Tremonti: tre strade per cambiare davvero
«Non temiamo gli stranieri, ma certi segnali di aperturismo creano ambiguità qui e all'estero»
Professor Tremonti, che effetto le fa vedere che questa proposta di legge raccoglie critiche anche dal versante liberista? Cipolletta, direttore di Confindustria, sostiene che in epoca di libera circolazione delle merci è un errore stabilire limiti d'ingresso per i lavoratori stranieri. Secondo il suo collega Martino si vogliono trasformare comportamenti che non si con-dividono in reati e si finisce per limitare nei fatti la libertà di movimento delle persone.
La definizione semestrale dei quantitativi d'ingresso e quindi la possibilità di modificarli in base alle effettive esigenze occupazionali mi pare un principio perfettamente compatibile con la logica del mercato, che peraltro qualcuno ha trasformato in una nuova religione. Quanto al richiamo astratto ai valori di libertà, mi limito a notare che Antonio Martino teorizza anche la libera vendita di droga nei supermercati.
Bossi evoca presunti principi cristiani come criteri ispiratori della vostra proposta. Ma all'articolo 10 si fa esplicito riferimento al-la possibilità di fare ricorso alle armi per contrastare gli arrivi dei clandestini...
Su questo c'è stata una strumentalizzazione di una parte della stampa. Si cerca di scambiare quello che resta un caso-limite con la logica stessa della proposta, che è una logica che ha tra i suoi principi ispiratori anche la solidarietà. E comunque è chiaro che i nemici sono gli scafisti, non i clandestini che stanno a bordo, i trafficanti di schiavi e non gli schiavi.
Ma resta il fatto che sugli scafi ci sono persone, e che la caccia all'uomo in alto mare non sembra uno «sport» privo di rischi....
Ripeto, siamo in presenza di un gigantesco equivoco. E comunque garantisco che se ci fosse il dubbio che la norma, per come viene espressa, pro-duce effetti truculenti, siamo disposti a modificarla.
Come pensate di regolare i flussi di ingresso?
Utilizzando le rilevazioni che arrivano dai diversi settori imprenditoriali e che vengono segnalati dalle Regioni, e trasmettendole alle cosiddette «frontiere esterne» istituite presso i nostri consolati all'estero, dove i candidati all'arrivo in Italia vengono iscritti ad appositi ruoli e dotati di codi ce fiscale. Le assicuro che non abbiamo paura dell'immigrazione, ma si deve smetterla di mandare segnali equivoci a chi si prepara a partire e alla m munita internazionale, come sta accadendo adesso con la legge Napolitano-Turco.
Eppure l'attuale normativa, che voi contestate radicalmente , ha nella programmazione dei flussi un punto-cardine.
C'è una divaricazione totale tra la lettera delle enunciazioni legislative e l'applicazione della norma, e questo rappresenta un fattore criminogeno, induce a pensare che in Italia si può comunque arrivare e restare, tanto prima o poi le cose si sistemano con una sanatoria. È una logica che va ribaltata: porte aperte a chi entra con un lavoro già prefigurato, massima severità con chi cerca di fare il furbo e con quanti lucrano sulle speranze della gente. Sono due delle tre colonne portanti della nostra pro-posta.
E la terza?
La possibilità di dedurre dal reddito imponibile, senza li-miti di importo, le erogazioni liberali a favore delle iniziative missionarie ed umanitarie, religiose e laiche. È un modo per contribuire allo sviluppo dei Paesi da cui provengono gli immigrati e per drenare, seppure nel lungo periodo, i flussi.
Cosa risponde a chi è convinto che questa proposta di legge è il primo dazio che Berlusconi ha dovuto pagare a Bossi per il patto elettorale stretto nelle settimane scorse? Non negherà che leggendo la legge si ricava l'impressione che l'influenza della posizione leghista sia risultata determinante...
Mi limito a rispondere che Bossi è il primo firmatario. La proposta viene dalla Lega, io ho scritto la relazione di accompagnamento.