Sì, paghiamo troppe tasse (e vi spiego perché)
Per Giulio Tremonti, esperto numero uno dell'opposizione, è vero ciò che denunciano i commercialisti: la pressione fiscale non è al 45 per cento, come dice il governo, ma assai più alta.
Per Giulio Tremonti, esperto numero uno dell'opposizione, è vero ciò che denunciano i commercialisti: la pressione fiscale non è al 45 per cento, come dice il governo, ma assai più alta. Lo confermano, per paradosso, proprio i risultati antievasione vantati dalle Finanze. E pensare che se si riducessero le aliquote l'economia ripartirebbe.
Rompicapo d'agosto. I commercia listi denunciano che la pressione fiscale italiana è più alta di quella ufficiale. I negozianti lamentano una caduta dei redditi dei consumatori. L'Istat comunica dati allarmanti sulla produzione industriale. Ma nello stesso tempo il ministro dell'Industria, Pierluigi Bersani, annuncia che la ripresa è in atto e il suo collega delle Finanze, Vincenzo Visco, diffonde cifre trionfalistiche sugli introiti fiscali lasciando immaginare che con il recupero dell'evasione la stagione della torchiatura volga al termine, Che vuol dire? A chi bisogna dar retta, al partito dei pessimisti o a quello degli ottimisti? Un grande esperto di tasse e di economia come Giulio Tremonti, autore di best-seller sulla giungla fiscale italiana ed ex ministro delle Finanze del governo del Polo nel '94, vede un unico filo rosso a collegare tutte queste affermazioni. Un filo niente affatto rassicurante. Anzi, a suo parere, addirittura allarmante.
Cominciamo dalla denuncia dei commercialisti: sostengono che la pressione fiscale reale nel '98 non è stata del 45,6 per cento, cifra ufficiale, bensì del 54,6, la più alta tra i paesi dell'euro. Dicono che nel pil c'è almeno un 12 per cento di sommerso che sfugge al fisco. Dunque, se il totale del reddito effettivamente tassato diminuisce, quel che è stato versato allo Stato è di più in percentuale.
Considero corretto il metodo seguito dai commercialisti
Però il sommerso non c'è solo in Italia, e forse il 12 per cento è eccessivo.
Se la Banca d'Italia arriva ad ammettere che nel Sud il 50 per cento del lavoro è nero o grigio, l'area del sommerso è enorme. Questo è il Paese dove 1 milione di colf lavorano in nero.
Allora lei conferma che oltre metà di quel che viene prodotto alla luce del sole va al fisco.
Ma il problema non sta neppure nelle cifre statistiche. Se oggi in Italia c'è una drammatica questione fiscale non è solo per l'alto livello dell'imposizione, ma per la quantità e qualità dei servizi che il cittadino riceve in cambio. Per chi ha una concezione liberale, le tasse si pagano non perché lo stato c'è, ma perché lo stato faccia.
Coni nostri livelli di spesa sociale, è proprio sicuro che ciò che il cittadino riceve sia così poco?
Se voglio spedire un plico, devo ricorrere al corriere privato. Se voglio proteggere un capannone industriale, devo rivolgermi alla sorveglianza privata. Le cure dentistiche sono fuori mutua. Ecco il punto: a tutte le tasse che pago devo aggiungere anche questa forma di tassazione. Pago tutto due volte. E col riccometro il sistema diventerà ancora più iniquo.
Cos'ha contro il riccometro?
La soglia di reddito per avere le esenzioni è troppo bassa. E allora a che serve la progressività dell'imposizione, concepita per tutelare i più deboli, se poi anche redditi medio-bassi dovranno pagarsi i servizi?
E’ chiaro che questo fisco non le piace. Lei che cosa propone?
Di ridurre le aliquote. Per arrivare a due sole al posto delle attuali cinque. Una del 23 per cento fino a 200 milioni, una del 33 per cento sopra. E con una «no tax area» più generosa dell'attuale.
Sarebbe contenta la Confcommercio, che denuncia una diminuzione del 4,4 nel potere d'acquisto degli italiani tra il '91 e il '98. Ma come la mettiamo con il rischio che un crollo del gettito ci metta fuori dal patto di stabilità di Maastricht?
Rispondo che il gettito non diminuirebbe.
Perché ne è così sicuro?
