Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

Il suicidio dell'Europa

L’euro è la moneta giovane di un continente vecchio. Il dollaro è la moneta vecchia di un continente giovane. Non è solo che il dollaro è forte. E’ anche, e soprattutto, che l'euro è debole.

L’euro è la moneta giovane di un continente vecchio. Il dollaro è la moneta vecchia di un continente giovane. Non è solo che il dollaro è forte. E’ anche, e soprattutto, che l'euro è debole. Il dollaro è forte perché l'America fa l'arbitraggio trai due grandi oceani, intermediando tutti i principali flussi di uomini, idee e capitali. Dopo un secolo, si è in specie avverata la profezia del presidente T. Roosevelt: «Diventeremo il nuovo mediterraneo». L'euro è debole perché l'Europa è governata da vecchi, senza futuro e senza speranza. All'origine, negli anni '70, non era così. La visione era quella dell'Europa-potenza. Un limitato e centrale gruppo di Stati europei, destinato a diventare un autonomo soggetto politico che avrebbe avuto nei «Trattati» di unione la sua costituzione politica e nell'«euro» il suo simbolo economico. Nel successivo decennio, lo scenario è cambiato radicalmente. La caduta del comunismo ha infatti spostato verso est l'asse politico. Il fattore spazio ha diluito la base politica chiusa, propria dell'originario progetto europeo. E così che gli «eventi» storici hanno spiazzato i «progetti» politici. L'Europa-potenza era un progetto, da trasformare in un fatto. L'Europa-spazio è un fatto, da trasformare in progetto. Alla fine degli anni '80, l'idea applicata nell'«ingegneria» costituzionale europea fu un'idea molto creativa e innovativa. Non si poteva scindere la coppia «politica-economia». Si pensò tuttavia di invertirne la sequenza naturale: non la politica che «fa» l'economia, ma l'economia che «fa» la politica. «Currency first», la moneta europea (I'«euro») per prima. Il resto, la politica europea, sarebbe venuto dopo e di conseguenza. Una logica da dispotismo illuminato. Illuminato (si fa per dire) dall'ideologia dominante del «pensiero unico» economico. Eppure, al fondo del Trattato di Maastricht, un'idea politica c'era. Era l'idea: «meno Stato - più privato», «meno Stato - più mercato». In questi termini, era un'idea di rigenerazione del vecchio continente, ossificato dallo statalismo, per rimetterlo in pista nella competizione mondiale. Un'idea sintetizzata e concentrata nel parametro chiave del «3%», inteso come vincolo alla riduzione della spesa pubblica fatta in deficit e, dunque, come vincolo alla riduzione del peso esercitato dallo Stato sull'economia. Non è stato così. Il «3%» è stato fatto, in Europa, ma in senso soprattutto contabile e comunque parziale. Non in senso politico e pieno. L'effetto è stato, ed è, quasi suicida. L'Europa è infatti divenuta un'area in cui il capitale finanziario è pienamente deregolamentato e sostanzialmente detassato. In cui lavoro e impresa sono, invece, troppo regolamentati e troppo tassati. È un'asimmetria strutturale che spiazza sistematicamente l'Europa, nella competizione con l'America. Un'asimmetria che da un lato produce l'uscita dall'Europa, e non l'entrata in Europa, dei capitali finanziari; dall'altro lato non attrae attività produttive, ma all'opposto spinge alla delocalizzazione. Tanto delle attività tipiche della vecchia economia, quanto delle attività proprie della nuova economia. Un esempio, per tutti. Il Congresso americano ha appena deliberato la (permanenza della) deregolamentazione del commercio elettronico. Il vertice europeo di Lisbona ha appena deliberato in senso opposto. Se si vuole che l'Europa abbia un futuro, è necessario che l'attuale classe di governanti entri nel passato. Il vecchio laboratorio politico d'Europa, l'Italia, sta per anticipare il cambiamento.