Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

«La mia verità sul Governatore Ora ci vuole una riforma radicale»

Tremonti, un anno dopo le dimissioni, racconta i suoi rapporti con Fazio «E' solo, i sepolcri imbiancati che erano con lui gli si rivoltano contro»

Molti ora chiedono le dimissioni di Fazio. Perché lei, che è stato il suo principale accusatore, non lo ha ancora fatto? «Non invertirò Shakespeare. Non farò l' orazione di Cesare sulle spoglie di Antonio. Il conflitto durato due lunghi anni fra ministro e Governatore, fra me e Fazio, è stato reale e non personale». Si è sempre detto il contrario. «Non è stato personale da parte mia. Sono sicuro, non personale neppure da parte sua. L' elemento personale è stato introdotto con sapienza per deviare, per alterare i termini reali del conflitto. Un conflitto che è stato tanto duro quanto raro in un Paese come l' Italia». Ma ancora senza un epilogo. «Al termine, l' estate scorsa, ci siamo trovati entrambi soli, coerentemente sulle due posizioni opposte. Io solo, con la mia idea di responsabilità. Lui anche solo, con le sue convinzioni. Io solo con la gente comune che mi stringeva la mano: solidarietà privata e silenzio pubblico. Non troverà su di un giornale italiano un giudizio positivo. Solo sui giornali stranieri. Da ultimo, la settimana scorsa, sull' Economist». Quel settimanale ha scritto che fu Fazio a determinare le sue dimissioni. Allora però il Governatore non era solo. «Lui pure era solo nel suo Palazzo e nei circoli accademici, nei salotti delle mezze coscienze e delle mezze verità, sepolcri imbiancati, corifei di un potere allo zenith che, è sempre così nella storia, pare eterno proprio quando sta diventando caduco. Sono gli stessi che ora gli si rivoltano contro. Ci sono casi in cui la sconfitta non è una vergogna e la vittoria è solo l' anticamera della sconfitta». Un po' quello che sta accadendo con le Opa su Antonveneta e Bnl, non trova? «Ci sono nel capitalismo due figure categoriche: l' etica protestante e la sindrome svizzera. Nella prima il rispetto delle regole non dipende tanto da un imperativo morale, quanto da una ragione di convenienza. Le regole sono un investimento. Violarle è una perdita. Nella seconda la morale scatta furiosamente, ma solo dopo che è scoppiato lo scandalo. Il capitalismo italiano mi sembra caratterizzato più dalla seconda che dalla prima». Lei parla di regole e di etica. Giovanni Consorte sostiene che Tremonti è stato suo consulente nella vicenda Bnl. Come la mette? «Al momento del mio ingresso nel governo e per atto pubblico ho interrotto la mia attività professionale integralmente e a ogni effetto. Tra l' altro negli stessi termini in uso nei Paesi anglosassoni in casi identici. L' attività successiva svolta dallo studio, e a maggior ragione da studi collegati, mi è totalmente ignota e indifferente. Le confesso che le uniche scalate per cui ho interesse sono quelle in montagna». È opinione diffusa che la vicenda nella quale appare coinvolto Fazio mina la credibilità del Paese. Condivide? «Le crisi del 2003 e del 2004, le crisi Argentina, Cirio, Parmalat, impattavano sul risparmio popolare. La crisi del 2005 impatta sul mercato finanziario. Tutte erodono le basi di credibilità internazionale dell' Italia. Per quantità e qualità, qualità si fa per dire, le vecchie erano comunque più gravi di questa nuova. Solo che questa viene in sequenza dopo di quelle». Eppure sono vicende molto diverse... «Tutte, dai bond alle Opa, dal risparmio al mercato, hanno comunque in comune la stessa causa, la stessa dinamica storta del potere». Fatto sta che nessuno aveva coscienza della gravità della situazione prima di leggere le intercettazioni. «Per capirlo non c' era bisogno delle intercettazioni telefoniche. Non era necessario guardare dal buco della serratura. La mappa del potere si legge con strumenti diversi, per questo qui non voglio occuparmi di cronaca». Come sarebbe a dire? È dei fatti di questi giorni che stiamo parlando. «Se insiste le faccio un solo esempio. Fuori dalla meccanica giudiziaria non era necessario ascoltare la telefonata di Lodi, ma sufficiente guardare la