Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Panorama

Su pensioni e terrorismo lavoriamo insieme

Per il vice premier, oltre alla sicurezza, occorre affrontare in modo bipartisan le priorità economiche come pensioni e lavoro. «E Fassino e Bertinotti hanno capito la lezione».

Delle grandi riforme economiche «richieste dall'Europa, governo e opposizione dovrebbero almeno concordare le due-tre principali, da realizzare in maniera condivisa. Cioè indicare che cosa si impegnano a non imporre a colpi di maggioranza. Le pensioni, per esempio, sono una priorità di tutti, non di parte. Così come in questo momento dovremmo prendere atto che di tutti è la sicurezza di fronte al terrorismo». È la proposta di Giulio Tremonti, vicepresidente del Consiglio e numero due di Forza Italia, per riavvicinare alle questioni europee un'opinione pubblica sempre più disamorata da ciò che accade a Bruxelles e dintorni. E dunque bisognosa di essere motivata, rassicurata, ma soprattutto convinta, al di là dell'ondata emotiva dopo l'attacco a Londra, del fatto che quando si torna a parlare di interessi economici l'Ue non è una gigantesca fregatura. Nel suo ufficio al terzo piano di Palazzo Chigi, ereditato da Marco Follini, Tremonti è rimasto assai poco. Ha appena finito di scrivere un libro sui rapporti tra Europa e Cina (uscirà ad autunno per la Mondadori) e ha fatto la spola tra Parigi, Londra e Berlino per incontrare quelli che nelle previsioni sono destinati a essere i leader europei di domani: il francese Nicolas Sarkozy, l'inglese Gordon Brown. Adesso farà un lungo viaggio in Germania, dove a settembre la Cdu di Angela Merkel sfiderà per la cancelleria Gerhard Schriider.
Com'è questa nuova classe dirigente europea?
Gordon Brown, Sarkozy hanno intanto una qualità: il parlare chiaro, il dialogare con la gente. Fanno parte di quello che io chiamo il terzo cerchio: sono stati accusati di euroscetticismo, mentre invece non solo hanno capito i problemi ma hanno anche lavorato a soluzioni nuove.
Se esiste un terzo cerchio ce ne saranno un primo e un secondo.
Nel primo sta la gran parte degli eurocrati: gli Chirac, gli Schrócler, in Italia i Prodi e tanti altri dalla testa vecchia. Molti sono andati alla sconfitta senza neppure sapere di essere battuti, nessuno aveva compreso i problemi e dunque non hanno soluzioni da offrire. E dire che avevano a disposizione l'Eurobarometro, i sondaggi di Bruxelles che dicono che il 52 per cento degli europei considera negativa l'appartenenza all'Ue. E avevano il voto: negli ultimi tre anni la mappa politica dell'Europa non pendola più tra destra e sinistra; c'è una costante protesta verso i governi in carica, il che è la prova del nove.
Nel secondo cerchio?
Chi ha capito i problemi ma offre soluzioni vecchie.
Lei ha polemizzato, sul «Corriere della sera», con Mario Monti.
Non polemica, discussione: tra me e Monti c'è una consuetudine tale da consentirci di discutere intorno ad alcuni apparenti tabù. Il che, credo, può anche essere nell'interesse di tutti. Monti teorizza l'Antitrust europeo come esempio di mercato perfetto. Quasi un fine, non un mezzo. Dimenticando che l'Antitrust americano serve a evitare i cartelli contro i consumatori, non a impedire alle aziende di crescere e competere. E trascurando che il mercato europeo, anche se fosse davvero perfetto, è un pezzo del mercato mondiale. Io per esempio difendo la legge firmata da Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato che concede benefici economici per le concentrazioni bancarie, ma che è finita alla Corte europea del Lussemburgo. Per me quella legge va difesa.
Vuol tornare agli aiuti di stato?
Beh, c'è una bella differenza tra vietare sussidi pubblici a industrie decotte e impedire gli incentivi alle fusioni e alla ricerca!
Ci risiamo col Tremonti dirigista, colbertista ed euroscettico...
Tanto poco euroscettico che oggi dico che dell'Europa non si può più fare a meno. E che essendo i problemi comuni e grandi, le soluzioni o sono comuni e grandi o non sono. Piuttosto eurorealista. La linea del governo Berlusconi è realistica, non è un caso che ci sia una coincidenza totale con il semestre inglese.
A proposito del quale...
