Tremonti: così, in aeroporto, ho convinto Bossi
«E' il momento di rivalutare Umberto, così coraggioso, tenace e anche coerente»
ROMA - Non una cena a birra e sardine, ma un bel numero di voli Milano-Roma-Milano e tante sere passate insieme in aeroporto. Così Giulio Tremonti e Umberto Bossi hanno ricominciato a tessere la tela della nuova alleanza leghista col Polo. Ma le sardine no, assicura Tremonti: «E' stato un accordo privo di contenuti alimentari». E dopo tutto questo tempo consumato per aeroporti, che cosa pensa di Bossi, adesso? Il professore che fu ministro dele Finanze nel governo Berlusconi fa un sorriso stile Gioconda: «Le risponderò tra virgolette: "E' il momento di rivalutare Bossi e dovrebbe farlo anche la stampa. Bossi è coraggioso, tenace, coerente». Ha detto «coerente»? «Coerente sì, ma chieda a D' Alema, il virgolettato è suo. Sono parole pronunciate un anno fa. Però stamattina, alla radio, ha detto che Bossi è secessionista, peggio di Haider». Se è per questo, due anni fa, alle Bermuda, Berlusconi ammetteva: «Ma chi si fida di Bossi?». E lei, professor Tremonti, di Bossi si fida? «Parlo con lui da tanti anni. Anche dopo il ribaltone, certo: in politica contano i fattori fondamentali, non quelli personali. Se rifletto sul tasso di lealtà dei protagonisti dei giorni del ' 94, penso più a Dini, che a Bossi. E' stata la sua demenziale riforma delle pensioni a scatenare lo sciopero generale e poi la crisi del governo. E Dini, il ministro del Tesoro, che in autunno difendeva rigido rigido la sua riforma, in primavera diventò improvvisamente flessibile». Anche il tasso di lealtà di Bossi, professore, non era granché, bastò una cena a base di sardine e di D' Alema... «Sembra ci fosse anche del whisky, in quella cena. Comunque, la Lega decise di uscire dal governo perché non aveva possibilità di incidere, non aveva un personale politico adeguato. Chissà se per loro è stato più dannoso entrare o uscire dal governo Berlusconi». Questo attiene al passato. Oggi, invece, interessa capire come e perché Bossi è tornato ad Arcore. E' a questo punto che Tremonti sviluppa una serie di argomenti. 1) «Bossi non ha mai pensato davvero alla secessione, che è stata sempre e solo un' arma di pressione». 2) «L' unione monetaria ha posto fuori discussione il problema dell' unità d' Italia che ormai rappresenta uno pseudo-problema». 3) «Si deve alla Lega se l' idea federale, latente per 150 anni, è stata tolta dal freezer. Pure De Mita oggi è federalista». 4) Polo e Lega hanno due buone ragioni per rimettersi insieme. «La prima è politica. L' unità della patria nella visione di Fini è perfettamente compatibile con la pluralità delle patrie di cui ha parlato Ciampi. E Ciampi non mi sembra un eversivo. Dopo l' ingresso dell' Italia nell' euro, accusare Bossi di secessione è come accusare un orfano di tentato matricidio». Quanto alla seconda ragione, quella economica, Tremonti la spiega così: «In Italia esistono due blocchi. Uno statalista, e ad esso fa riferimento la grande impresa, il sindacato, una parte della burocrazia. L' altro, il blocco dei produttori, tiene insieme i padroncini ma anche i loro operai. Il primo blocco si riconosce nell' Ulivo, il secondo nel Polo e dal ' 96 non conta niente. L' accordo tra Polo e Lega va incontro agli interessi di questo blocco. E' un processo che prescinde dalle personalità di Berlusconi, di Fini, di Bossi. Sono passati sei anni ma è come se ne fossero passati seimila, è cambiato tutto». Bossi torna ma col capo coperto di cenere, in posizione subordinata... «Se la Lega saprà occupare lo spazio tutto nuovo aperto dallo scontro tra un' anima "americana", global-consumista, e l' anima diciamo "cristiana", attenta ai valori tradizionali, sarà tutt' altro che subordinata. Se parleranno della Haccp...». Di che cosa, professore? «Di una direttiva comunitaria, lunga alcuni metri, che spiega come si devono fare i dolci in Europa...».