passeggiata di Lodi (la passeggiata di Fazio, Fiorani e Gnutti al Forex del 2002, ndr). La iconografia del potere e del favore. La pubblica funzione non deve solo essere, ma anche sembrare neutrale. Se vuole, c' è in quella immagine troppo contrasto tra la pretesa "sacralità" della funzione e la terrena banalità dei comportamenti». Una specie di dottor Jekyll e Mr Hyde. Questo è Fazio? «Le risponderò in modo insieme retorico e diplomatico, con La fenomenologia di Mike Bongiorno, di Umberto Eco, con la separazione tra persona e personaggio. La persona è buona, il personaggio è insieme vittima e artefice di una patologia del potere». Non dirà che il conflitto con Tremonti non è stato un conflitto di potere. «Il conflitto è stato reale, tra due diverse visioni sul governo della cosa pubblica, tra etica delle intenzioni ed etica delle responsabilità». Che differenza c' è? «L' etica delle intenzioni è premoderna. Si basa sulla coppia dialettica buono-cattivo. Se le intenzioni sono buone, le conseguenze, quali che siano, sono comunque irrilevanti. L' etica delle responsabilità è moderna, si basa sulla coppia dialettica bene-male. Se non ho fatto bene, pur se con le migliori intenzioni, sono responsabile. Al fondo ci sono due diverse idee del potere. Una antica, autocratica, e una moderna, democratica». Questo rimprovera a Fazio? Di essere autocratico, e non democratico? «Per capire bisogna fare un discorso sul potere economico in Italia, fuori dalle polemiche che essendo tardive sono troppo spesso strumentali e fuori dalla miopia di troppi e scomposti interessi particolari. Sostanzialmente ancora senza fondi pensione e con un mercato finanziario limitato, il capitalismo italiano è in larga parte alternativamente familiare o bancario. Per questo le banche sono uno straordinario centro di potere esercitato sulle imprese indebitate con le banche o interessate alle banche. In aggiunta c' è l' influenza esercitata dalle imprese sulla stampa. Per questo il controllo sulle banche è in Italia a sua volta l' epicentro del potere. L' errore di questa ultima gestione di Banca d' Italia è stato proprio nel suo rapporto con le banche». Ma è la legge che assegna alla Banca d' Italia i poteri sul credito. «La storia della Banca d' Italia può essere sintetizzata in tre fasi. Nella prima fase, storica, la Banca è stata costruita ed ha funzionato come un castello di potere autonomo, autonomo ma derivato, mai proprio. Le sono state cedute quote di potere sovrano, dal signoraggio sulla moneta al potere normativo e amministrativo. Ma il potere di ultima istanza è stato sempre riservato alla politica. La politica rispettava i Governatori e i Governatori rispettavano la politica». Però hanno sempre avuto il mandato senza scadenza, come garanzia di indipendenza dalla politica. «Il mandato non è mai stato vitalizio ma sempre revocabile. I Governatori offrivano le loro dimissioni quando lo suggeriva la loro sensibilità istituzionale, addirittura in occasione di cambi di governo, e comunque in certi passaggi rituali: quando andavano in pensione, quando avevano trascorso un decennio nel loro mandato». Cosa che Fazio, a differenza dei suoi predecessori, non ha fatto. Pur essendo Governatore da 12 anni e in pensione da quattro. Voleva dire questo? «Faccio un discorso di sistema. La seconda fase inizia al principio degli anni Novanta e coincide con il fallimento della politica. La Banca d' Italia esercita allora al servizio dell' Italia una funzione straordinaria di supplenza». Che culmina con Carlo Azeglio Ciampi a Palazzo Chigi. E poi? «La terza fase è l' Europa. Le banche centrali nazionali perdono la moneta e con questa la parte dominante della loro funzione. Perciò in tutta Europa le banche centrali si riducono e si ristrutturano. In Italia è stato l' opposto». E come lo spiega? «La nostra banca centrale si è spostata dalla moneta all' economia reale, dalla lira alle banche. La nuova dimensione europea, la nuova meccanica del mercato aperto vengono gestite con un obiettivo nuovo: la difesa della "italianità" del nostro sistema bancario». Non era forse un obiettivo giusto? «L' obiettivo "nazionale" può