Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

«L'Italia non conta in Europa? Chirac non può averlo detto»

Tremonti replica al colloquio fra il presidente francese e Prodi «Madrid non è davanti. Il rapporto con Washington ci rafforza»

Professor Tremonti, il presidente francese Chirac non è stato gentile. A Prodi ha detto che l'Italia conta di meno.
«Non credo che l'abbia detto. Tra le ragioni per cui non lo credo ci sono i due ultimi vertici italofrancesi, a Parigi lo scorso luglio e a Roma a gennaio: due grandi successi. E se anche l'avesse detto, sarebbe una valutazione inesatta».
Non se lo sarà mica inventato Prodi.
«Guardi, uno statista tutto può fare tranne che parlare male del suo Paese, soprattutto all'estero o dall'estero. E' una cosa molto triste, perseguire l'interesse di parte contro l'interesse nazionale. E' una cosa che non aiuta a contare di più; piuttosto prova proprio quel che si vuole contrastare, e cioè che l'Italia all'estero non fa sistema».
Allora è vero che contiamo di meno?
«No. E' vero il contrario. Negli ultimi anni, lo scenario è stato radicalmente cambiato da due fatti nuovi: l'allargamento dell'Europa a 25, e la nuova struttura delle relazioni transatlantiche. L'allargamento ha spostato l'asse verticale franco-tedesco e sta creando un sistema orizzontale e plurale. Ha eroso gli antichi assetti di potere e ne sta configurando di nuovi, che mutano continuamente, in un sistema di coalizioni variate e variabili. A un'Europa statica è succeduta un'Europa dinamica. E la posizione dell'Italia nel nuovo assetto orizzontale è straordinariamente positiva; vuoi per la capacità politica del presidente Berlusconi, vuoi per la nostra particolare Ostpolitik, vuoi per il lavoro di integrazione fatto nel semestre decisivo per l'allargamento, che è stato il semestre di presidenza italiana. Siamo di fronte a un nuovo "ager" politico, che arriva fino alla Russia, e ci vede in posizione di vantaggio».
Anche rispetto a Madrid? La Spagna prima di Aznar e oggi di Zapatero è data in sorpasso.
«La Spagna è un Paese dinamico e sistemico. Però francamente non vedo una grande performance economica spagnola. Un dato per tutti: un punto del loro pil è ancora dovuto agli aiuti europei; il che riporta i dati di Madrid alla media continentale».
E le relazioni transatlantiche? «Le relazioni transatlantiche sono un continuo storico che passa attraverso fasi ascendenti e discendenti. La regola aurea della diplomazia italiana è sempre stata coltivare rapporti Privilegiati con gli Stati Uniti. Ora questo rapporto privilegiato vive una fase straordinaria, che rafforza anche la posizione dell'Italia in Europa. Non a caso noi non siamo mai stati fuori dai "tavoli 4 +1"».
Che cosa sono?
«Riunioni informali e poco note, ma regolari e continue. Quelle che contano di più. Se mai ci fosse stata una tendenza francotedesca a escluderci, in Europa, le relazioni transatlantiche hanno sempre fatto sì che l'Italia fosse presente ai tavoli davvero importanti, in cui si prendono le scelte fondamentali».
Resta una percezione diffusa di declino. Politico, ed economico.
«Il governo italiano è stato dentro a tutte le grandi scelte europee, da ultima la gestione e la revisione del Patto di stabilità. Ha dettato l'agenda. Siede al tavolo europeo in posizione paritetica con i Paesi più importanti».
Ma l'Italia cresce meno, e ha il debito pubblico più alto.
«In termini di economia reale il raffronto corrente è quello con la Germania. E' vero che la Germania esporta di più, ma noi stiamo meglio per occupazione, inflazione, riforme. E siamo l'unico grande Paese a non aver violato il Patto, con i conti pubblici nella norma. I dati della crescita si possono leggere in molti modi, a seconda delle aggregazioni e dei termini di paragone. L'Italia è nella media europea».
Una media molto bassa.
«Ecco il punto. Da almeno quindici anni l'Europa cresce molto meno del suo potenziale. E da quando c'è l'euro, si e piantata. E' un dato oggettivo: l'eurozona è ferma. L'11 settembre c'è stato in America, ma oggi l'America cresce del 4 per cento. La Cina cresce del nove punto zero, noi siamo anche stati allo zero punto qualcosa. La struttura dell'economia europea è in stagnazione: una crisi dalle radici profonde, una debolezza strutturale. In Italia le cause vanno ricercate negli Anni '90, quando l'economia mondiale, europea, italiana andava bene, non certo per merito del centrosinistra, ma senza che il centrosinistra facesse le riforme necessarie. Noi, con l'economia ferma, abbiamo fatto la riforma delle pensioni, del mercato del lavoro, della legge per le infrastrutture, e tante altre. Loro quali riforme hanno fatto? Berlinguer e Bindi?».
Il libero commercio. L'immigrazione.
«Con quali risultati? No, non hanno fatto riforme strutturali, ma l'una tantum da 120 mila miliardi. Per la verità una cosa il centrosinistra ha fatto: è stato il campione del mercatismo mondialista. E' stato artefice e vittima del mito del mercato perfetto, dell'ideologia che ha prodotto un sistema ruba-lavoro, la novità storica dell'ultimo quinquennio. Nei cinquant'anni precedenti, l'Europa ha costruito il "mercato unico". Due parole che dicono tutto. Ora non siamo più l'unico mercato. Siamo entrati in una nuova era, dominata non dall'ideologia dell'integrazione, ma dalla realtà della competizione».
Quando Prodi parlò della fine del pensiero unico, lei annunciò una stagione in cui lo Stato sarebbe tornato a esercitare un ruolo. Neocolbertismo, si disse. Qualcuno intese che lo Stato si preparava a intervenire in aiuto delle grandi imprese in crisi. E' così?
«E' l'attuale sistema europeo che subordina gli aiuti per le imprese alla regola per cui al capitale pubblico deve corrispondere un'uguale quantità di capitale privato. Ma le imprese si possono aiutare in molti modi: con i benefici; ma anche eliminando i malefici. Hanno passato anni a fabbricare regole, ma ora non possiamo pretendere che il resto del mondo si adatti alle regole europee. Occorre un ridisegno che ripensi l'intero sistema, compresi gli strumenti di sostegno alle imprese: meno regole, più protezione della produzione e del lavoro europei».
E' una visione che le pare condivisa in Europa e nei due schieramenti italiani?
«Le idee buone camminano in salita. Le idee sbagliate vanno sempre in pianura o in discesa. Dobbiamo in Europa andare oltre i pregiudizi, rinunciare ai miti, smontare il vecchio meccano mentale. Le idee sono sempre le più difficili da cambiare, più degli usi, dei costumi, delle tradizioni. Ora si tratta di scegliere tra la danza del ballo Excelsior, che accompagna lo scivolare del vecchio continente verso il declino, e la camminata in salita delle idee. Dobbiamo scegliere tra danzatori e camminatori».