. E' una riforma mirata a una distribuzione più moderna ed efficiente dei poteri di governo. Mi lasci ricordare che quindici anni fa, sul Corriere, già scrivevo che lo Stato nazionale sarebbe divenuto troppo piccolo e insieme troppo grande; troppo piccolo per i fenomeni globali che stavano prendendo forma, troppo grande per le esigenze di governo locali». La questione democratica riguarda quindi l' Europa? «Il limite dell' Europa è stato nell' ultimo decennio un eccesso di dispotismo illuminato e un deficit democratico. La crisi dell' Europa dall' alto segnerà i prossimi anni, e potrà essere battuta solo invertendo la tendenza e ripartendo dal basso». L' Europa è solo una delle linee di fratture interne alla Casa delle libertà. Oggi ne abbiamo sotto gli occhi un' altra, quella sul contratto degli statali. Fini insiste per firmare, Berlusconi dice che non ci sono i soldi. «Alla fine a trovare una soluzione, una sintesi, sarà come sempre il presidente Berlusconi, per il momento anche lui nei panni del "signornò"...». Nel Lazio saranno invece gli elettori a decidere, forse anche della sorte di Berlusconi. Storace avverte: se perdo io, a Palazzo Chigi andrà Prodi. Ha ragione? «Di questo si parla il giorno dopo, non il giorno prima». Non negherà il significato politico delle elezioni regionali. «Non lo nego, anzi vedo un innalzamento del profilo politico. Ma, per come le sto vivendo io, la rilevanza politica di queste regionali non è tanto nella lotta per il potere, quanto nella progressiva emersione di due visioni del mondo e della vita. Mi colpisce soprattutto la mutazione in corso dentro la sinistra. La struttura politica della sinistra si è storicamente basata sul marcatore nuovo-vecchio: la sinistra come nuovo, la destra come vecchio. Ora la sinistra, tanto riformista quanto rivoluzionaria, ha sostituito il marcatore storico con la dialettica esterno-interno. Improvvisamente il marcatore della sinistra è diventato il primato dell' esterno sull' interno. Questo vale tanto per la componente mercatista quanto per la componente giottista, tanto per gli adoratori del mercato globale quanto per i divinatori di una società futura dei diritti universali». Chi sono mercatisti e giottisti? «Mercatista è Prodi, sia il Prodi presidente della Commissione europea sia il Prodi candidato, che identifica la missione dell' Italia nel Mediterraneo come porto di ingresso delle merci asiatiche. Poi c' è Bertinotti, che ipotizzando il "diritto all'emigrazione" evoca il proletariato esterno. Da un lato e dall' altro la cifra politica nuova della sinistra è la prevalenza dell' esterno: l' esterno è il futuro da realizzare, l'interno è il passato da superare. Una visione che ha il suo culmine straordinario e finale nel discorso di Bertinotti al Lido di Venezia, in cui si affida il futuro prossimo del partito a una generazione autoctona, ribelle, disobbediente, comunista, e la si identifica come "il dono che ci ha fatto e che ci viene dal G-8 di Genova"». Come si traduce questa dialettica filosofica nella quotidianità? «Ho ricevuto anch' io la lettera elettorale di Prodi, con annesso bollettino di versamento indirizzato all' egregio signor Giulio Tremonti. Pur apprezzando uno sforzo a tappeto tanto dispendioso, non intendo contribuire per una serie di motivi. A loro piacciono gli involtini primavera, a noi gli spaghetti; a loro il cuscus, a noi la pizza. A loro piacciono i banchieri, a noi i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli agricoltori. Per loro il campanile e il minareto sono la stessa cosa, per noi no. Per loro la vita naturale e la vita artificiale si equivalgono, per noi no. Per loro le merci globali a basso costo per i consumatori contano più del lavoro degli imprenditori e degli operai europei, per noi no. Per loro i giottini sono meglio dei carabinieri, per noi i carabinieri sono meglio dei giottini». Lei parla del centrodestra come di un blocco coeso, quando se ne vedono chiaramente le crepe. «Non è così. Per noi l' apparato tradizionale dei valori non è un limite ma una forza: perché puoi guardare a ciò che viene da fuori solo se sei sicuro di ciò che hai dentro. E' questa la componente identitaria della nostra coalizione, e per questo il nostro grado di coesione strutturale nonostante tutto è elevatissimo». Sta dicendo che l' unica linea di frattura è la linea di successione a Berlusconi? «Non condivido assolutamente un approccio del genere. Non ho mai creduto nella politica antropomorfa. E in ogni caso sono convinto che anche la prossima legislatura nella nostra parte sarà trainata da Silvio Berlusconi». Dicevano fosse lei il candidato dell' asse del Nord a Palazzo Chigi. «Mi sembra una graziosa invenzione. Lasciamo perdere». Vede tra destra e sinistra anche una differenza di linguaggio, di metodi, di forza polemica? In questa campagna elettorale se n' è discusso molto, ed entrambe le parti si sono reciprocamente accusate di essere pronte a tutto. «A me pare che la componente della lotta per il potere sia più importante per la sinistra che per la destra. La sinistra concepisce il potere per il potere, non vede limiti nei mezzi per acquisirlo e, di conseguenza, senza limiti è disposta a usarlo. C' è nella sinistra una componente di determinismo, che ha per conseguenza machiavellica il cinismo del fine che giustifica i mezzi». Aldo Cazzullo Il limite dell' Europa è stato nell' ultimo decennio un eccesso di dispotismo illuminato e un deficit democratico. La crisi dell' Unione dall' alto segnerà i prossimi anni e potrà essere battuta soltanto invertendo la tendenza e ripartendo dal basso. Un voto negativo in Francia sulla Carta non influirebbe sull' architettura costituzionale STILI A CONFRONTO I gusti a sinistra Giulio Tremonti indica le differenze tra destra e sinistra ricorrendo all' ironia: «A loro piacciono gli involtini primavera, il cuscus, i banchieri», «per loro il campanile e il minareto sono la stessa cosa, vita naturale e vita artificiale si equivalgono». E poi: «Per loro le merci globali a basso costo per i consumatori contano più del lavoro degli imprenditori, per loro i giottini sono meglio dei carabinieri». I gusti a destra Per Tremonti chi è di destra preferisce «gli spaghetti e la pizza», campanile e minareto non sono la stessa cosa, vita naturale e vita artificiale non si equivalgono. In economia difendono «i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli agricoltori» e di fronte alla globalizzazione del mercato sono dalla parte «degli imprenditori e degli operai europei». «Per noi - conclude Tremonti - i carabinieri sono meglio dei giottini».