essere giusto o sbagliato. Ma è comunque un obiettivo politico. Per questo in Europa è variamente ma sempre direttamente gestito dai governi». Invece nel nostro Paese se n' è occupata Bankitalia. È questo che non le va giù? «L' obiettivo "nazionale" può essere perseguito facendo crescere le banche nazionali o difendendole. Con mezzi economici o giuridici. In Italia la difesa è stata fatta utilizzando più questi ultimi che i primi, e compensando il deficit con varie forzature. E proprio questi sono stati e sono i due punti critici. Cercare di sostituire i fondamentali economici con l' uso a volte forzato degli strumenti regolatori, procedere per obiettivi più che per regole». Fazio sostiene di non aver fatto altro che usare i poteri che la legge gli dà. «Ma proprio questo schema, basato tanto sul potere di vigilare sulle banche, quanto sul potere di influire sulla organizzazione e sulla crescita delle banche, ha via via dato ragione e corpo a un meccanismo di potere assoluto e autocratico, imperscrutabile e a volte anche dispotico». Dispotico? «È stato detto che il potere assoluto corrompe assolutamente. Non di corruzione personale parlo, la escludo in radice, ma di potere che assume forme misteriche e quasi magiche, si autoalimenta e si trasforma, anche sconfinando nella politica». Sa spiegare perché il problema è scoppiato soltanto ora? «Questo schema, l' uso intenzionale, "a fin di bene", per la difesa della "italianità", della cosiddetta moral suasion, pur se con un eccesso di espedienti e di aggiramenti, ha funzionato con grande efficienza preventiva "Italia su Italia". Non troverà da nessuna parte la contestazione formale da parte di una banca italiana di una indicazione formulata dalla Banca d' Italia. Non ha invece funzionato "Europa su Italia"». Cioè l' hanno fatto saltare Bbva e Abn Amro, con i tentativi di scalata a Bnl e Antonveneta? «Il potere assoluto ha un destino fatale: per funzionare deve funzionare sempre. Se cede una volta cede per sempre. Semplicemente le banche straniere non hanno preventivamente rispettato la moral suasion della Banca d' Italia. Si sono basate sull' Europa e hanno detto: "il Re è nudo". Sono andate avanti nel loro interesse pensando e sapendo che il potere reale era ormai nella Commissione europea, nella Corte di giustizia europea». Ma per ora hanno perso. A meno che la magistratura... «Il particolare sviluppo delle operazioni in corso, il destino delle Opa, quale che sia, e la loro sorte giudiziaria, quale che sia, sono in realtà meno rilevanti di questa meccanica strutturale e fondamentale. Ed è su questa che nell' interesse del Paese si deve riflettere per reagire. Per cominciare notando che una grande forza dell' economia italiana è proprio nel risparmio». Cosa c' entra adesso il risparmio? «Il risparmio è la base di forza delle banche. È paradossale che l' enorme stock di risparmio italiano sia oggi sentito soprattutto come una debolezza: la preda, l' esposizione all' "attacco" estero. E all' opposto non come una forza: la base per la proiezione estera del nostro sistema bancario. Molto più di quanto fatto finora e linearmente, applicando le regole di mercato, le banche italiane possono e devono concentrarsi fra di loro per fare crescere esponenzialmente la loro forza. Soprattutto questo è il vero strumento per la difesa della "italianità"». Come finirà lo scontro su Fazio? «Il conflitto non è stato e non è personale, ma reale. Anche la soluzione può conseguentemente essere solo reale. Serve subito una nuova legge sul risparmio. Personalmente mi riconosco ancora nel testo già approvato dal governo nel gennaio del 2004». Che assomiglia molto, e forse non è un caso, alla proposta di Prodi. E che ne sarà, alla fine, della Banca d' Italia? «Ancora pochi anni fa la Banca d' Italia aveva grandi punti di forza, non solo morali, anche tecnici. Il monopolio della lingua inglese e dunque dei rapporti internazionali. Il monopolio della conoscenza economica. Questi monopoli sono finiti. Ma dentro la Banca d' Italia ci sono ancora grandissime risorse. Semplicemente si deve avere e dare fiducia e investire da oggi in poi sui giovani».