Più fiducia nell’Ue col nuovo patto
Con la Cina bisogna competere ad armi pari. Laggiù, spiega il vicepresidente di Forza Italia, è tutto un aiuto di stato. E a Bruxelles non bisogna eccedere con le regole, altrimenti si rischia di diventare euroscettici...
I fattori positivi che derivano dalla modifica del patto di stabilità. Come difendere le imprese italiane dall'agguerrita competizione di paesi come l'India e la Cina. Che cosa deve fare l'Europa per essere competitiva. Sono questi alcuni degli argomenti affrontati dall'ex ministro dell'economia, Giulio Tremonti, ora vicepresidente di Forza Italia, nel corso di un'intervista al canale televisivo Cfn/Cnbc (che fa capo al gruppo Class Editori).
Domanda. Che cosa dobbiamo attenderci dalla modifica del patto di stabilità?
Risposta. Dalle mie parti si dice: «Piuttosto che niente meglio piuttosto». Il patto è necessario, non puoi avere una moneta unica se non hai un sistema di governo comune. Non abbiamo ancora un governo europeo, l'alternativa è il patto di stabilità e di crescita. Il patto ha funzionato in questi anni sui fondamentali perché doveva unire i governi in una logica comune, decidere insieme, evitare deviazioni unilaterali e discrezionali. Su tutto questo ha funzionato. Doveva creare una base di fiducia per l' euro. Basta vedere i cambi di oggi, il cambio euro-dollaro per vedere che di fiducia ce n'è fin troppa. Ma un conto sono i cambi e un conto è il patto. Dove il patto non ha funzionato è sul rapporto con il ciclo economico. Il patto fu pensato sull'ipotesi: tutti gli stati sono in pareggio di bilancio, viene un elemento cattivo dell'economia allora tu puoi oscillare dallo 0 al 3%.
D. Che cosa non ha funzionato?
R. Perché un ciclo cattivo è arrivato prima che tutti gli stati arrivassero al pareggio di bilancio. Un conto è oscillare dallo 0 al 3%, un altro dal 2 al 3%. Questo è il punto critico. In tutti questi anni noi ministri dell'economia all'Ecofin abbiamo cercato di fare un'applicazione intelligente del patto. Tenga conto che nella struttura dei bilanci europei fondamentalmente si vede solidità, non si vedono finanze pubbliche poco solide e non si vedono politiche di deviazione dalla linea del trattato. Poi c'è un paese che ha maggiore criticità, la Germania con i costi dell'unificazione. L'Italia ha un debito pubblico storico che a sua volta deriva dalla democrazia bloccata per tanto tempo, ma fondamentalmente, nella gestione dei bilanci, non ci sono paesi che hanno deviato, magari paesi che sono stati un po' rigorosi, paesi che hanno subito di più il ciclo elettorale, ma nessuno ha fatto una scelta di politica economica troppo distante dal patto. I fondamentali sono solidi, qualche difficoltà c'è stata e c'è. Il patto fondamentalmente rende razionale quello che per tre anni di difficoltà noi abbiamo razionalizzato. Abbiamo valutatole situazioni dei singoli paesi e abbiamo votato gli early warning sulle politiche di correzione tenendo conto delle riforme strutturali, delle posizioni particolari dei singoli paesi. Tipica la vicenda delle sanzioni a Francia e Germania.
D. Ovvero?
R. Fu fatta non una scelta di opportunismo politico ma una scelta di relativa intelligenza. Se un paese si impegna a correggere non è necessario dare le sanzioni. La Francia, per esempio, non ha avuto le sanzioni ma ha corretto: tanto è vero che la stessa commissione ha ritirato le procedure di sanzionamento.