Dico che la Gran Bretagna, che è sempre stata fuori dall'euro, ha l'occasione storica di mettere la sua originalità, oltre alla tempra morale mostrata da Tony Blair dopo gli attacchi a Londra, al servizio dell'Europa.
Fausto Bertinotti, a «Panorama», ha detto che il referendum francese sull'Europa e quello italiano sulla fecondazione hanno in comune l'avanzare di una «nuova plebe» che non accetta più verità calate dall'alto, che si ribella alle élite di qualunque tipo siano.
Bertinotti ha ragione. È assolutamente così. Una volta lo si definiva deficit democratico.
Cioè la gente è convinta di sentire un sacco di balle?
Mettiamola così. Ci sono due cose che impediscono di guardare la verità: le menzogne e i miti. Qui non ci sono state menzogne, c'è stato un eccesso di miti. Su questi miti hanno prosperato le élite e le burocrazie. Per anni la piramide europea ha avuto al vertice le istituzioni, nel mezzo i governi e in basso la gente. Ora si è capovolta: gente, governi, istituzioni.
La gente ha paura dei cinesi, ma ne hanno paura pure i governi e gli industriali.
Ho calcolato che il costo del lavoro in Cina sia il 5 per cento di quello medio europeo. In più loro hanno un capitalismo senza democrazia che può mobilitare su un progetto enormi quantità di uomini e risorse. Noi non possiamo ridurre il nostro benessere né tantomeno rinunciare alla democrazia. Però dobbiamo assolutamente ridimensionare l'enorme quantità di costi che ci fabbrichiamo con le nostre mani attraverso una overdose di vincoli e regolette. Né la Wto, l'Organizzazione mondiale del commercio, ci imporrebbe di essere stupidi, di usare un metro da 150 centimetri mentre i concorrenti asiatici ne adottano uno da zero centimetri.
Una proposta praticabile, a parte i dazi?
Chiedere, per importare dalla Cina, l'applicazione di clausole sociali e ambientali. E’ consentito dalla Wto e dovrebbe essere, mi pare, anche una cosa condivisa dalla sinistra.
A proposito di sinistra: possibile che siano solo loro a non aver capito?
A sinistra c'è gente che sta aprendo gli occhi, eccome. C'è nel Parlamento di Strasburgo e c'è in Italia. Dove certo hai Prodi e soci. Loro hanno nel dna il mito salvifico dell'internazionalismo e dei regolamenti. Però hai pure un Piero Fassino che oggi appoggia il rilancio del piano Delors. Un Massimo D'Alema il quale ha compreso benissimo che la cifra dei problemi è a un punto storico.
Spieghi brevemente il piano Delors e perché tornerebbe oggi.
In estrema sintesi: Jacques Delors, socialista, ultimo dei grandi presidenti della Commissione, comprese già nel '93 che le vere priorità erano la crescita economica e l'occupazione; propose incentivi fiscali per la formazione, la ricerca, gli investimenti e soprattutto per la creazione di posti di lavoro attraverso flessibilità e part time.
I maligni insinuano che la riscoperta del piano Delors nasconda il tentativo di farla franca sul deficit.
Sciocchezze. Un progetto come quello non è né di destra né di sinistra. Infatti Fassino lo ha capito molto bene.
La Confindustria chiede continuamente più Europa. Un'altra élite?
Non ho interesse a polemizzare con la Confindustria. Dico però che non c'è bisogno di più Europa in Europa, perché nel mercato interno siamo fortissimi, è sull'esterno che siamo molto deboli. La politica industriale che io penso è: primo vivere, quindi guadagnare tempo, poi un nuovo piano Delors per riconvertire l'economia, aiuti di stato per crescere, non un Antitrust distruttivo o ideologico. E inoltre bisognerà porci il problema di attrarre capitali da fuori, fare in Europa per alcuni settori o aree quel che ha fatto l'Irlanda già 15 anni fa con la tassazione zero o di assoluto favore.
Grandi riconoscimenti a Fassino, D'Alema, Bertinotti. Poi però la querelle politica è sempre più distruttiva.
Ho già detto che le grandi riforme europee dovrebbero essere condivise. Aggiungo che i due schieramenti dovrebbero indicare su quali questioni non intendono procedere a colpi di maggioranza.
Proprio lei che ha imposto la riforma fiscale?
Ma le tasse sono politica tout court, per forza di parte. Mentre le pensioni e altre priorità come il lavoro potrebbero, quelle sì, essere condivise.