Tremonti: «L'accordo è un cantiere aperto»
Allora, professor Tremonti, c'è o non c'è questo accordo Polo-Lega?
Allora, professor Tremonti, c'è o non c'è questo accordo Polo-Lega?
«Visto che l'inglese va tanto di moda, le risponderò nella lingua di Veltroni: è un work in progress, un lavoro in corso, ma direi più progress che work».
Traduzione? Martedì lei ha detto che era cosa fatta, mentre Fini e il candidato del Polo per la Lombardia, Roberto Formigoni, tiravano il freno. Come stanno le cose?
«Sono tutte esagerazioni giornalistiche, come direbbe D'Alema. L'accordo non è ancora fatto, ma non credo che Fini e Formigoni abbiano posto ostacoli sul percorso». Giulio Tremonti, deputato di Forza Italia, è l'uomo che sta cercando di riannodare i contatti fra Polo e Carroccio dopo il ribaltone del '94 che fece cadere il governo Berlusconi. «Sono ottimista - dice al "Secolo XIX" l'ex ministro delle Finanze - ma non mi faccia dire che è fatta».
Che respiro può avere un'alleanza con Bossi? Morirà dopo le regionali o arriverà al 2001?
«Quando parlo di percorso, penso a tutti gli appuntamenti elettorali, referendum compresi. Dobbiamo solo decidere alcune varianti tecniche».
Un sondaggio di Forza Italia rivela che il 75% degli elettori "azzurri" non vuole accordi con i "Iumbard". Pesa il risentimento per il ribaltone?
«Siamo nel 2000, sono passati sei anni che hanno cambiato il mondo. Quell'alleanza, nel '94, era prematura. lo non parto dalla sovrastruttura politica, dal Palazzo, ma dalla struttura reale. E nella realtà vedo fra questi elettorati una identità e una oggettiva coincidenza di interessi e di ideali. Ci sono due blocchi, uno statalista, che al Nord ha il 30%, e uno non statalista, che nel '96 divenne minoranza perché era diviso: è il blocco della produzione, un gigante sociale ed economico che rischia di restare un nano politico e che invece deve avere una rappresentanza nell'interesse della democrazia».
Ha messo in conto l'imprevedibilità e i tatticismi di Umberto Bossi?
«Non considero rilevante il fattore degli uomini. Non fu determinante nel '94 e non penso che lo sarà nel 2000 o nel 2001. Assegno un peso prevalente al fattore reale. Se vuole, è un'analisi marxista, anche se Marx non va più di moda nemmeno a sinistra. Non è sostenibile una dissociazione così forte fra realtà e rappresentanza».
Che cosa manca e che tempi ci sono per arrivare a dire che l'accordo è fatto?
«Come le ho detto, il cantiere lavora».
Gianfranco Fini ha detto che An non può allearsi con una forza secessionista, che tuttavia Bassi non parla più da tempo di secessione e infine che bisognerà valutare regione per regione. E dunque?
«E' una posizione molto responsabile e prudente. Non mi pare che Fini individui ostacoli».
Che effetto le fa la Quercia post-Lingotto?
«Non mi sento di essere totalmente negativo sul congresso di Torino. Ho trovato molto civili e interessanti i discorsi di D'Alema e Cofferati, francamente e gratuitamente provocatorio quello di Veltroni. L'abiura del comunismo? Meglio tardi che mai, anche se siamo un po' fuori tempo: mi pare di capire che il Muro sia caduto nell'89».