Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

Questa chiesa ha un grande futuro politico

McDonald versus polenta, Halloween versus befana, Goretex o lana? Questo gioco potrebbe continuare quasi all'infinito, sviluppandosi sulla doppia matrice nuovo-vecchio, estero-domestico. Ma non è un gioco. È politica pura.

McDonald versus polenta, Halloween versus befana, Goretex o lana? Questo gioco potrebbe continuare quasi all'infinito, sviluppandosi sulla doppia matrice nuovo-vecchio, estero-domestico. Ma non è un gioco. È politica pura. Usi e costumi, famiglia, figli, vino, valzer, liscio, botteghe versus Coca-Cola, Pop, Rap, jeans, mega o super store, ecstasy, E-commerce, sono infatti materiali che, sprigionando la forza di una nuova dialettica, concretano la forma nuova del materialismo storico. In questo nuovo territorio, popolato dai simboli e dai totem del consumo, la politica non è e non sarà più chiusa nella vecchia dialettica, tra destra e sinistra, ma evoluta nell'alternativa tra globale e locale, tra mondo americano e mondo cristiano. Semplificando si potrebbe ipotizzare che in questo nuovo scenario i principali player politici siano tre. Da una parte la nuova destra «libertaria». Dall'altra parte, e tra di loro in concorrenza, una sinistra nuova, radicalmente diversa da quella che cerca di percorrere l'inesistente «terza via» di Blair e Clinton, e le «leghe» di Bossi, di Haider, di Blocher. In realtà il mosaico politico futuro è ancora più complesso, perché la nuova linea di conflitto non divide tra di loro masse di individui raggruppabili e organizzabili politicamente in blocchi contrapposti, come tra le due vecchie polarità della destra e della sinistra. Ma, a partire dalle «biotecnologie», i nuovi alimenti e medicamenti che stanno uscendo dai laboratori scientifici, per entrare nel concreto della vita di masse crescenti di individui, prendono la forma di una serie continua di problemi di coscienza, organicamente e singolarmente interni a ciascuna persona. Per questo è fortemente probabile l'ipotesi che fra i tre Mayer politici, schierati «pro» o «contro» il mondo «americano», si inserisca, e domini una parte notevole della scena, un quarto soggetto non «politico»: la Chiesa. Non per caso, l'alternativa che qui si pone e propone è tra mondo «americano» e mondo «cristiano». Nei termini che seguono. Quello che per prima cosa stupisce è che tutti notano quello che c'è: il consumismo. Mentre pochi riflettono su quello che non c'è più: il romanticismo. È invece sulle conseguenze di questo «vuoto», sulla «fine» del romanticismo, che va avviata la riflessione.
Il flusso globale e banale dei consumi standardizzati e massificati ha dissolto quell'infernale cocktail di idee, ideologie, miti, leggende, inni, stati maggiori, luoghi sacri, che ha «romanticamente» insanguinato questo secolo. Negativo e filisteo, sui piano etico ed estetico, il consumismo ha però agito positivamente sulle strutture dell'esistente, eliminando i due fattori che più hanno reso drammatica la storia del '900: la guerra e le masse. La guerra. Non c'è guerra tra due nazioni McDonald. Benessere e demografia esprimono infatti una elevatissima e positiva cifra politica. E non per caso, ma pour cause, cupi e corruschi bagliori di guerra si sono visti a Est, in un mondo che è ancora, e per ora, «romantico». Le masse. Le masse ci sono ancora, ma sono passive e amorfe, non più il soggetto collettivo attivo che per un secolo ha storicamente incarnato la mistica e l'azione politica: la «ribellione delle masse», la «dittatura delle masse». Il mito politico dell'arbeiter (la figura eroica del «lavoratore») è infatti progressivamente sostituito dal medium del computer che, agendo in termini «periferici», destruttura la vecchia organizzazione economica e politica dell'esistente. I computer, rompendo l'ordine chiuso degli spazi territoriali, modificano la bilancia dei poteri, a favore delle libertà individuali. La prima vittima di questo processo è la sinistra. Il Una della sinistra è infatti costituito da