Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Corriere della Sera

"Cento giorni per cambiare l'Italia"

Professore, c’era una volta Forza Italia liberal-liberista, che dello Stato leggero faceva un modello e del mercato una religione. E ora? «C'è ancora, c’è ancora... Il programma al quale stiamo lavorando ha una cifra liberale altissima. E i primi cento giorni di governo saranno fondamentali per trasmettere agli italiani la portata rivoluzionaria del nostro messaggio liberale».

MILANO - Professore, c’ era una volta Forza Italia liberal-liberista, che dello Stato leggero faceva un modello e del mercato una religione. E ora? «C’ è ancora, c’ è ancora... Il programma al quale stiamo lavorando ha una cifra liberale altissima. E i primi cento giorni di governo saranno fondamentali per trasmettere agli italiani la portata rivoluzionaria del nostro messaggio liberale». Così sicuro di vincere le elezioni? «E’ nella legittima aspettativa di una forza d’ opposizione». C’ è chi sostiene che vi stiate lentamente democristianizzando sotto l’ incalzare di un Centro rianimato dal fallimento referendario. «Escludo che forze conservatrici possano piantare radici nel nostro terreno. Non ci sarà spazio per i nostalgici del passato. La logica bipolare è un dato acquisito: nella mappa della politica italiana non è contemplata l’ isola della Terza Forza». Giulio Tremonti, consigliere tra i più ascoltati da Silvio Berlusconi, ex ministro nel ’ 94 e artefice del rinnovato accordo tra il Cavaliere e Bossi, difende con convinzione la patente liberale del movimento berlusconiano. E a chi sostiene, come l’ editorialista del Corriere della Sera Angelo Panebianco, che l’ ostilità dimostrata da Berlusconi nei confronti dei referendum del 21 maggio è la conferma che Forza Italia, più che liberale, si sta trasformando in una «simil-Dc», Tremonti replica: «Non neghiamo la validità dei principi insiti in alcuni dei quesiti. Ma riteniamo che, anziché con i referendum, potranno essere più compiutamente realizzati con adeguate riforme. A questo stiamo lavorando». Eppure, per voi che vi dite liberali, non sarebbe stato un segnale importante appoggiare quesiti come quelli sui licenziamenti e sulla separazione delle carriere dei magistrati? «Il vizio di fondo del ragionamento di Panebianco è quello di assumere i referendum come pietra filosofale politica. Dice: tutto ciò che viene dai quesiti è rivoluzione liberale, quindi non avere investito sui referendum equivale a negare questa rivoluzione liberale. Non è così: i referendum non sono il mezzo esclusivo per modificare la società e lo Stato». Però costituiscono uno stimolo e una provocazione nei confronti di un Parlamento spesso bloccato... «Anche questo è solo vero in parte. Lo stimolo e la provocazione hanno un senso nei confronti di un assetto di governo strutturato. Mi spiego: nel ’ 96, nel ’ 97 o nel ’ 98 quei referendum potevano svolgere una funzione. Ma ora, a pochi mesi dalle elezioni politiche, quale stimolo potevano esercitare nei confronti di un assetto di governo che sta per essere cambiato?». Lei in pratica sta dicendo: quando saremo al governo le faremo noi le riforme liberali. E’ così? «In materia del lavoro, ad esempio, il nostro programma prevede un elevato tasso di libertà. A differenza dei referendari, noi non partiamo dal concetto della libertà di licenziamento, ma da quello della libertà di assumere. Il problema della politica del lavoro non è quello di dare angoscia ai vecchi, ma speranza ai giovani. Queste sono le riforme da fare». E basterà conquistare Palazzo Chigi per farle? L’ Italia non è l’ Inghilterra: i nostri premier devono fare i conti con una fisiologica debolezza istituzionale e con maggioranze spesso inaffidabili... «Siamo convinti che, se la politica funziona, funzionerà anche Palazzo Chigi. Nel senso che per noi l’ obiettivo principale è la realizzazione del programma: il governo è solo uno strumento. Nel ’ 94 la sequenza fu vittoria-governo-programma. Ora sarà programma-vittoria-governo. Non