«Vinceremo, per noi voteranno i padroncini e gli operai»
Di fronte agli insistiti tentativi del centrosinistra di separare il Polo dalla Lega, il futuro ministro dell'Economia del governo delle libertà e stratega azzurro dell'alleanza con il Carroccio, Giulio Tremonti, si sente nella parte dell'uccellino Titti, star dei cartoni animati: «Veltroni mi sembra come il gatto Silvestro che inutilmente cerca di darsi da fare. Ma devono capire che non c'è trippa per gatti e il nostro rapporto è solidissimo».
Di fronte agli insistiti tentativi del centrosinistra di separare il Polo dalla Lega, il futuro ministro dell'Economia del governo delle libertà e stratega azzurro dell'alleanza con il Carroccio, Giulio Tremonti, si sente nella parte dell'uccellino Titti, star dei cartoni animati: «Veltroni mi sembra come il gatto Silvestro che inutilmente cerca di darsi da fare. Ma devono capire che non c'è trippa per gatti e il nostro rapporto è solidissimo». Poi, imitando il suo leader Silvio Berlusconi, si estranea completamente dal teatrino della politica, e spiega le ragioni storiche, economiche, sociologiche e filosofiche che stanno alla base dei criteri antisismici con cui è costruita la Casa delle libertà. Insomma, questa non è un'intervista, è un trattato. Che parte dal passaggio epocale del centrosinistra: «Sono andati da Marx to market. E, invece, leggere Marx può essere utile».
Lei fa un'intervista al Giornale in cui parla di Marx? Parlo proprio con l'onorevole Tremonti?
«Poco spirito e mi stia a sentire. In Italia ci sono due blocchi sociali: da un lato, quello statalista che comprende la grande industria, il sindacato, le burocrazie intellettuali e di servizio. Dall'altro, ci sono i non statalisti: piccoli imprenditori, professionisti, artigiani, commercianti, operai... Dov'è la novità rispetto agli standard classici ottocenteschi e novecenteschi?».
Le domande dovrei farle io. Comunque, la novità sta nella presenza degli operai nel blocco non statalista.
«Perfetto, la novità è che nei capannoni lavoro e capitale non sono antagonisti, ma si saldano in un'unica koinè. Per noi votano i padroncini ex operai e gli operai ex padroncini, le loro famiglie e gli operai delle grandi fabbriche o gli statali che hanno un figlio e sanno che né la grande industria, né lo Stato darà lavoro ai loro figli. Tutte queste categorie che stavano nel blocco statalista sanno che per loro il futuro è nell'altro blocco».
Quindi votano per voi?
«Sì ed è una novità rivoluzionaria: la chiave del successo della Casa delle libertà è la sua capacità di aggregare gli operai, la povera gente... Di là, con il centrosinistra, resta l'ancien regime, i parrucconi, i ricchi dei salotti...».
Bello. Ma che c'entra tutto questo con la tenuta dell'alleanza fra Polo e Lega?
«Fino a oggi, in Italia, chi rappresentava la maggioranza del prodotto interno lordo era un gigante economico e sociale ma un nano politico. A sinistra si rendono conto che, se quel nano cresce, per loro è finita; la parabola della sinistra italiana di oggi è quella dei nobili che passano dalla macchina sociale del castello al palazzo, luogo del lusso ozioso...».
Questa rivoluzione italiana è il motivo per cui Bossi e Berlusconi non dovrebbero litigare?
«Dal punto di vista antropomorfico, quello fra Silvio e Umberto è un rapporto di sincera amicizia, di stima e di intesa... Da ottobre a oggi, è stato un continuo crescendo. E, così come hanno già presentato alcune proposte di legge insieme, altre ne presenteranno in campagna elettorale: stanno preparando una serie di proposte rivoluzionarie. Hanno pronte delle sorpresine...».
Non mi sembrava che nel 1994 andassero così d'accordo...
«Senta, qui non stiamo parlando di teatrino della politica, qui stiamo parlando di storia. Forse con l'unica, parziale eccezione del 1948, è la prima volta che in Italia arriva al potere la borghesia. Nel 1994 era troppo presto, nel 1996 eravamo divisi, ma sei anni - quando si parla di storia - non sono nulla».
Oltre alla storia d'Italia, c'è in ballo la storia d'Europa. Come risolverete i problemi?
«La chiave sta nell'interpretazione corretta del rapporto tra globale e locale. La chiamerei giocal...».
Glo che?
«Glocal, globale più locale. La società riesce a porsi meglio di fronte alla diversità quanto più è radicata nella sua identità. Chi mette a rischio questa tolleranza non è chi rivendica l'identità ma chi inquina il rapporto globale-locale». Vorrebbe dire che i veri intolleranti sono a sinistra? «È esattamente così, ma presto si capirà anche questo. E si capirà che la devoluzione dei poteri è la vera strada per affrontare i problemi. Fra dieci anni la sosterranno anche Amato e D'Alema, con la stessa convinzione con cui la negano oggi».