Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

Tremonti: il proporzionale può dare stabilità al Paese

«Non credo a un governo di unità nazionale» «Il maggioritario va bene per l' Inghilterra» «Silvio Berlusconi è un solido visionario»

ROMA - «C' è un solo terreno su cui la politica può responsabilmente restituire stabilità al Paese. Ed è il terreno della legge elettorale. Com' è stato indicato, per il presente o per il futuro, da quel solido visionario che è Silvio Berlusconi». Reduce da un viaggio in Germania durante il quale ha incontrato, tra gli altri, anche Angela Merkel, Giulio Tremonti torna in Italia con qualche novità e rafforzato in alcune convinzioni. Una delle quali, maturata da tempo, è la necessità di puntare sul proporzionale: «Il bipolarismo è fuori discussione. Ma può essere realizzato tanto con il maggioritario quanto con il proporzionale. Non si può dire lo stesso per la governabilità. Il maggioritario è un sistema che va bene per il governo della normalità. Per l' Inghilterra, non per l' Italia. E poi il nostro sistema, un po' maggioritario e un po' proporzionale, ha molti difetti e nessun pregio. Per questo l' unica formula per combinare bipolarismo e stabilità è il sistema proporzionale, l' unico capace di produrre una stabile base di consenso popolare. Ogni tanto, penso che questo periodo ha qualche affinità con i primi anni ' 90: ricorda la crociera sul Britannia, nell' estate del ' 92? Ecco, quella fu un' operazione elitaria, che prescindeva dal popolo, ma poi il popolo ha eletto Berlusconi. Non mi pare che ci si possa riprovare, ignorando la volontà popolare». Il potere adora andare per mare, ogni magnate ha la sua enorme barca e quella crociera sul Britannia fatta nell' estate del ' 92 resta, nell' immaginario di molti, la metafora di un cambio politico fatto pagando il prezzo di un pezzo di sovranità italiana. Si trattò, in realtà, di una sola giornata e sul regale yacht si imbarcarono per poche ore i massimi esperti inglesi delle privatizzazioni e gli uomini che allora potevano influenzare quelle italiane. Chi c' era a bordo? Si fa prima a dire chi non c' era. Salirono da Nino Andreatta a Mario Draghi, da Bazoli a Spaventa, più alcuni professionisti esterni al circuito del potere, invitati in qualità di osservatori. Tra questi ultimi, anche l' avvocato Giulio Tremonti: «Oggi non c' è il clima di quegli anni - riflette il vicepresidente del Consiglio - Non ci sono, almeno, gli elementi del dramma. Siamo nell' euro ed una crisi simile alla nostra si vive anche in Germania, anche in Francia. La crociera sul Britannia simbolizzò il prezzo che il Paese pagava tanto per "modernizzarsi" quanto per restare nel club». Rievocando quella giornata sul panfilo reale, Tremonti esclude i personaggi in carne ed ossa che in quel giugno del 1992 pranzarono a bordo, condividendo cotolette e mousse di gamberi. E' agli altri, a quelli che aleggiavano pur senza esserci, che corre il suo pensiero: «Mettiamola così. A terra erano rimasti gli armatori, l' Italia del vecchio partito d' azione che aveva mandato in top class chi li rappresentava. Altre cabine erano virtualmente destinate ai postcomunisti, la classe dirigente che stava per entrare nella stanza dei bottoni. Il personale di bordo? I commis d' Etat che avrebbero dovuto gestire centomila miliardi di privatizzazioni». Chi verrebbe imbarcato in una nuova crociera sul Britannia? «Gli armatori non ci sono più. Alcuni ci hanno lasciato, altri sono assai invecchiati. Nemmeno c' è più quel blocco di potere che metteva tutto assieme, le filiere dei giornali, il sindacato, il mondo della cultura, la magistratura. Se si vuole, pure questo un aspetto della crisi che vive in Italia lo Stato-nazione... Anche per le cabine in classe turistica, però, bisognerebbe trovare nuovi passeggeri: i postcomunisti che nel ' 92 si apprestavano ad entrare nella stanza dei bottoni, il potere poi ce l' hanno avuto, l' hanno usato, ne sono stati logorati. S' esaurito il mito della loro superiore capacità di governo». Infine, e per tornare agli scopi di quella crociera, forse oggi il Britannia non avrebbe neppure ragion d' attraccare a Civitavecchia: «Il ciclo storico delle privatizzazioni è quasi completato. Di grosso restano le aziende locali, ma si tratta di un patrimonio collocato nel retroterra, nelle Regioni, nei Comuni, non gestito dal potere centrale». Il paradosso, riflette ancora Tremonti, è che quelli del Britannia pensavano di andare incontro ad una navigazione tranquilla e poi, arrivati in porto, nel ' 94 si ritrovarono Berlusconi, «le armate popolari che non erano state imbarcate». Meditando su quel precedente, il vicepremier invita a non puntare troppo su ipotesi politiche «studiate nel Palazzo». Una delle più dibattute è la speranza di un governo di unità nazionale: «Ha ragione Bondi a prenderlo in considerazione, ad analizzarlo in astratto. Ma è un' ipotesi che mi sembra difficilmente realizzabile» dice Tremonti. «A meno che - aggiunge, fresco di informazioni tedesche - a meno che, dopo le elezioni, non si vari in Germania una Grosse Koalition». Senza questa variante, Tremonti manterrà i suoi dubbi circa la fattibilità di un governo di unità nazionale: «Per due ragioni. In Italia permane ancora una forte illusione di ricchezza. Ciò impedisce di avvertire l' intensità dei problemi economici in arrivo. Manca, insomma, quel tasso di dramma necessario per varare un governo di unità nazionale. E poi, manca una classe dirigente che avverta più l' esigenza del bene comune che non quella dell' interesse particolare». C' è chi immagina uno scenario di cambiamenti successivi alla vittoria del centrosinistra... «Scomparso il nemico, dovranno affrontare i problemi. Ecco allora prospettarsi l' idea dell' esclusione della sinistra estrema, con l' inclusione di un pezzo del centrodestra. Unità nazionale? No, parodia dell' unità nazionale. Il classico piano strategico elaborato su vecchi schemi, con i generali che si preparano a una nuova guerra seguendo le strategie della guerra precedente. Come i generali francesi, che puntavano tutto sulla linea Maginot, la super trincea, ma non avevano capito la forza politica del motore a scoppio».