possiamo permetterci di dare vita ad un esecutivo banale, di ordinaria amministrazione: se vogliamo mantenere durevolmente il consenso dei nostri elettori, dobbiamo dare vita ad una legislatura di forte cambiamento. Guai a noi se commetteremo gli errori della sinistra, che ha tentato di riformare il sistema, ma dall’ interno, e ha creduto che il governo fosse di per sé uno strumento di consenso». Forte cambiamento cosa significa in concreto? «Modificare la Costituzione in senso federale in modo da consentire il trasferimento di competenze dal centro alla periferia. La necessaria diminuzione della pressione fiscale. E la creazione di uno Stato con meno regole». Come mai, voi che vi dichiarate a favore del bipolarismo e della governabilità, avete boicottato il quesito sul maggioritario, contribuendo alla resurrezione del variegato partito dei proporzionalisti? «Non è affatto provato che il maggioritario sia l’ unico modo per avere stabilità e governabilità. Sin dal gennaio del ’ 99, quando pareva che l’ approdo al maggioritario fosse inevitabile, presentammo una proposta di legge elettorale sul modello di quella tedesca, a base proporzionale. E ora scopriamo che anche Veltroni, da sempre bipolarista convinto, guarda con favore alla nostra proposta. Eppure, durante la campagna referendaria, i Ds sostenevano che il modello tedesco era la negazione del bipolarismo. Adesso la pensano diversamente, a dimostrazione del carattere strumentale del referendum. Tedesco o inglese che sia, l’ importante è che la riforma elettorale operi all’ interno di uno schema bipolare». E che dire sulla separazione delle carriere dei magistrati? E’ stato per anni un pallino di Berlusconi, ma al momento di votare vi siete defilati. Perché? «La questione giustizia non si limita solo alla separazione delle carriere. Il giusto processo, utile o sbagliato che sia, è stato un passaggio importante della politica giudiziaria, Panebianco l’ ha dimenticato. Ma il punto centrale è la giustizia civile: processi veloci sono essenziali per competere. Non solo, daremo centralità alla politica legislativa: basta con l’ orgiastica e inflattiva fabbrica di norme. Nel ’ 99, sulla Gazzetta Ufficiale, le leggi sono aumentate, in senso lineare, di 7 chilometri e 700 metri».] MILANO - Professore, c' era una volta Forza Italia liberal-liberista, che dello Stato leggero faceva un modello e del mercato una religione. E ora? «C' è ancora, c' è ancora... Il programma al quale stiamo lavorando ha una cifra liberale altissima. E i primi cento giorni di governo saranno fondamentali per trasmettere agli italiani la portata rivoluzionaria del nostro messaggio liberale». Così sicuro di vincere le elezioni? «E' nella legittima aspettativa di una forza d' opposizione». C' è chi sostiene che vi stiate lentamente democristianizzando sotto l' incalzare di un Centro rianimato dal fallimento referendario. «Escludo che forze conservatrici possano piantare radici nel nostro terreno. Non ci sarà spazio per i nostalgici del passato. La logica bipolare è un dato acquisito: nella mappa della politica italiana non è contemplata l' isola della Terza Forza». Giulio Tremonti, consigliere tra i più ascoltati da Silvio Berlusconi, ex ministro nel ' 94 e artefice del rinnovato accordo tra il Cavaliere e Bossi, difende con convinzione la patente liberale del movimento berlusconiano. E a chi sostiene, come l' editorialista del Corriere della Sera Angelo Panebianco, che l' ostilità dimostrata da Berlusconi nei confronti dei referendum del 21 maggio è la conferma che Forza Italia, più che liberale, si sta trasformando in una «simil-Dc», Tremonti replica: «Non neghiamo la validità dei principi insiti in alcuni dei quesiti. Ma riteniamo che, anziché con i referendum, potranno essere più compiutamente realizzati con adeguate riforme. A questo stiamo lavorando». Eppure, per voi che vi dite liberali, non sarebbe stato un segnale importante appoggiare quesiti come quelli sui licenziamenti e sulla separazione delle carriere dei magistrati? «Il vizio