D. Questo si diceva anche per la normativa che regola il mercato finanziario, ma non è andata così...
R. Quando uno stato a cui chiedi la correzione si impegna a correggere...Io mi ricordo che la Francia disse: volete correzioni marginali o riforme strutturali? Volete che facciamo il 3% o la riforma delle pensioni? Un discorso simile l'ha fatto la Germania, che nell'agenda 2010 ha inserito una serie di riforme strutturali. Il patto riformato tiene conto di tutto questo ed evita un maleficio che in tanti anni ci siamo provocati inutilmente, che è quello dell'angoscia e della sfiducia. Noi per tutti questi anni abbiamo avuto anche in Italia titoli di giornali tipo: sfondamento, rischio tutti titoli che causano sfiducia, panico e preoccupazione. Esci con l'ombrello anche quando c'è il sole. La parola sfondamento io la capisco se un deficit passa dal 3 al 6%, ma se passa dal 3 al 3,2% puoi usare la parola scostamento matematico, non puoi dire sfondamento o rischio. Ci siamo fatti del male inutilmente con le nostre mani, perché i consumatori e le famiglie guardando quei titoli sparati e urlati pagavano un inutile prezzo dì sfiducia. I conti pubblici europei sono fondamentalmente solidi, sono affidabili e non c'è bisogno di utilizzare quel linguaggio. Uno degli effetti positivi del nuovo patto è che va in cantina quel linguaggio.
D. Quindi la riforma del patto di stabilità può ridare fiducia all'economia europea?
R. Secondo me vanno fatti due discorsi. Primo, con il patto riscritto in questo modo hai eliminato l'elemento di sfiducia inutile che ha creato sulla società dei vari paesi. Era ansiogeno per i tedeschi, per i francesi e anche per gli italiani. Secondo, superati questi falsi problemi, guardiamo adesso i veri problemi che sono quelli dell'economia reale, del lavoro, degli investimenti e della competitività.
D. Le imprese stanno subendo una forte pressione sia a livello interno sia su quello della competizione con i paesi asiatici come India e Cina. Lei che cosa propone?
R. Sono stato il primo a sostenere che negli anni 90 è stata una pazzia aprire il mondo al libero mercato senza regole e senza criteri. Era diventato un pensiero unico: con í comunisti che erano diventati mercatisti fanatici e dogmatici, ignorando che il pensiero liberale vede nel mercato la combinazione di tempi e di regole ben precise. Detto questo, in Europa non è stata fatta tutela dalla contraffazione, non solo le merci europee sono contraffatte ma anche il marchio lo è: significa China export. Non è stata chiesta parità di condizioni amministrative e sanitarie. È stato fatto quello che non si doveva: più cresceva la competizione più doveva crescere la flessibilità, più il mercato diventava aggressivo più in Europa dovevamo tentare di essere competitivi. Invece si è approfondita la disciplina e la regolamentazione. Le faccio un esempio: è appena stato considerato vietato il contratto di formazione lavoro dalla comunità europea. Poi la legge Ciampi e la legge Amato. Se si guarda alla giurisprudenza in materia di Antitrust o di aiuti di stato di dieci anni fa era molto meno rigorosa che adesso, ma anche dieci anni fa c'era il libero mercato. Le faccio un esempio, nel 1994 il governo ha fatto il premio di quotazione per le società che vanno in borsa, nel 2004 il governo replica quell'intervento che viene questa volta giudicato illecito. La stessa norma con varianti minime viene rifiutata, come fai a competere?
D. Celo spieghi lei...
R. In Italia c'è ancora un meccanismo mentale, una Cultura, una filosofia sbagliata come se fossimo un pezzo isolato del mondo. Negli ultimi cinque anni, però, tutto si è integrato e complicato drammaticamente. Invece di aiutare le nostre imprese, di essere un po' più flessibili, siamo diventati sempre più rigidi. Lo chieda al presidente Prodi che è il titolare di tutta questa logica. Ecco, siccome io ne ho un po' piene le scatole della storia del protezionismo gliela metto così: protezionista è chi dice io corro da solo oppure corriamo insieme, ma per me il metro è di 90 centimetri. No: corriamo insieme con lo stesso metro ma non puoi pretendere che io corra con un sacco pieno di sassi che mi sono messo dentro da solo.
D. L'Europa come deve fare per diventare competitiva?
R. Deve competere a parità di condizioni con gli altri e deve smettere di considerare vietato o aiuto quello che c'è nel resto del mondo. Il rispetto delle condizioni di parità non è protezione, quando uno chiede di attivare i meccanismi del Wto, chiede di applicare una regola. Quando si chiede all'Europa di smettere di impiombarti il sacco di sassi europei, non chiede mica una cosa contro il mercato. Il driver dell'economia americana è la spesa militare, è o non è aiuto di stato? In Cina è tutto un aiuto di stato. Come fai a competere? Se fossimo come Europa un po' più realisti e un po' più flessibili, meno regole europee. Guardi io ho sempre criticato l'eccesso di regole europee perché sono spese, e sono sempre stato considerato per questo un euroscettico.