«Con la devolution un Fisco nuovo»
Tremonti: il modello Visco è fallito, punteremo sul cittadino elettore per servizi migliori
MILANO «Di certo sarà un federalismo fiscale di segno opposto rispetto a quello fallimentare portato avanti dalla maggioranza». Giulio Tremonti, già ministro delle Finanze del Governo Berlusconi e candidato a occupare la poltrona di superministro dell'economia nel caso di vittoria elettorale del Polo, è uno degli artefici del patto con la Lega sulla devolution. Ed è lui che ne ha curato gli aspetti economici. «Per la verità ancora in corso di elaborazione», preannuncia.
Cerchiamo di orientarci, allora. Cominciando dalle risorse necessarie. La devoluzione comporta una vera e propria rivoluzione fiscale.
Certo. Ma è presto per entrare nei dettagli. Il problema va visto in un'ottica generale. Il modello messo in atto dalla maggioranza quello dell'Irap, che dissocia le entrate dalle uscite. Mette una tassa sulle imprese e poi la usa pei pagare la sanità. Il nostro modello sarà l'opposto. Noi prevederemo un fisco "alla Tocqueville", che si fonda sul controllo democratico dei cittadini. Il voto fiscale: vedo. voto, pago.
C'è chi sostiene che con la devoluzione si rischia un nuova centralismo regionale, con l'esplosione di costi e nuove imposte.
Questo rischio c'è con il modello Bassanini-Visco. Ma come le dicevo la devoluzione che noi portiamo avanti prevede un rapporto nuovo fra cittadini e fisco. Con l'esercizio del cosiddetto voto fiscale. Si parla di patto di stabilità interno. E necessario, ma non sufficiente. Il vero patto è quello con i cittadini che pagano in cambio di un servizio.
Finora si è molto insistito sugli aspetti politici della devoluzione, meno su quelli economici.
Colpevolmente. C'è una sottovalutazione degli aspetti economici. La devoluzione in questo senso è una grande rivoluzione democratica. Mi riferisco in particolare all'uscita dal monopolio statale nella produzione dei servizi. Guardi per esempio alla bozza di referendum in materia sanitaria. Il diritto alla salute lo fissa la legge dello Stato. Ma la scelta organizzativa sulla produzione del servizio deve essere regionale. E la Regione può scegliere il provider fra pubblico e privato per garantire il servizio al meglio. In questo modo otteniamo anche il superamento del monopolio statale e una privatizzazione efficiente dei servizi.
Al centro, cioè, c'è la qualità del servizio.
Esatto. Ed è quello che Giuliano Amato non comprende. La devoluzione è un processo che sposta dal centro alla periferia sovranità non funzioni. E l'opposto di quello che dice il presidente del Consiglio. Secondo lui basta il trasferimento delle funzioni, senza alcuna cifra democratica, perché per lui non è necessario che la qualità dei servizi pubblici sia valutata dai cittadini con il voto. Sono due visioni contrapposte: un conto è la democrazia che si esprime in un federalismo alla Tocqueville, un conto il neorealismo di Amato.
È in corso, però, una polemica che vede coinvolte le Regioni meridionali. Con il federalismo fiscale, denunciano, si accentuano gli squilibri Nord-Sud.
È una polemica che mi trova d'accordo. Il problema è che oggi al Sud vengono tolte risorse lasciando i vecchi vincoli. Il Mezzogiorno va innanzi tutto liberato dal centralismo statale. Adesso ci sono tagli in permanenza di vincoli.
C'è chi contesta la legittimità dell'operazione «devolution».
Agli scettici vorrei ricordare che la devoluzione è nella costituzione. Precisamente nell'articolo 117, secondo comma, dove sì dice che «altre competenze potranno essere aggiunte con legge costituzionale». Una norma che non è permissiva. Di permesso non c'era bisogno. Perché c'era già il 138.
E siccome ogni norma deve avere un senso, allora il secondo comma dovrà essere interpretato come indicativo e propositivo. Quindi la devoluzione è un precetto positivo della costituzione.