Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Repubblica

Tremonti, "All'Italia servirebbe una Grande Coalizione"

Il ministro dell'Economia invoca coesione su identità nazionale e debito pubblico "I Poli cerchino intese sui temi essenziali. Il federalismo fiscale? Evita il collasso"

ROMA - "Se l'Italia fosse un Paese "ottimo", anche da noi servirebbe una Grande Coalizione...". Giulio Tremonti la butta lì. Come "un'ipotesi accademica". Ma di fronte ai problemi di bilancio e ai veleni della campagna elettorale, il superministro dell'Economia alza lo sguardo verso la Germania e la Francia: "Parigi brucia - dice - è da tempo che lo prevedo e che lo vedo. Concordo pienamente su quanto detto dal presidente del Parlamento europeo Borrell nel congresso Ds: non c'è in Europa un Paese felice".

"Nessun paese è felice. Esclusa l'Inghilterra, che però è una realtà duale divisa tra il resto del Paese e Londra che per suo conto è una struttura offshore. Ed esclusi i Paesi del Nord. Dal "Viaggio in Olanda" di Diderot in poi, è chiaro che la ridotta dimensione geografica e demografica rende molto più semplice l'esercizio del governo politico".

Questo non è l'alibi di un centrodestra che non riesce a imporre alcun modello?
"No. Borrell è socialista. E trovo comunque un po' infantile, da parte della sinistra, evocare modelli da fiaba nordica che non sono replicabili su vasta scala. Francia e Germania, piuttosto. In Francia bruciano le periferie. In Germania è difficile fare un governo. Stanno cedendo due modelli illusori. Il modello della immigrazione salvifica, il modello della mercatizzazione a costo zero. La Germania, da questo punto di vista, è davvero un caso "fatale"".

Perché fatale?
"I fattori critici sono stati due: prima l'unificazione Est-Ovest, poi l'innovazione industriale. L'industria tedesca si è ristrutturata all'americana, la società tedesca è rimasta renana. Gli impianti sono stati trasferiti fuori. Gli operai non sono stati licenziati ma sussidiati dallo Stato. Così ogni posto di lavoro costa due volte: una all'industria, una allo stato. Le imprese hanno creato 5 milioni di posti di lavoro a basso costo all'estero, e 5 milioni di disoccupati sussidiati all'interno. In sostanza, la Germania ha delocalizzato la produzione industriale e localizzato il Welfare. Così la specificità della struttura economica tedesca mette in crisi la finanza pubblica: più di 5 milioni di sussidi, che valgono circa 20 mila euro ciascuno, si traducono in un onere aggiuntivo che va oltre i 100 miliardi di euro l'anno. Forse, nel lungo andare, il sistema si potrà riequilibrare. I dividendi torneranno da fuori in Germania, i metalmeccanici licenziati diventeranno designer, informatici, pubblicitari, finanzieri. Insomma, ci sarà occupazione post-moderna. Ma questa Germania vive nel tempo presente".

Infatti, per certi versi come l'Italia, la Merkell dovrà fare una manovra pesante. Si parla di oltre 40 miliardi di euro nel 2006.
"Il voto politico in Germania si è diviso in due. Ma tra le due parti c'è qualcosa in comune. Qualcosa che va dall'inquietudine alla paura. È qui che hanno origine simmetricamente la necessità e la difficoltà della Grande Coalizione. Difficoltà: la presa d'atto dei mega-numeri della manovra finanziaria da fare, e la stima del suo impatto sociale, hanno prodotto una spaccatura tra il ribellismo alla Lafontaine di una metà della Spd e il rigorismo finanziario della vecchia tradizione popolare".

E come se ne esce? E perché tutto questo è importante anche per l'Europa e per l'Italia?
"Le rispondo ormai da veterano dell'Ecofin. Per l'Europa è sempre stata importante la presenza di un governo tedesco forte. Se alla Germania si chiede una manovra-choc e se l'effetto è quello di un governo debole, la mia opinione è che non è una buona soluzione. Perché un governo debole non è capace di fare davvero una manovra forte. Meglio un governo davvero capace di impegnarsi su un piano di rientro più lungo ma realistico".

Il suo sembra un discorso interessato, viste le condizioni della finanza pubblica italiana. Perché gli altri Paesi virtuosi dovrebbero accettarlo?
"Noi abbiamo una moneta comune, ma non ancora una Costituzione comune. Il Patto di stabilità ha sostituito la Costituzione ed ha funzionato molto bene".

