Il «codice Tremonti»: contro la Cina? Più Europa
Esce il saggio-thriller del ministro: «Non solo l' 89, il ' 94 del Wto ha cambiato tutto» «Dall' unificazione tedesca alla caduta del muro di Pechino: i nuovi vincoli dell'Italia»
Bloccato a Milano da un fastidioso problema al menisco, Giulio Tremonti ha tempo di godersi il primo giorno del suo saggio in libreria. Qualche amico ironizza sul guaio al ginocchio, alludendo a misteriosi influssi provenienti da Palazzo Koch, ma ad altri misteri si è applicato Tremonti, nei mesi in cui scriveva questo suo ultimo libro. Già il titolo, per dire, ricorda più un più thriller americano che non un saggio di economia: «Rischi fatali». Dite voi se non vi sembra Grisham. In realtà, il saggio è costruito come un giallo misterico, e un poco ricorda certi passaggi del Dan Brown del «Codice da Vinci» o di «Angeli e demoni». Comunque: chi leggerà «Rischi fatali» cercando nel Tremonti-pensiero tracce della Finanziaria appena elaborata vi troverà solo alcuni punti fermi: «Il cinque per mille, per esempio, o l' attenzione ai distretti, ai brevetti. Ma non c' è un legame specifico», spiega Tremonti. Si parla molto di Europa in questo saggio Mondadori, ma il primo capitolo introduce subito l' elemento «misterico», ruotando attorno a due date: 1989-1994. L' una è una «data calda», l' altra «fredda», e però sono giocate tutt' e due in una sorta di «codice Tremonti». Questi i collegamenti: 1989-1994; 1994-2001; 2001-2006. Appassionato frequentatore di thriller dove storia e attualità si mescolano, Tremonti racconta, così come gli è stata narrato, quel che c' è dietro il big bang del 1989, l' unificazione tedesca. «La storia è venuta fuori una sera, dopocena, mentre con altri colleghi europei chiacchieravamo davanti al caminetto. Uno di noi prese a raccontare». E' la storia che si trova nel capitolo «Il treno di Praga». «L' unificazione tedesca era stata preparata per decenni, impostata tra l' altro anche nelle riunioni di Aspen Berlin, ma la lunga incubazione subisce un' imprevedibile accelerazione nell' estate del 1989. Per la prima volta migliaia di tedeschi dell' Est vanno in vacanza a Praga e in Ungheria. E là chiedono asilo nelle ambasciate della Repubblica Federale». Da lì, si mette in moto il big bang. In quella serata davanti al caminetto, il misterioso ministro europeo racconta della decisione di Genscher, allora ministro degli Esteri di Kohl, di accelerare tutto, del treno che, per l' appunto da Praga, porterà i rifugiati dell' Est a Bonn, della riunione segreta in cui anche l' Spd, allora all' opposizione in Germania, fu messa al corrente di quanto sarebbe accaduto, delle telefonate da Washington e da Mosca, due nulla osta. Due sole capitali, due soli leader, reagirono negativamente: Mitterrand a Parigi e la Thatcher a Londra. In quei giorni «si compì lo scambio tra riunificazione tedesca e fine del marco. Fu la nascita dell' euro». Nel suo libro, Tremonti cita Jacques Delors: «A volte la grande storia può essere servita da fatti misteriosi» ed è la formula misterica del «tre volte cinque» a fare da guida al saggio per ricostruire come dalla data «calda» dell' 89 si arriva a quella «fredda» del 1994: «A Marrakesh, quell' anno, si definisce il vero assetto del mondo, nasce il Wto, si liberano le forze chiuse nei forzieri militari». Si libera Internet, «finché, alla fine del 2001, le forze liberate si scatenano su due onde di ritorno. Alla pressione della globalizzazione il mondo arabo risponde negativamente, con una reazione identitaria che rifiuta la struttura "blasfema" del modello neo-coloniale. In Asia, invece, la reazione è positiva: dopo il muro di Berlino, cade il muro di Pechino». Tornano i confronti delle date, per l' autore di «Rischi fatali» l' 11 settembre 2001 è ovviamente, e ancora, la data della svolta, ma invita a tenere presente anche un altro 11 2001, l' 11-12-2001, per l' esattezza: «Quel giorno, la Cina entra nel Wto». Una delle più frequenti obiezioni mosse a Tremonti è l' aver insistito sul timbro dell' ottimismo anche dopo l' 11 settembre 2001. Non sarebbe stato più semplice dire la verità circa lo stato dell' economia? «Quel che successe dopo il 2001 è stato chiaro ex post. In un saggio del ' 95, "Il fantasma della povertà", io avevo fatto un' ipotesi predittiva sugli effetti della globalizzazione sull' Europa, ma certo non sapevo come e quando si sarebbero verificati. A rileggere i comunicati degli Ecofin o delle riunioni del Fmi o dei G7 post 2001, si vedrà ricorrere sempre i termini "congiuntura", o criticità congiunturale. Non era faciloneria. Da un lato, si volevano determinare comportamenti positivi, dall' altro davvero era difficile capire la portata dei fenomeni. Gradualmente emergeva l' asimmetria: Usa e Asia andavano bene, l' Europa no». Anche in Europa, però, ci sono Paesi che, nonostante tutto, oggi stanno meglio dell' Italia. «Allude alla Germania? Il declino italiano diventa chiaro negli anni 90. Il nostro Paese è riuscito a entrare nell' euro, ma non è riuscito a restare nella competizione. Abbiamo subìto quattro choc: dalla svalutazione continua alla supervalutazione della moneta. Non è una difesa, è una constatazione. Dagli alti rendimenti sui Bot a quasi zero. Poi ci sono stati il cambio lira-euro e la concorrenza asiatica asimmetrica. La Germania ha retto meglio? Io ho grande rispetto per intellettuali come Sergio Romano o Renato Brunetta, ma la mia esperienza è diversa. Vedo che noi di riforme di competenza dello Stato in quattro anni ne abbiamo fatte molte, dal lavoro alle pensioni: la nostra riforma delle pensioni è tra le migliori d' Europa. Riforme di questo tipo la Germania non le ha ancora fatte. Non a caso il programma di Schröder si chiamava "Agenda 2010". La vera riforma tedesca è stata quella dell' industria, che ha però trasferito i costi sul bilancio pubblico. Hanno delocalizzato produzione e tassazione ma hanno localizzato il Welfare. Hanno creato 5 milioni di posti di lavoro fuori e cinque milioni di disoccupati in Germania. E' questa una delle differenze tra made in Germany e made by Germany. Dopo un secolo e mezzo di industria la Germania può diventare una società postindustriale e postmoderna? Terra di designer e informatici, di finanzieri e pubblicitari? E' possibile far passare circa diciotto milioni di tedeschi orientali, più o meno un quarto della popolazione, quasi di colpo dal comunismo al postindustriale? Anche per questo il caso Germania mi sembra un caso particolare».