«Si perde tempo, ci vuole la devolution»
Professor Giulio Tremonti, in qualità di «papà del federalismo» in Casa delle libertà, l'avviso che la riforma ha perso ufficialmente alla Camera il titolo di «federale».
Professor Giulio Tremonti, in qualità di «papà del federalismo» in Casa delle libertà, l'avviso che la riforma ha perso ufficialmente alla Camera il titolo di «federale».
«Dunque è ufficiale che non stiamo parlando di federalismo. Mi sembra che esista un'opera di diritto costituzionale piuttosto importante che attribuisca valore normativa, oltre al corpus, anche al titolo o alla rubrica di un atto normativo. Mi sembra che la perdita del titolo "federale" sia sufficientemente indicativo di ciò che accade».
Ritiene altrettanto «indicativa» anche la bocciatura della Camera delle Regioni?
«Essendo uno dei punti fondamentali di ogni federalismo che si rispetti, sì, mi sembra "adeguata" anche quella soppressione».
Adeguata alla fine del federalismo?
«È la stessa differenza tra Roma e Bisanzio. Nel diritto romano si parlava di "delitto" e di "contratto". Quando la capitale dell'impero fu Bisanzio, si contemplò il "quasi delitto" e il "quasi contratto". Oggi siamo al "quasi federalismo", siamo a Bisanzio».
Ma perché persone responsabili dovrebbero abbandonare la via parlamentare per l'incerta via della «devolution»?
«Credo che non ci sia nulla di eversivo nella devolution, che è prevista nella Costituzione vigente. Nell'articolo 117, tra le materie di competenza delle Regioni, vengono riservate altre competenze a leggi costituzionali: segno che il costituente non voleva che l'articolo fosse finale, bensì iniziale. Cioè che progressivamente si volesse prevedere il trasferimento delle competenze alle Regioni».
È così indispensabile la «devolution»?
«Rispetto alla proposta della maggioranza, disorganica ed estemporanea, che probabilmente non ha neppure i tempi necessari per l'approvazione, la devolution consente un rinnovamento vero dello Stato. Non di solo federalismo sul piano politico si tratta. Ancor più importante è che questa sia la strada per uscire dal monopolio statale dei pubblici servizi. Lo Stato centrale proclama i diritti, la Regione si occupa dei servizi. Il diritto alla salute, per esempio, dev'essere garantito dalla legge dello Stato. Ma l'organizzazione del servizio spetta alla Regione. Questo apre enormi spazi a un mondo finora bloccato. In realtà questa è la vera grande privatizzazione. Bertinotti ha ragione, lui l'ha capito. E naturalmente si oppone».