Ministro, è stato folgorato sulla via di Bruxelles? Non avete sempre detto che il Patto di stabilità va buttato via?
"Il Patto ha imposto una disciplina comune, ha escluso politiche nazionali devianti, ha azzerato il deficit spending. C'è ancora gente in giro che guarda a tutto tranne che all'essenziale. L'essenziale è questo: il Patto ha funzionato politicamente. Certo, l'80% del Pil europeo è sopra il 3%. Ma ciò è per ragioni economiche e non per ragioni politiche. E tutti i Paesi sono impegnati in un piano di rientro".

Da questo punto di vista lei metterebbe la mano sul fuoco anche sulla sua ultima Finanziaria?
"Non voglio polemizzare sul 2001, quando ereditammo un deficit eccessivo al 3,2%. Oggi la nostra Finanziaria è giudicata da tutti seria e responsabile. Questa è la prova che non facciamo spesa pubblica per alterare il ciclo democratico. Ma mi faccia concludere sulla Germania: la cosa importante è che a Berlino si insedi un governo forte che faccia un piano di rientro sostenibile, piuttosto che un governo che, per dover fare a tutti i costi una manovra-choc, perde sul nascere la sua forza politica. Purtroppo, in questa fase sembra prevalere questa seconda dinamica, con Mùntefering che esce dal partito e Stoiber che esce dal governo. Per questo è importante che, a Bruxelles, si comprenda l'opportunità di definire per la Germania un piano di rientro credibile, per dare più forza al governo che deve nascere. E sotto questo profilo, è essenziale la riconosciuta intelligenza politica di Almunia".

La sua sembra captatio benevolentiae verso la Commissione, per la nostra situazione contabile.
"Si sbaglia. Lo dico con il massimo rispetto, ma il nostro termine di riferimento non è solo l'Ecofin, quanto la posizione internazionale del nostro Paese. La struttura dei conti e del nostro debito pubblico ci impone di considerare non solo la Ue, ma anche i mercati finanziari".

Per questo Berlusconi ripete che si può fare spesa pubblica anche in deficit?
"Il presidente Berlusconi fa un discorso generale. Per l'Italia, se anche la Commissione ci consentisse di sforare il deficit dell'x per cento, questo non ci sarebbe comunque consentito dai mercati. È per questo che, con una crescita del Pil ancora minima sul 2005 e in piena campagna elettorale, abbiamo fatto una correzione che va oltre l'1% del Prodotto lordo".

D'accordo. Ma questa sua lunga riflessione dove porta?
"In Europa e in Italia io vedo una profonda asimmetria tra l'intensità dei problemi, che crescono, e la potestà degli Stati nazionali, che decresce. Ci sono più authorities che ministeri rilevanti. I governi nazionali sono circondati da miriadi di governi locali e sovra-nazionali, da multinazionali, da fondi, e da mercati. Nel Palazzo si ha una crescente radicalizzazione del contrasto politico, mentre nella società di assiste a un fenomeno opposto. I popoli, più saggi dei politici, chiedono pacificazione. Da un lato manifestano bisogni e interessi crescenti, dall'altro lato si accorgono che via via la capacità di risposta politica diminuisce".

Quindi, se ho seguito bene la sua logica, anche in Italia questa risposta sarebbe possibile solo con una Grande Coalizione?
"Se l'Italia fosse un Paese "ottimo", le risponderei di sì. Nell'Italia di oggi ho forti dubbi. Ci portiamo dietro una maledizione storica, l'antica guerra tra guelfi e ghibellini. Detto questo, in linea di pura teoria, a un governo di Grande Coalizione dovrebbe corrispondere almeno la capacità di identificare l'essenziale e di porlo su una piattaforma comune".

Cos'è, secondo lei, "l'essenziale"?
"Tre punti. L'identità nazionale, la struttura federale, e l'allentamento del debito pubblico che soffoca il Paese. Identità nazionale: più Bossi-Fini o più immigrazione? Questione federale: a cavallo tra il '99 e il 2000 la struttura della Repubblica è stata radicalmente mutata. Sono stati fatti insieme decentramento e il Titolo V, due spinte forti, ma opposte tra loro, che hanno spostato una quota enorme di potere dal centro alla periferia, in modo rivoluzionario ma contraddittorio".

Voi avete fatto di peggio, con la devolution.
"La devolution non c'è ancora. Ma il caos c'è già. Ciò che ora va fatto per evitare il collasso finanziario è il federalismo fiscale. Ferma la solidarietà, va superata l'asimmetria tra centro che tassa e periferia che spende. Questa asimmetria ha rotto il circuito democratico, che si basa sul principio no taxation without rappresentation. Facciamo l'esempio della Provincia di Milano: se Penati avesse fatto campagna elettorale chiedendo ai cittadini nuove tasse per comprare l'autostrada Milano-Serravalle, forse non sarebbe stato eletto. Come diceva Tocqueville, il punto di convergenza tra politici e cittadini è il budget".

