Tremonti: questa maggioranza ti costringe a fare la rivoluzione
L'ex ministro del Polo: con noi tutto sarà diverso
Le regioni del Polo si mobilitano contro il governo. Addirittura, ridisegnano la mappa degli aiuti statali. Professor Tremonti, dove porterà questa rivolta?
«Rivolta è un'immagine sbagliata. Io cercherei altri paragoni».
Per esempio?
«Giuliano Amato che ascolta le notizie provenienti da Genova a me ricorda la famosa scena di re Luigi XVI. Il quale udì dalla finestra rumori di piazza e si rivolse a un suo ministro: "Cos'è", domandò, "una rivolta?'. E il ministro: 'No, maestà, è la rivoluzione..,"».
Per fare il federalismo c'è proprio bisogno di rivoluzioni?
«Non ci sarebbe, se noi fossimo già al governo. In quel caso ci sarebbe un'unità d'intenti tra Parlamento e Regioni nel nome della devolution. Invece a Roma c'è una maggioranza che resiste. E nel governo non vedo nemmeno un ministro che possa comprendere quanto sta succedendo».
Che sta accadendo?
«Né più né meno di quello che ha notato, nella cattedrale di Aachen, il presidente degli Stati Uniti. Clinton, tra parentesi, ha usato una formula perfettamente identica alla nostra: lo Stato nazione è troppo piccolo rispetto alle esigenze del governo mondiale (e per questo in Europa si sta facendo l'Europa). Ma è troppo grande rispetto alle esigenze di governo locale. Per questo si deve fare la devolution. L'hanno capito in America, l'hanno compreso in Gran Bretagna e in altri Paesi europei, non se ne sono accorti a Roma».
Come mai?
«Perché c'è ancora l'illusione che al federalismo si possa arrivare gratis, che la devoluzione dei poteri possa essere octroyée, calata dall'alto. Che il federalismo coincida con la legge Bassanini. Cioè col decentramento, una sotto variante del centralismo. S'illudono di procedere top-down...».
Prego?
«Dall'alto verso il basso. Mentre il cammino che stiamo facendo è a rovescio: down-top»
Per affrettarlo, si parla di referendum consultivi nelle Regioni. Non c'è il rischio di correre troppo?
«Dipende dai punti di vista. Nella Casa della libertà sappiamo perfettamente che, se non siamo rivoluzionari nel senso liberale e federalista, manchiamo al patto con gli elettori e poi perdiamo consensi. Quindi il cambiamento per noi è fisiologico. Per chi invece ragiona in termini giacobini, capisco che l'autonomia delle Regioni sia un dramma».
Si riferisce alla polemica del Tesoro contro le Regioni spendaccione?
«Quest'attacco è la psicopatologia dì chi cerca un nemico a tutti i costi. Tra l'altro, facendo un autogol, visto che le Regioni fuori registro con le spese sanitarie sono Umbria e Molise, governate dalla sinistra. E comunque, che ci fosse una tensione sui conti sanitari era noto al governo già l'anno scorso. Quindi non è stato un ciclo di spesa elettorale, ma un errore previsionale. Lo avremmo fatto notare alla Bindi, se non avesse scelto l'extramoenia...».
Visco non è centralista, anzi propone il federalismo fiscale...
«Il cosiddetto federalismo fiscale di Visco non è più federalista della Bassanini. La finanza pubblica italiana è stata basata sulla dissociazione tra potere di tassazione statale e titoli di spesa parzialmente regionalizzati. Quest'anomalia perdura con Visco. Nel suo modello non ci sono imposte locali, ma solo trasferimenti alle Regioni di imposte statali ribattezzati come federalisti. Invece di dirti "ti concedo cento lire", lui dice: "ti ridò cento lire come partecipazione all'Iva"».
Però ha introdotto l'Irap, un'imposta regionale.
«Non scherziamo: è assolutamente statale, quanto di più centralistico ci sia».
Come spiega allora che anche la sinistra si dichiari federalista?
«Mi sembra una mezza "tragedia" politica. Come quei nobili che per salvarsi, durante la Rivoluzione francese, dicevano di essere borghesi. Ma caddero insieme all'ancien regime».