Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

«Un manifesto per l'Europa»

Tremonti: la Carta? E' insufficiente

Verso quale Europa andiamo? Credo si possano stabi-lire tre punti essenziali.
Primo: l'Europa. La Confederazione americana nasce istantaneamente dal big-bang prodotto da una guerra. L'Unione europea nasce invece dopo una guerra ed integra un fenomeno che gli storici del «medio periodo» definirebbero come di longue durée» _ In specie, la vita dell'unione inizia nel 1950 ed ha una evoluzione lenta, di tipo darwiniano, articolata per fasi. Dopo la fase «eroica» è venuta la fase «economica». È solo ora che inizia la fase «politica». Tutti, e certamente con noi l'on. Rossi, vogliamo una «Costituzione» europea. Per varie ragioni: per superare il «deficit democratico», per rafforzare nella diversità l'identità europea, per aggiungere all'Euro la «cifra» che ancora gli manca. E che non gli è venuta dalla meccanica applicazione della «teoria dell'ingranaggio» («currency first»). Il problema politico è dunque, ora, cosa fare e carne fare. Le Costituzioni non esistono «in natura» ma è empiricamente verificabile che sono essenzialmente composte da due parti: una sui diritti fondamentali, una sulla forma politica. La parte sui diritti fondamentali c'è già ed è la Cedu («Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», Roma 4 novembre 1950). La Cedu ha una allure politica pari a quella propria della «Dichiarazione universale» dell'Onu (1948). Con una differenza. La Cedu non è solo un fantastico enunciato politico, e anche uno straordinario strumento giuridico. E la base su cui la Corte di Strasburgo dice diritto, dall'Atlantico alla Vistola, da Gibilterra al Mare del Nord. La Cedu richiede certo «manutenzione». Per due ragioni. Perché, paradossalmente, più si estende l'attività politica dell'Unione (che non l'ha sottoscritta) più se ne restringe il campo di applicazione (peraltro, a rimedio, c'è ormai l'art. 6 del Trattato di Maastricht). Perché non Comprende esplicitamente i c.d. diritti di ultima generazione (bioetica, privacy, prassi laburiste, ecc.). Ma funziona ancora perfettamente. Una prova, per tutte il 3 ottobre 2000, il Parla-mento di Westminster, con lo «Human Right Act» ha importa-to la Cedu nel diritto interno inglese. È un fatto straordinario. E già obsoleto? L'errore fondamentale che a nostro parere viene fatto, nel building costituzionale europeo, è dunque proprio questo: per fare una Costituzione, non si deve partire dalla parte che c'è già, ma dalla parte che non c'è ancora L'idea (formalizzata dal Consiglio europeo di Colonia) di iniziare il processo dando maggiore «visibilità», nella forma di una «Carta», a diritti che già sono in essere, ci pare politicamente insufficiente. E discutibile, nel merito e nel metodo. Nel merito, molte nuove formule contenute nella «carta» sono oggettivamente e democraticamente discutibili (oppure le Conferenze episcopali d'Europa, riunite in consiglio a Locanro, o l'«Economist», che ha definito «vacous» la «Carta», sono centrali dell'eversione?). E poi nel metodo. L'on. Manzella («Repubblica», 26 ottobre 2000) esalta un metodo inedito di fabbricazione del diritto, che si basa - tra l'altro - sul ruolo dei «rappresentanti personali (sic) dei capi di Stato e di governo». Qualcosa alla Metternich. E questo, del resto, un tipo di pensiero, post-moderno e post-democratico, analogo a quello espresso dal presidente Amato, secondo cui il voto democratico potrebbe e/o dovrebbe essere sostituito dal «benchmark» tecnico. Diversamente, si può e si deve, ed è il nostro impegno, iniziare a discutere proprio la parte di «Costituzione» europea che non c'è ancora: la parte sulla «forma dell'Unione». Una discussione che deve essere «bi-partigiana», perché si tratta di «politica estera». Ma non solo per questo, per una ragione in pm: perché, credendo nell'Europa, la sentiamo non come politica estera, ma come la nostra futura «Costituzione». Dei due modelli di unione, «super-Stato» od «Unione degli Stati d'Europa», il secondo è quello che ci pare preferibile e realizzabile. La moneta (l'euro) si può fare con il «dispotismo illuminato». La Costituzione no. La Costituzione europea non può essere «ottriata» da una élite. Deve essere votata dai popoli. E la nostra ipotesi è che i popoli, se da un lato vogliono ancora conserva-re gli antichi Stati-nazione, che sono ancora il container (di quel che resta) della democrazia, dall'altro lato sono ormai pronti ad accettare di variarne la struttura, via devoluzione di quote di sovranità, verso l'alto e verso il basso. Si veda, in questo senso, la bellissima inter-vista dell'on. Fini («Corriere della Sera», 30 luglio 2000). Solo così può essere operato il passaggio decisivo, che è il passaggio: dai trattati alla «Costituzione».
Secondo: la dialettica globale-locale. C'è chi distrugge i «.McDonald's» e chi vuole salvare le trattorie. Salvarlo anche dall'Haccp, lo «standard» «sanitario» europeo. Gli standard e la banalizzazione dell'esistente, il pensiero unico e la «taglia unica», non sono il nostro modello politico. McDonald's versus polenta. Halloween versus Befana, Goretex o lana, e così via quasi. all'infinito, è questa la forma nuova del materialismo storico. La memoria sta all'individuo come la storia sta ad una nazione. Più è forte la sua identità, più una società può accettare le diversità. Per questo, per evitare rotture traumatiche e violenze, la nostra politica cerca sistematicamente un equilibrio tra globale e locale.
Terzo: il «terzo Stato». In Italia, il lavoro non è finito. Si è trasferito, dalla «fabbrica» ai «capannoni». A «livello di capannone», il padroncino è un ex operaio e l'operaio sogna di diventare padroncino. Qui non c'è conflitto capitale-lavoro, ma una stessa «koiné». E poi ci sono le famiglie. E poi chi, operaio della fabbrica o impiegato statale, sa che la speranza di lavoro per suo figlio c'è solo in questo nuovo blocco sociale. E a questo blocco che Polo+ Lega, la «Casa delle Libertà», dànno, o aspirano a dare, una rappresentanza politica. Nella storia, la «borghesia» ha sempre vinto. Certo, ma siamo ancora compiutamente «borghesi»: Ma i «cahiers de doléance» non erano scritti M buon francese. Erano rozzi e volgari. E tale è certo il linguaggio della Lega, ma non violento. E vero che il linguaggio può «in progress» produrre violenza. Ma da alme-no venti anni, da tanto esiste la Lega, il suo linguaggio non ha mai generato fatti violenti. E questo è un dato oggettivo, che onestamente non può essere trascurato. E alla fine non ci sarà violenza, ma voto.