L'Europa a due società
All'alba del terzo millennio, si presentano e si confrontano, in Europa, due opposti modelli di società
All'alba del terzo millennio, si presentano e si confrontano, in Europa, due opposti modelli di società:
a) il modello «neo-giacobino» della società universale multirazziale, standardizzata dal «mercato», attore politico dominante che utilizza gli Stati (quel che resta degli Stati) come cinghie di trasmissione;
b) il modello «cristiano» di una società equilibrata tra presente, futuro e passato, tra locale e globale, tra in e out, tra forze nuove che premono dall'esterno e valori storici radicati nella tradizione.
I due modelli sociali si identificano nel punto di partenza, ma si differenziano radicalmente nel punto di arrivo. Entrambi i modelli emergono infatti dalla crisi storica dello «Stato-nazione», ma si sviluppano lungo direttrici opposte.
Il primo modello sociale si basa prima sulla scissione fra Stato e nazione e poi sull'idea del primato dello Stato sulla «nazione» (sulle «nazioni»). Per questa ragione, nell'economia politica del modello «neo-giacobino», l'immigrazione non è un problema, ma una opportunità.
Si assume infatti che lo Stato esista a prescindere dalla nazione e che, per questo, possa vivere (o sopravvivere) producendo e attribuendo titoli «statali» di cittadinanza, che prescindono dall'appartenenza alla nazione. Nell'economia politica di questo modello, la quantità dei «cittadini» dello Stato può conseguentemente e artificialmente, e su vasta scala, superare la quantità dei cittadini della nazione.
L'immigrazione è conseguentemente utilizzata come un grimaldello, (i) per rompere l'ordine sociale (aumentando conseguentemente il potere di arbitraggio tra le forze sociali destrutturate) e così (ii) per mettere le mani sul bottino elettorale (costituito da un nuovo «proletariato», fatto da una massa di immigrati che speculativamente si ipotizza disposta a votare per la sinistra) paradossalmente, più forte è la crisi dello Stato-nazione, e perciò di riflesso più forte è la crisi dello Stato tout-court, più si fa forte il tentativo di tenerlo in vita con mezzi artificiali.
È questo in realtà un modello filisteo, che si alterna tra visioni apocalittiche (tipo: «il tramonto dell'Occidente») e curve demografiche, tra solidarismo «terzomondista», alibi umanitari e cinismo «mercatista», sintetizzandosi nella formula «essere buoni, conviene». Gli immigrati devono venire in Italia, e su vastissima scala, ma a liberarci dallo sforzo demografico, a fare i la-vori più faticosi, a pagarci le pensioni.
È un modello che funziona in base a quattro princìpi essenziali:
a) assenza di prevenzione. Il messaggio che si trasmette all'esterno (da ultimo, con spettacolari tournées politiche africane) è, all'opposto della prevenzione, un messaggio di accoglienza;
b) simmetricamente, riconoscimento del diritto di immigrazione in Italia, esercitabile di fatto su iniziativa degli interessati;
c) conservazione di frontiere colabrodo;
d) riduzione dell'azione di contrasto a forme erratiche e casuali, saltuarie e poco esemplari, di repressione dell'immigrazione illegale già avvenuta. Il secondo modello sociale si basa invece, e all'opposto, sul primato della «nazione», intesa tanto in senso romantico, co-me nucleo e fondo di valori e di religione, di cultura e di lingua, di costumi e di tradizioni, quanto in senso democratico, come «plebiscito di ogni giorno».
Nell'economia politica di questo modello, la crisi dello Stato-nazione non porta con sé la crisi della nazione. All'opposto, la crisi dello Stato-nazione riporta la nazione alla sua vitalità originaria e piena, non soffocata dallo Stato.
La memoria sta infatti all'individuo come la storia sta alla nazione. Individuo e memoria, storia e nazione sono, infatti, tutti insieme, parti inscindibili di un'unica struttura sociale che, nella nuova geopolitica del mondo, è l'unico possibile antidoto al caos. Per questo, questa visione politica è radicalmente diversa da quella della sinistra.
Perché è una politica di difesa della nazione, intesa come baluardo della civiltà europea. Nell'economia politica di questo modello di società, il quantum di immigrazione non è dunque funzione della conservazione dello Stato, come macchina politica assoluta. Ma è un quantum che va calcolato essenzialmente in rapporto alla sopravvivenza della nazione. E, per questa ragione, è un quantum che va calcolato in misura proporzionale all'oggettiva e naturale capacità di assorbimento dell'immigrazione all'interno della comunità nazionale.
Una proposta (di legge), alternativa rispetto alla vigente e tollerante legislazione di sinistra, potrebbe essere conseguentemente basata su due punti essenziali:
a) detassazione dei contributi alle iniziative «missionarie», religiose e laiche, nei Paesi di immigrazione;
b) identificazione del lavoro co-me chiave di ingresso in Italia. In particolare, ciò vuol dire che il quantum di immigrazione va determinato, via municipi e Regioni, su proposta delle famiglie e delle imprese interessate. Su questa base, i ruoli di immigrazione sono formati, nei Paesi di immigrazione, dal servizio consolare italiano, potenziato in organici e mezzi. Non si immigra, e non si resta, in Italia, senza codice fiscale.