Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

“Tassi giù e tasse su: conl’euro non basta”

Per Tremonti la strategia di risanamento della sinistra è la causa del deficit di sviluppo

Prima le perplessità della Commissione Ue che, osservando alla luce del patto di stabilità il piano di convergenza presentato dal governo italiano, mette in dubbio la tenuta dei nostri conti. Pio il consigliere economico del cancelliere Schroeder che ironizza sulla capacità della nostra classe politica incapace di risanare la finanza pubblica in assenza di vincoli esterni. La concomitanza di tanti giudizi sospesi farebbe quasi pensare ad un complotto: come se i partner si fossero già pentiti di aver dato al Belpaese il via libera per entrare subito in Eurolandia. “Nessun complotto”, dice al Giornale Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze e attento osservatore dei fatti europei. “Trattato di Maastricht e patto di stabilità sono le due facce della stessa medaglia e questa spiega l’attenzione riservata da Bruxelles e l’importanza dei rilievi mossi dall’Ue ai nostri conti: un rilievo politico cruciale, oltrechè economico perché siamo nella fase iniziale dell’euro che deve essere esemplare”.
D’accordo ma chi ha ragione? De Silguy che fa le pulci al nostro risanamento e mette in dubbio l’adeguatezza della manovra varata per il ’99 o Carlo Azelio Ciampi che esclude ci siano problemi di sorta?
“Tutta la tipologia di questi conteggi ha una sua coerenza metodologica basata su un dato: lo sviluppo è il fattore trainante. Allora era molto difficile che, a sviluppo abbattuto, il saldo restasse invariato. La struttura dei nostri conti andava rivista. Lo sviluppo,  se c’è, perdona gli errori, ha tolleranza contabile: ex post giustifica anche gli ottimismi. Se lo sviluppo non c’è, l’effetto misericordia viene meno e si resta soli davanti alla spietatezza del giudizio contabile. Quanto all’Italia si deve poi aggiungere che se il fattore sviluppo era sovrastimato, c’erano anche altri fattori fortemente discutibili: una grossa quota della manovra è virtuale”
Vero. Ma vero anche che il governo legittimamente poteva contare sul vantaggio insito nella riduzione dei tassi d’interessa. Non è così?
“Queste ipotesi contabili non possono essere giustificate dal solo andamento dei tassi. I conti pubblici dipendono da due fattori: lo sviluppo econom perché se così fosse baico e l’andamento dei tassi d’interesse. Entrambi consentono una certa approssimazione nella implementazione delle manovre, nel senso che ciò che non viene raggiunto dalla forza reale della manovra viene portato da uno dei due elementi automatici. Nel caso dell’Italia è venuto meno il primo, cioè lo sviluppo, non compensato a sufficienza dal secondo. Anche perché tra i due andamenti c’è un collegamento negativo”.
Come sarebbe?
“La caduta positiva dei tassi – fenomeno mondiale e dunque non merito del governo – ha favorito lo Stato debitore ma ha fortemente penalizzato il privato risparmiatore-consumatore. Anzi, la riduzione dei saggi d’interesse ha indotto una caduta della domanda interna, per la remunerazione zero del risparmio. La remunerazione zero del risparmio ha due effetti negativi. Intanto azzera la funzione sociale del risparmio, in un Paese come il nostro che ha fabbricato con i Bot un welfare state parallelo: la pensioncina di cui hanno beneficiato tutti. E poi inibisce i consumi: non è un mistero per nessuno che con i Bot gli italiano hanno provveduto agli acquisti più significativi. Se a questo si aggiunge l’aumento della tassazione avvenuto in questi anni il quadro è completo.
E cioè?
“Il nostro risanamento dei conti pubblici è stato fatto con tasse alti e tassi bassi. L’effetto è stato positivo per lo Stato ma pesantemente negativo per il cittadino produttore, risparmiatore, consumatore. Un risanamento con queste criticità penalizza drasticamente lo sviluppo: e qui sta il limite della cura praticata dai governi di sinistra. Il problema, in altri termini, non è di decimali perché  se così fosse basterebbe fare un ulteriore ricorso alla creatività nazionale che già tanta prova di sé ha dato in questi anni di cosiddetto rigore. Il problema delle nostra finanze pubbliche è strutturale”
Come se ne esce?
“Cambiando completamente registro. Non si può continuare a operare in un Paese in cui il denaro costa poco e il lavoro costa tanto; il capitale finanziario è deregolamentato e il capitale umano è iperregolamentato e si tenta di irrigidirlo ulteriormente con trovate come le 35 ore. In queste condizioni quello che abbonda è solo la disoccupazione che purtroppo rischia di aumentare ancora”.
Perché?
“In un Paese simile, se anche ci fosse domanda – e oggi non c’è – gli industriali investirebbero essenzialmente in macchine ruba lavoro o farebbero tutti i nuovi investimenti all’estero”
A questo punto non c’è via d’uscita
“L’uscita c’è: basta ridurre la regolamentazione che significa abbattere la tassazione sul lavoro”
Non dirà che si risolve tutto con la lezioncina sulla flessibilità?
“Flessibilità è una parola che non capisco: sostituiamola con libertà. Solo così l’economia tornerà a ingranare la quinta: sospinta anche dai capitali esteri che oggi stanno prudentemente al largo dal Belpaese”.