di fondo del ragionamento di Panebianco è quello di assumere i referendum come pietra filosofale politica. Dice: tutto ciò che viene dai quesiti è rivoluzione liberale, quindi non avere investito sui referendum equivale a negare questa rivoluzione liberale. Non è così: i referendum non sono il mezzo esclusivo per modificare la società e lo Stato». Però costituiscono uno stimolo e una provocazione nei confronti di un Parlamento spesso bloccato... «Anche questo è solo vero in parte. Lo stimolo e la provocazione hanno un senso nei confronti di un assetto di governo strutturato. Mi spiego: nel ' 96, nel ' 97 o nel ' 98 quei referendum potevano svolgere una funzione. Ma ora, a pochi mesi dalle elezioni politiche, quale stimolo potevano esercitare nei confronti di un assetto di governo che sta per essere cambiato?». Lei in pratica sta dicendo: quando saremo al governo le faremo noi le riforme liberali. E' così? «In materia del lavoro, ad esempio, il nostro programma prevede un elevato tasso di libertà. A differenza dei referendari, noi non partiamo dal concetto della libertà di licenziamento, ma da quello della libertà di assumere. Il problema della politica del lavoro non è quello di dare angoscia ai vecchi, ma speranza ai giovani. Queste sono le riforme da fare». E basterà conquistare Palazzo Chigi per farle? L' Italia non è l' Inghilterra: i nostri premier devono fare i conti con una fisiologica debolezza istituzionale e con maggioranze spesso inaffidabili... «Siamo convinti che, se la politica funziona, funzionerà anche Palazzo Chigi. Nel senso che per noi l' obiettivo principale è la realizzazione del programma: il governo è solo uno strumento. Nel ' 94 la sequenza fu vittoria-governo-programma. Ora sarà programma-vittoria-governo. Non possiamo permetterci di dare vita ad un esecutivo banale, di ordinaria amministrazione: se vogliamo mantenere durevolmente il consenso dei nostri elettori, dobbiamo dare vita ad una legislatura di forte cambiamento. Guai a noi se commetteremo gli errori della sinistra, che ha tentato di riformare il sistema, ma dall' interno, e ha creduto che il governo fosse di per sé uno strumento di consenso». Forte cambiamento cosa significa in concreto? «Modificare la Costituzione in senso federale in modo da consentire il trasferimento di competenze dal centro alla periferia. La necessaria diminuzione della pressione fiscale. E la creazione di uno Stato con meno regole». Come mai, voi che vi dichiarate a favore del bipolarismo e della governabilità, avete boicottato il quesito sul maggioritario, contribuendo alla resurrezione del variegato partito dei proporzionalisti? «Non è affatto provato che il maggioritario sia l' unico modo per avere stabilità e governabilità. Sin dal gennaio del ' 99, quando pareva che l' approdo al maggioritario fosse inevitabile, presentammo una proposta di legge elettorale sul modello di quella tedesca, a base proporzionale. E ora scopriamo che anche Veltroni, da sempre bipolarista convinto, guarda con favore alla nostra proposta. Eppure, durante la campagna referendaria, i Ds sostenevano che il modello tedesco era la negazione del bipolarismo. Adesso la pensano diversamente, a dimostrazione del carattere strumentale del referendum. Tedesco o inglese che sia, l' importante è che la riforma elettorale operi all' interno di uno schema bipolare». E che dire sulla separazione delle carriere dei magistrati? E' stato per anni un pallino di Berlusconi, ma al momento di votare vi siete defilati. Perché? «La questione giustizia non si limita solo alla separazione delle carriere. Il giusto processo, utile o sbagliato che sia, è stato un passaggio importante della politica giudiziaria, Panebianco l' ha dimenticato. Ma il punto centrale è la giustizia civile: processi veloci sono essenziali per competere. Non solo, daremo centralità alla politica legislativa: basta con l' orgiastica e inflattiva fabbrica di norme. Nel ' 99, sulla Gazzetta Ufficiale, le leggi sono aumentate, in senso lineare, di 7 chilometri e 700 metri».