Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Secolo d'Italia

Collegialità, Tremonti ora ci crede

«Da fuori ho capito cosa non va». «Fisco, giusto l'approccio di An». «Prodi, che errori...»

ROMA. La prima correzione di Giulio Tremonti arriva sulla definizione del Berlusconi-bis. «Nuovo governo? No, governo nuovo, è diverso...». La seconda quando la discussione scivola sull'economia: «Ora parlo da politico, non da tecnico, e mi sono ripromesso di non affrontare temi economici». Il Tremonti-bis si concede un paio di eccezioni solo quando parla di strategie di crescita europea e di filosofia d'azione per il Sud, poi si rituffa subito nel suo ruolo politico di vicepremier chiamato a coordinare le energie di tutti gli alleati.
Cosa intende per governo nuovo, cos'è cambiato?
Non solo la composizione dell'esecutivo, ma soprattutto la proiezione verso nuovi obiettivi, in primis quello del Mezzogiorno.
Le incomprensione con An, quando lei era ministro dell'Economia, nascevano da un deficit di collegialità nelle decisioni di carattere economico. C'è qualcosa di nuovo anche qui?
Se non fossi convinto della necessità di una politica condivisa non sarei entrato nel governo, per due ragioni: perché ci sarebbe stata preclusione nei miei confronti da parte degli alleati e perché io stesso mi sarei rifiutato si accettare un incarico senza esserne convinto.
Da osservatore esterno, in un anno fuori dal governo, che idea si è fatto del calo di consenso per la Cdl?
In effetti ho avuto tempo per riflettere, per meditare. E sono arrivato alla conclusione che i fattori che hanno messo in crisi il governo sono stati due: l'euro e l'Asia. Ed entrambi i problemi nascono a livello europeo.
Partiamo dall'euro: colpa di Prodi o del governo Berlusconi che non ha controllato la perdita di potere d'acquisto?
Colpa di un passaggio troppo rapido alla nuova valuta, che ha distrutto la capacità di calcolo o l'ha resa illusoria. La fotografia esatta di cos'è accaduto in Italia la si ha andando in un bar: provi a guardare le mance lasciate sul bancone, sono almeno il doppio di quando c'era la lira. Qui in Italia la conversione della valuta è diventata un'operazione approssimativa, che ha portato a una sbagliata percezione del valore delle monete metalliche, finendo per avallare l'equazione "un euro uguale mille lire". Il risultato è che l'euro ha spostato quote di ricchezza da un pezzo all'altro della società, con una dinamica paragonabile a quella di una guerra: oggi una metà della società italiana, che ha galleggiato sull'euro, è più ricca, un'altra metà si è impoverita.
E la mancanza di controlli?
Un'accusa gratuita. Torniamo all'esempio del bar: non c'è controllo che tenga quando si paga qualcosa arrotondando in eccesso, mica potevamo mettere un finanziere a tutela di ogni cittadino?
E il ruolo di Prodi nella crisi economica?
La "sua" Europa ha gravi colpe soprattutto sul piano della competizione internazionale. Mentre tutto il mondo cresceva, dopo l'11 settembre, il Vecchio Continente guidato da Prodi scriveva regole burocratiche rigidissime sulla produzione europea senza muovere un dito sull'invasione dei prodotti asiatici che schiacciava la nostra crescita vanificando ogni principio di leale concorrenza. Solo oggi, senza Prodi, l'Europa inizia a prendere delle misure sul problema della Cina, meglio tardi che mai, ma io ne parlavo da anni.
Dopo Prodi, però, l'Italia ha vinto la battaglia sui criteri di Maastricht...
Una battaglia di principio, ma ora deve iniziare quella sulla concorrenza, sugli investimenti pubblici, sulla necessità di rendere l'Europa competitiva nel mondo. Un mondo che è cambiato rispetto a mezzo secolo fa, quando fu firmato il Trattato di Roma: oggi il problema non è l'integrazione, ma la competizione.
Quali saranno le prossime battaglie del governo italiano a Bruxelles?
Sicuramente quella per l'attrazione di capitali dall'estero, con la creazione di aree a tassazione zero nelle zone più depresse. A cominciare dal Sud Italia.
Proprio lei, che era considerato la massima espressione dell'asse del Nord con la Lega, ora si presenta come il simbolo della nuova fase di focus del governo sul meridione. Cos'è accaduto?
Nulla, semplicemente non esisteva nessun asse del Nord. Le faccio un esempio: la mia proposta per una Banca del Sud nasce molto tempo fa, quando ero ministro, e partiva da una considerazione molto semplice: è inutile stanziare fondi pubblici al Sud se il territorio non è in condizione di riceverli perché manca un segmento, quello creditizio. Oggi nel meridione esistono tante banche, ma quasi tutte con sportelli di raccolta del risparmio. Ma scarseggiano gli investimenti. Anche perché gli stessi strumenti di finanziamento delle imprese sono vischiosi, confusi, li abbiamo ereditati dalla sinistra. Ecco, il nostro errore è stato quello di non cambiare quelle leggi, anche se abbiamo finanziato il Sud più dei passati governi del centrosinistra.
A proposito di Sud, laggiù sono tutti convinti che la devolution li allontanerà ancora di più dall'Europa...
Qui condivido chi parla di un difetto dì comunicazione. La devolution non comporta nessun rischio per il Mezzogiorno. E poi rientra in un progetto unitario di riforme basato su tre anime: presidenzialismo, federalismo e proporzionale come espressione della continuità repubblicana.
E bipolarismo, immagino...
Certo, ma il bipolarismo Io puoi ottenere sia con il proporzionale che con il maggioritario: ma il primo sistema, a mio avviso, rappresenta la massima espressione della continuità repubblicana.
La partita delle prossime Politiche si giocherà soprattutto su temi economici e fiscali. Lei condivide la proposta di An sul quoziente familiare?
Preferisco non parlare più da tecnico su argomenti economici, ma farò un'eccezione: nel nostro programma del 2001 c'è già l'idea della famiglia come unità di riferimento per il calcolo della base d'imposta. Anzi, c'è il progetto di attribuire a ogni famiglia un codice fiscale, che non è il cartellino con i numeretti ma il parametro di riferimento per considerare la composizione dei nuclei come soggetti fiscali unitari. Ed è quest'ultimo il nostro obiettivo, la nostra filosofia di fondo sul fisco: poi se ci si possa arrivare con il quoziente familiare o con un incremento delle deduzioni è una discussione che lascio ai tecnici.