Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Riscossa delle Corporazioni

L'ordinamento giuridico italiano sta subendo modifiche che reintroducono rischiosi privilegi

In forma obliqua, ma sistematica, un nuovo tipo di diritto sta entrando all’interno dell’ordinamento italiano: il diritto “neo- medioevale”.
Quella che si sta in specie facendo è una legge Le Chapelier all’incontrario. La legge Le Chapelier, varata nel 1791, segnò la fine del sistema delle corporazioni. Ora è all’opposto. Continua infatti incessante, proprio come nel “Ancien Régime”, la fabbrica di regimi giuridici “speciali”, caratterizzati da un elevano grado di “particularisme”.
La fabbrica di regimi che consentono a corpi “sociali” particolari di andare e di stare sul “mercato”. Ma con un sistema di poteri e di patenti, di “status” e di franchigie, di prerogative e di esenzioni, che li “privilegiano”, così spiazzando gli altri soggetti concorrenti, comuni privati.
La casistica empirica offre ampia e attuale evidenza in ordine al fenomeno della “corporativizzazione” dell’ordinamento giuridico italiano, fenomeno che a partire da quest’anno ha avuto un impulso decisivo. Ad esempio:
Articolo 58, legge 23 dicembre 1998, n. 448 in materia di “cooperative”. Per effetto di questa norma, le “cooperative” possono “finalmente” accedere l mercato finanziario emettendo obbligazioni. Esattamente come le società per azioni. Non solo. Sta emergendo (con elevate chances di successo parlamentare) l’idea ulteriore di “dualizzare” il capitale delle cooperative.
Alla classe dei soci “cooperatori” potrebbe infatti aggiungersi un’altra classi di soci, capitalistici “puri”.  Con la conseguenza che la posizione di mercato delle cooperative ne risulta (risulterà) enormemente “privilegiata”. Perché, a differenza delle società “comuni”, le società “cooperative” possono remunerare i loro soci (non solo i soci i “cooperatori” anche i normali investitori, sollecitati sul mercato) con flusso e/o con stocks di utili prodotti quasi senza onere d’imposta.
La franchigia fiscale, un tempo “giustificata” (tra l’altro) come contropartita del carattere non “capitalistico” delle “cooperative” (in specie, “giustificata”, come contropartita della loro preclusione d’accesso al mercato finanziario), resterebbe dunque, ma sotto specie di nuovo puro privilegio.
Articolo 4, legge 9 dicembre 1998, n. 431, in materia di “locazioni”. Con questa normativa, da una parte, si “liberalizza” il mercato delle locazioni. Dall’altra parte, si crea per legge, e si riserva ai sindacati, una “competenza” di nuova natura, difficilmente definibile come sindacale.
Articolo 1, Dlgs 28 dicembre 1998, n. 490 in materia di “assistenza fiscale”. Da una parte, l’ideologia fiscale dominante, fatta di formule demagogiche e di ossessioni millimetriche, di tecnicismi esasperati e di impulsi benevoli, crea e impone alle masse popolari una enorme quantità di problemi, connessi alla sterminata corvée burocratica-contabile “necessaria” per l’adempimento dei “doveri” fiscali.
Dall’altra parte, li “risolve” in base allo schema paternalistico dei “patronati sindacali. Strutture, queste un tempo, “benevole” e “gratuite”, ora “industriali” e costose. Strutture che la mano pubblica mette a disposizione dei cittadini in “difficolta”.
Il fenomeno sta montando. Un sindacato nazionale sta andando sul mercato. Sta organizzando in rete nazionale punti commerciali multiservizi (molto simili alle agenzie bancaria) e sta sollecitando la clientela con l’offerta del prodotto risolutivo, presentato sulla base di un prospetto articolato come segue:
“Servizi per la persona e la famiglia .. tutto per pensioni … infortuni … malattie .. invalidità .. . dichiarazioni, crediti e successioni, contenzioso fiscale, Ici e tributi comunali … con la garanzia di uscire soddisfatti grazie alla esperienza sociale di una grande organizzazione”.
L’evoluzione è dunque dal patronato alla produzione industriale di servizi. Ma con alcune decisive varianti:

  • Il bisogno dei “servizi” è artificialmente creato dallo Stato che, invece di “semplificare”, complica continuamente la vita dei cittadini;
  • La produzione è riservata dalla Stato a classi di soggetti particolari;
  • Il “mercato” è alterato da esenzioni e sovvenzioni pubbliche, dall’attribuzione di posizioni di dominio, da forme illegali di concorrenza (ad esempio, via forme sleali di pubbliciità).

In realtà, la fattispecie “neomedioevali” non si fermano qui: brulicano e proliferano, in una meccanica “sociale” darwinista, passando attraverso l’espansione del “terzo settore” (che la legislazione “nuova” vuole articolato secondo la formula, autoritario e contradditoria, del “volontariato di Stato”), per arrivare a coprire progressivamente tutta la frontiera di crisi del vecchio “Welfare State”, burocratico e ossificato.
Si tratta di fenomeni di portata vastissima. Certo non tutti negativi. Ma certo non risolvibili, nella loro reale (vastissima) dimensione sociale, nascondendosi dietro la maschera “privatistica”.