"Ma la devolution è già prevista dalla Costituzione"
Giulio Tremonti boccia il testo sul federalismo
ROMA — Un riforma «sospetta» nei tempi, «rigida» nell'impianto normativo, lacunosa e persine, «ridicola» nei contenuti. Ammesso che siano fondati i sospetti del centrosinistra, ammesso che sia vero un certo imbarazzo del Polo nel respingere le norme sul federalismo che la maggioranza tenta di far passare alla Camera, Giulio Tremonti non fa di certo parte degli "imbarazzati". Tutt'altro: attacca senza sconti un governo che «dopo aver demonizzato per mesi la devolution, prova a varare una riforma che di riffe o di raffe di devolution deve parlare. Solo che se vogliamo esser seri - spiega - il federalismo lo faremo nella prossima legislatura».
C'è chi teme - e chi spera - di farlo a colpi di referendum, professor Tremonti.
«I referendum sono solo uno strumento di indirizzo, uno stimolo e un modo di graduare l'accesso delle Regioni alla devolution. Ma in questa partita hanno un ruolo assolutamente marginale. La meccanica giusta per realizzare il federalismo è quella indicata dalla Costituzione: c' è già scritto tutto, negli articoli 117 e 138. Tutto quello che serve per fare un lavoro serio».
La maggioranza vi chiede perché non cominciare adesso. E vi accusa di votare contro la sua proposta per partito preso.
«Non è vero. Abbiamo molte, solide ragioni». E la prima è li vostro patto con la Lega. «Ma no, ma che c'entra la Lega? Per cominciare, ci sono circostanze di tempo e di luogo che sono almeno curiose, se non sospette. Le riforme di grande respiro, le riforme istituzionali, non si fanno in campagna elettorale. E del fatto che siamo in campagna elettorale, Amato e Rutelli le saranno buoni testimoni, se glielo chiede. C'è una cosa che potremmo fare, adesso: è la sfiducia costruttiva. Serve alla stabilità, serve a tutti. Ma quella non si fa, e curiosamente si fa nientemeno che la riforma federale dello Stato».
Per farsi propaganda, secondo lei?
«Ma certo! La conferma si ha confrontando il testo originale della maggioranza, il famoso Amato-D'Alema, con l'attuale. Che è una specie di spremuta, un bignamino di quel che doveva essere un progetto organico di riforma dello Stato: un estratto che guarda caso lascia fuori tutti gli argomenti rognosi in campagna elettorale, tipo la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni».
Insomma, non volete dare un vantaggio propagandistico alla maggioranza. Non è poco, per fermare tutto?
«Ha ragione: se ci fosse solo quello...».
E invece?
«E invece il merito, la sostanza della riforma, è persino peggiore della "curiosa" scelta di tempo. Cominciamo dall'impianto: è peggiore, più restrittitivo e rigido della costituzione attuale, di quel che viene previsto all'articolo 117».
Non è quello che fissa rigidamente le competenze regionali?
«E quello. Ma molti Catoni non si sono accorti che alla fine del primo comma, dopo aver specificato una serie di competenze, si parla testualmente di "altre materie indicate con legge costituzionale". Capisce? E la prova che la devolution, il processo di trasferimento delle competenze dal centro alla periferia, è dentro e non contro la Costituzione: la prova che le competenze elencate sono non esclusive, ma iniziali. E insomma una norma di valore propositivo, che sottolinea il carattere dinamico della devolution. Al confronto, la cosiddetta riforma della maggioranza è rigida. E se mi consente anche ridicola».
Addirittura.
«Ma sì! C'è un'ossessione analitica paradossale, ridicola. Mi dica, ad esempio: le pare sensato specificare - e insisto: specificare! - che pesi e misure restano tra le competenze statali? Cos'è, hanno il terrore che al Nord venga reintrodotta la pertica, o importato il gallone? E poi: armi e munizioni. Uno scrive una cosa così, nell'epoca della cyber war? Per non dire dell'istruzione universitaria o dell'ambiente, in cui mi parrebbe logico almeno una competenza concorrente di Stato e Regioni».
Così, però, Polo e Lega dicono no anche al federalismo fiscale subito.
«Equi siamo al fantacalcio! Cominciamo col dire che è difficile concepire un federalismo fiscale con un sistema tributario che resta interamente statale. Ma non è federalismo fiscale, un sistema in cui i tributi principali sono raccolti dallo Stato con la "compartecipazione" dei governi locali. Significa finanza derivata, dire "ti faccio partecipe di ciò che è mio". Il federalismo fiscale tedesco, che è un modello molto sofisticato, è diverso. E ovvio che negli stati moderni è lo Stato il collector, perché ha la macchina più efficiente per raccogliere i tributi. Ma in Germania non si fanno compartecipi" i Lander: si divide la torta delle entrate grosso modo in tre. Lo Stato trattiene per sé quel che gli serve ad esistere. Restituisce ai Lander la loro fetta, che viene ripartita in proporzione statistica, e utilizza la terza quota per la solidarietà. Noi abbiamo in mente questo. E lo dico, nel caso avesse letto Bassanini...».
Bassanini?
«Sì. Bassanini, che pare discuta con Al Gore, dice che propongo che il 70 per cento dei tributi sia locali».
E non è vero?
«lo ho scritto e confermo che i governi locali debbono coprire il 70 per cento del loro fabbisogno coperto con risorse proprie. Non lo chiarisco per Bassanini, sia chiaro: è evidente che per lui la distinzione tra entrate e uscite è troppo complessa...».