Anzitutto la riduzione delle aliquote darebbe un impulso benefico all'economia. Poi farebbe emergere molto sommerso. Quindi l'aumento complessivo dell'imponibile compenserebbe ampiamente il calo delle aliquote.
Che cosa le fa pensare che gli evasori fiscali smettano di esserlo solo per la diminuzione delle aliquote?
Le aliquote di oggi sono causa e alibi dell'evasione. Lo sa bene anche il fisco, che le calibra su questo presupposto: poiché la metà del reddito gli sfugge, sull'altra metà bisogna far pagare il doppio. Con la conseguenza che chi può evade.
Insisto: se gli evasori continuassero a non pagare, come la metteremmo con il patto di stabilità?
Oltre ai due effetti virtuosi che ho già detto, ripresa economica ed emersione del nero, scatterebbe comunque una sorta di imposta alternativa. Se io ti faccio risparmiare cento lire di tasse, ci sono due possibilità. La prima è che tu le usi per comprare qualcosa, e allora, oltre a rimettere in moto i consumi, versi al fisco il 19 per cento di iva. La seconda è che le risparmi investendole, e in tal modo le tue cento lire vanno a finanziare gli investimenti e quindi la ripresa economica.
Dovrà però ammettere che la lotta all'evasione e all'elusione condotta da Visco sta dando frutti. Il ministero segnala un incremento delle entrate del 15 per cento rispetto al giugno-luglio del '98. Assai più del preventivato.
Constato che, contro le ripetute promesse di ridurre la pressione fiscale, il governo la sta inasprendo. E, vantandosene, commette un suicidio politico. Inoltre, credo che proprio il carattere imprevisto di tale aumento di entrate debba allarmare, perché dimostra che lo strumento fiscale è del tutto fuori controllo. In ogni caso continuo a dubitare, finché al Parlamento non saranno forniti dati seri e completi che consentano raffronti attendibili.
A che cosa attribuisce l'incremento?
Se l'aumento è dovuto, come credo, agli strumenti del concordato, ricordo che esso fu introdotto dal governo del Polo. E contro il concordato sia Visco sia il suo partito votarono contro.
Forse hanno qualche merito anche i superispettori fiscali.
È noto che ormai il Secit si occupa di studi.
O la migliore organizzazione del ministero delle Finanze.
Preferisco il no comment.
Che cosa pensa dell'idea di Visco assegnare premi in denaro all'amministrazione fiscale per ogni dichiarazione esaminata oltre la media giornaliera?
La premiazione è un metodo speculare a quello della delazione fiscale. Lo trovo di un'assoluta immoralità.
Dal governo arrivano segnali di incoraggiamento alla ripresa. Per Bersani è alle porte, Visco annuncia una riduzione dell'aliquota Irpef dal 27 per cento al 26 per cento...
Proprio l'esiguità della riduzione (10 mila lire risparmiate per ogni milione) non fa che confermare l'impressione di confusione trasmessa dalla politica economica del governo.
Perché?
Perché la mente umana risponde a stimoli chiari e semplici. E questi non lo sono. Ci vuole ben altro. Ormai l’economia ha capito che quel che non è cambiato in otto armi di governo di sinistra non può certo cambiare adesso. L'imprinting di questo governo non è certo «business friendly». Anzi è del genere: «penitenziatevi».
Faccia degli esempi.
Il decennio è stato caratterizzato da più tasse e da più regulation. Sulla Gazzetta ufficiale la legislazione cresce di 200 metri al mese. E certi segnali sono sconfortanti, come avere introdotto sanzioni amministrative personali per imprenditori e manager. Per non parlare della libertà di lavoro che in Italia resta molto bassa.
Tra i 20 referendum radicali ce n'è uno contro i sostituti d'imposta, per abolire il meccanismo con cui le aziende riscuotono le tasse trattenendole sulle buste paga. Lei l'ha firmato?
Ne ho già difeso in passato la costituzionalità dinanzi alla Consulta come avvocato del movimento referendario, e lo firmerò.
Le piacerebbe fare il ministro delle Finanze senza poter più contare sui sostituti d'imposta?
Ci sono paesi in cui i sostituti d'imposta non esistono e il fisco funziona lo stesso. E comunque se il referendum passerà davanti alla Consulta (cosa di cui dubito) e poi davanti agli elettori, la volontà popolare andrà rispettata.