Manca il terzo punto nell'agenda della sua Grande Coalizione all'italiana.
"È un progetto di colossale riduzione del debito pubblico. Necessaria e possibile, attraverso una politica di privatizzazione in blocco, interamente destinata all'abbattimento del debito".

Belle idee, ma permetta qualche obiezione. Non erano già nel vostro programma del 2001? Se li ripropone oggi, vuol dire che in 5 anni di governo avete fallito, no?
"Noi, in questi cinque anni, abbiamo fatto una parte del percorso. Bisogna considerare i tempi e le condizioni di partenza nelle quali abbiamo lavorato".

Eppure continuate a descrivere un'Italia meravigliosa, la vostra, e dite che ai tempi del centrosinistra questo Paese era un Inferno. Come fa, in queste condizioni, a parlare di Grande Coalizione?
"Italia meravigliosa? È polemico. Io credo che, alla base di una ripresa del dialogo tra i due Poli, ci debba essere il riconoscimento reciproco di ciò che di buono è stato fatto durante le ultime due legislature. E allora le dico che tra il '96 e il 2001 il governo di centrosinistra, in una congiuntura economica internazionale, europea e italiana molto buona, ha fatto alcune cose positive: ha centrato l'euro nell'interesse nazionale, ha iniziato la riforma del mercato del lavoro, ha impostato la riforma delle pensioni. Ma ha fatto anche alcune cose negative: due riforme sbagliate (quella fiscale, che avvantaggia i redditi finanziari rispetto al lavoro, e l'Irap), una finanza creativa per 5 punti di Pil (cartolarizzazioni, swaps in valuta, Umts, Ferrovie, eccetera), la Bassanini e insieme il Titolo V".

Adesso mi dica: cosa ha fatto di buono il governo di centrodestra?
"Questa legislatura si è sviluppata in un quadro internazionale avverso. A quelli della Cina e dell'Asia, che ci fanno concorrenza asimmetrica, si sono sommati gli effetti negativi interni dell'euro, di impoverimento delle famiglie a reddito fisso e di spiazzamento competitivo delle nostre imprese. Nonostante questo, noi abbiamo garantito la tenuta sociale aumentando la spesa pubblica per santità, pensioni e assistenza, abbiamo centrato il record storico dell'occupazione, abbiamo fatto la riforma delle pensioni, quella mercato del lavoro, scuola ed università, legge societaria e legge fallimentare, abbiamo rilanciato le grandi infrastrutture. Non quanto avremmo voluto, è vero. Ma abbiamo 36 cantieri aperti e le contestazioni sulla Torino-Lione dimostrano che la macchina è in moto".

Dopo il vostro trionfo del 2001, l'unico dubbio era se avreste governato per 15 o per 20 anni. Se siete stati bravi come lei sostiene, perché oggi rischiate la sconfitta?
"Serve più tempo per cambiare un Paese. Il ciclo del centrosinistra, tra il 1992 e il 2001 e con la parentesi di sei mesi di Berlusconi nel '94, è durato quasi un decennio. Il nostro ciclo è durato solo 5 anni. A qualunque maggioranza ne serve almeno il doppio".

Perché, ora che forse sta per rivincere le elezioni, il centrosinistra dovrebbe fumare insieme a voi il calumet della pace, con un governo di salute pubblica?
"Fumare è vietato. La Grande Coalizione, che pure sarebbe necessaria in un mondo ottimo, è un'ipotesi accademica. Ma a questo punto smettiamola almeno con la demonizzazione reciproca, e proviamo a cercare una convergenza sulle grandi questioni nazionali".

Il sospetto è che abbiate inventato il pasticcio della riforma elettorale proprio con questo obiettivo: vince il centrosinistra, ma il Paese è ingovernabile, e dopo un anno, scusi la semplificazione, si fa una grande "ammucchiata". È così?
"No. Se vincerà il centrosinistra l'ingovernabilità non dipenderà dalla legge elettorale modificata, ma dalle sue divisioni interne. L'Unione può anche vincere le elezioni, ma non può vincere il governo, finché avrà dentro il nucleare e i mulini a vento, le grandi opere e i blocchi stradali, l'America e i neo-comunisti, la tolleranza-zero e i no-global".

Il Polo, tra divisioni e rimpasti, non è stato molto più coeso. Almeno su questo un po' di autocritica è pronto a farla?
"No, lasci stare le autocritiche. Le critiche che ci fate sono già così sovrastanti... Ci bastano quelle".