Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Padania

Sinistre ormai nel baratro

Tremonti: «Non basterà un decreto a salvare il governo Amato»

Per dodici anni si è avuta una totale inerzia amministrativa e adesso il governo vara un decreto legge nella presunzione che un'inerzia di 12 anni sia sostituita da un'attività in 11 giorni, quanti ne mancano al referendum». Giulio Tremonti, illustre esponente di Forza Italia, è al lavoro nel suo studio di Milano, ma, appena appresa la notizia dell'iniziativa governativa, non lesina battute al vetriolo verso un esecutivo che, in api caso, referendum si o referendum no, è alla frutta. «E un decreto fine a se stesso, non ha una funzione giuridica, come dovrebbe - continua Tremonti -, ma solo una funzione politica. Si tratta solo di una delle innumerevoli prove della crisi istituzionale e di questo governo».
Professor Tremonti, domani (oggi per chi legge, ndr) il consiglio nazionale di Forza Italia deciderà il da farsi sulla data del 21 maggio, ma Berlusconi ha già detto che, secondo alcuni sondaggi, non verrà raggiunto il quorum. Qual è la sua opinione?
«Non sono nè un astrologo nè un astronomo, quindi non sono in grado di dire come andrà a finire, nè che tempo farà fra due domeniche. La mia impressione è che il caos prodotto dalla maggioranza, culminato in questo decreto illegittimo, produrrà un ulteriore effetto di allontanamento dal referendum. Se qualcuno ha speculato su questa vicenda per spingere la gente a votare, assisterà invece ad un effetto-boomerang: i cittadini si allontaneranno ancor più».
Il professor Urbani ha fatto sapere che non si recherà a votare. E lei?
«Credo che la riflessione che farò al Consiglio nazionale del mio partito è: libertà di voto. Anche se per me i referendum stanno alle riforme come la bicicletta sta all'automobile».
Cioè?
«Cioè è un mezzo inefficiente. I referendum come opposizione-guerriglia avrebbero avuto senso nel '94 e nel '96, non nel 2000, avendo una prospettiva di governo riformatore, quello che nascerà dopo le prossime elezioni. Io non condivido i referendum, nè come quantità - che è eccessiva -, nè come qualità. Tenga conto che il referendum è un meccanismo negativo, abrogativo e il paese adesso non ha bisogno di eliminare, ma di riformare. Per questo dicevo che i referendum stanno alle riforme come la bici sta all'auto. E la bicicletta è un mezzo di trasporto meno efficiente dell'automobile sulla lunga distanza».
Se il referendum non passa, per Amato saranno guai grossissimi.
«Sarebbe la fine politica del governo, questo è evidente. Ammesso che questo governo abbia avuto un principio. Ma anche se il quorum venisse raggiunto e vincessero i Sì, vi sarebbero ugualmente effetti devastanti nel centrosinistra».
E nel centrodestra?
«Non ci sarebbero effetti così devastanti. Le ragioni del nostro progetto resterebbero comunque valide».
La fine politica del governo Amato significherebbe automaticamente elezioni anticipate?
«Amato ha scelto di continuare la legislatura, dopo la caduta del governo D'Alema, nel nome della "governance", ovvero continuità delle legislatura come segno di stabilità del sistema. Un anno di "non governance" , quale si avrebbe dal 21 maggio sino alle prossime elezioni, è l'opposto delle ragioni che finora hanno spinto per la continuazione della legislatura. La stabilità non è un fine, ma un mezzo. È la stabilità per la governabilità. Se abbiamo la stabilità senza la governabilità, confondiamo il fine con il mezzo. Quindi la conclusione è che si debba andare a votare».
Peraltro il centro-sinistra è ancora incerto sul suo candidato premier. Amato ha qualche chance, secondo lei?
«Quando si è presentato alla Camera, Amato ha detto che la loro formula era "leadership più premiership". Attualmente però sembra che abbiano una premiership senza leadership. In realtà, poi, come si diceva a Bisanzio, è una quasi-premiership, In ogni caso il grande ed irrisolvibile problema del centrosinistra è che prederanno le prossime elezioni politiche».
Loro dicono di no.
«Non lo ammetteranno mai, naturalmente, ma sanno benissimo che i sei presupposti che portarono alla vittoria dell'Ulivo il 21 aprile 1996 non ci sono più. Nemmeno uno è rimasto in piedi».
Di quali presupposti parla?
«Li elencherò qui di seguito. Primo: la divisione Polo-Lega. Secondo: l'ambigua desistenza di Rifondazione comunista. Terzo: la presunzione di superiore capacità di governo della sinistra. Quarto: la presunta superiore moralità, l'eredità di Mani Pulite e di Tangentopoli. Quinto: la missione Europa. Sesto: Oscar Luigi Scalfaro. Vogliamo fare l'inventario adesso?»
Facciamolo, professore.
«Non ne rimane più uno. Primo: il rapporto Polo-Lega è un rapporto strutturale, sull'impegno per il cambiamento. Secondo: l'ambigua desistenza di Rifondazione, scisso l'idealista Bertinotti dal cinico Cossutta, non c'è più».
Lei crede che i bertinottiani non faranno più desistenza?
«Può esserci ancora desistenza, ma non verso un banchiere, per esempio. Ma continuiamo nell'elenco. Terzo: la capacità di governo delle sinistre è crollata ed e stata una confessione suicida l'eliminazione della Bindi e di Berlinguer dal nuovo governo. Quarto: sulla questione morale, basta ascoltare il senatore Di Pietro per avere qualche dubbio. Quinto: la missione Europa è finita. Sesto: non c'è più Scalfaro».
È cambiato tutto?
«È cambiato tutto. Grazie all'alleanza Polo-Lega cambierà anche il paese. Basta attendere le prossime elezioni politiche, si tengano nel 2001 o prima».