«L'Europa rischia di pagare cara l'utopia di un mercato perfetto»
Negli Usa la vigilanza non si concentra sui mezzi, ma solo sul fine: la protezione del consumatore.
Il «Corriere» ha pubblicato ieri in prima pagina due articoli. Il primo, sotto il titolo: «Le nomine all' Antitrust. La responsabilità di Pera e Casini». Il secondo, sotto il titolo: «Scarpe e stoffe cinesi senza più vincoli. Timori di invasione». Sono tutti e due temi importanti. Ma quale dei due è drammaticamente più importante: l' Antitrust o la Cina? Chi scrive pensa - e da tempo - che, prima del prossimo e vero inizio della guerra commerciale con la Cina, la nuova (vecchia) Europa stia - come nel 1914 - replicando un suo festoso, incosciente «Ballo Excelsior». L' utopia di un mercato stilizzato, perfetto, surreale. L' utopia di un «dover essere» che dovrebbe poter prevalere sull' «essere». Al fondo, due diverse visioni di quel che sta succedendo intorno a noi, due diverse stime della cifra storica e drammatica dei processi economici e sociali in atto. Quali dinamiche, quali cascate di fenomeni si stanno riversando sull' Europa? Partiamo pure dall' Antitrust. In italiano: «Autorità garante della concorrenza e del mercato». In Europa abbiamo venticinque Antitrust nazionali più una europea. In Cina, nessuna. In Europa il sistema antitrust si sta raffinando, sofisticando, complicando, in base alla «dottrina degli effetti», che consente all' Antitrust di uno Stato europeo di intervenire orizzontalmente, nell' interesse del suo mercato nazionale, sulle operazioni fatte dentro un altro Stato europeo. Salvo doppio ricorso nazionale e/o europeo, salvo l' intervento dell' ENC (European Competition Network). Qualcosa di simile ad una sempre più fitta ragnatela per le industrie. In Cina si stanno, per contro e contemporaneamente sviluppando, non limitati ma all' opposto aiutati dallo Stato, vertiginosi processi di integrazione industriale verticale ed orizzontale. Alla totale libertà di organizzazione si aggiunge ora la totale libertà di esportazione in Europa. Scrive Monti: «La politica della concorrenza va salvaguardata». Certo. Ma come? Quale è il mercato di riferimento? Locale o globale? L' Europa può imporre le sue regole al mondo o è il mondo che sta imponendo le sue (non) regole all' Europa? In realtà, l' Europa non è più il mondo, ma solo una parte del mondo. La stessa formula «mercato europeo» è ormai un nonsenso, perché ora il mercato o è globale o non è. La visione non può essere asimmetrica. Come può l' Europa concorrere nel mondo con regole che al suo interno assumono e disegnano un mercato perfetto, contro un mondo dove le regole non esistono affatto o sono radicalmente diverse, come negli USA, in cui l' Antitrust non si concentra sui mezzi (l' architettura delle strutture industriali), ma solo sul fine: la tutela del consumatore? Come si può competere con regole diverse o con le mani legate dietro la schiena? Si può essere indifferenti od ottimisti? Certo, ci sono Paesi europei che aumentano le esportazioni in Cina. Certo, ma non sono tanto esportazioni di prodotti, quanto di impianti. Ideali per fare nascere imprese concorrenti con alta tecnologia e basso costo del lavoro. Nel lungo andare, quando (prestissimo) la migrazione della produzione si sarà sviluppata su vasta scala, potranno sopravvivere in Europa imprese senza più manodopera, masse senza lavoro, consumatori senza redditi? Dunque: mercato surreale o mercato reale? Difesa dell' utopia di un mercato stilizzato e perfetto o difesa della produzione e del lavoro europeo? Che fare? Cosa si sarebbe dovuto e potuto fare è noto: evitare l' errore storico, fatto in sede di WTO con una apertura dei mercati istantanea e totale, e non graduale e progressiva. Appena pochi anni fa sarebbe stato possibile prevedere tempi e regole più lunghi, non per frenare ma per governare la globalizzazione. Cosa si può fare ora? Gli USA proteggono la loro produzione all' interno e la proiettano all' esterno, con il loro doppio deficit fiscale e commerciale, con la loro forza politica. In Europa ciò che ora serve è certo molta più concorrenza, dentro i mercati nazionali. È vero. Ma è vero che serve anche meno ideologia dentro i vecchi meccanismi europei. L' Europa politica non può fare ancora e per ora la politica che stanno facendo gli USA. Ma almeno l'Europa eviti, in positivo ed in negativo, per scelta o per inerzia, eviti di costituire - rispetto agli USA - il contromodello perdente.