due elementi essenziali e tra di loro legati: il «progresso» e il «collettivo». É un Dna che si sta dissolvendo. Il progresso non è più di sinistra, perché non è più collettivo. A partire dall'800, progresso e collettivo si sono combinati e sublimati in due strutture essenziali, lo Stato e la fabbrica. Ora non è più così. lo Stato. La sinistra ha creato l'Etat provvidence e l'Etat provvidence ha creato la sinistra. Lo Stato è destinato a fare la fine del dinosauro, macchina politica leviatanica incapace di sopravvivere in un ambiente radicalmente mutato. La nuova «geopolitica» del mondo mette infatti naturalmente in crisi «creature» di questo tipo, troppo grandi per gli affari piccoli, troppo piccole per gli affari grossi. Perché i grandi flussi migratori dei consumi, dei capitali e delle persone si sviluppano su scala mondiale.
La fabbrica. La produzione è sempre più fuori dalla vecchia struttura produttiva, iconograficamente concentrata intorno alla grande macchina a vapore, intorno alla ciminiera, lungo la linea della catena di montaggio. Le nuove filiere della produzione sono infatti sempre meno concentrate e rigide, sempre più flessibili, esplose su di una pluralità periferica di nuclei interattivi. È così che si rompono i vecchi vincoli e le vecchie gerarchie e si aprono spazi crescenti di autonomia e creatività. Nella scala dei valori contano più le «cose pensanti» delle «cose pesanti», più gli individui, dei vecchi assets industriali. E fuori dal vecchio conflitto tra capitale e lavoro. In sintesi, quello che si sta formando, attraverso processi di distruzione creativa, è un mondo «libertario», non più basato su «Hig Government» e «Big Industry», ma su ampi spazi fisici e virtuali di libertà economica e politica. Tanto la vecchia struttura sociale ed economica era piramidale, verticale, rigida, quanto la nuova struttura sociale ed economica è orizzontale, nodale, federale, anarchica. È questo l'ambiente naturale della destra «libertaria». Un ambiente in cui si celebra il trionfo del mercato e della libertà. Non è l'ambiente della sinistra, perché il progresso non è più collettivo e il collettivo non è più il progresso. Per sopravvivere, la sinistra deve mutare geneticamente. Il futuro della sinistra non è nella «terza via» di Blair e di Clinton, costruita come una somma di banalità e di ovviomi, né liberali, né socialisti. La sinistra nuova è probabilmente a Parigi, nel circolo di «Le Monde Diplomatique». Il nuovo progetto può qui, e forse, essere articolato in un doppio movimento, verso il basso e verso l'alto. Prima scendendo al livello del territorio, nel tentativo di ricostruire la «ville» come una nuova «agora», che superi il dilagante individualismo, ricostruendo o reinventando i legami «collettivi» di solidarietà. E poi salendo verso l'alto, a livello continentale, qui contrastando e non mitizzando le forze estreme del progresso capitalistico consumistico. Aria, acqua dolce, terra e oceani sono beni ancora in attesa di un corretto statuto politico. In questi termini, il futuro della sinistra è in equilibrio tra dimensione federale e dimensione naturale, fra tradizione e utopia. Evidentemente si tratta di una evoluzione radicale, rispetto al «progresso» e al «collettivo» classici. Non per caso, ma pour cause, i «conservatori» verdi sono una tra le forze più vive della sinistra. Con una complicazione, perché quella tracciata in questi termini come linea di sopravvivenza e di avanzamento della sinistra non è una linea esclusiva della sinistra. Sulla stessa linea di rottura, contro la standardizzazione consumistica capitalistica e «americana» del mondo, contro la identificazione del capitale e del mercato come matrice di valori, contro la riduzione dell'individuo a consumatore-tipo, ci sono infatti anche le «leghe». Anche le «leghe» di Bossi, Haider e Blocher reagiscono infatti contro il livellamento consumistico delle diversità tradizionali, storiche e basiche: famiglie e «piccole patrie», vecchi usi e consumi, vecchi valori e vecchie monete. Al fondo c'è qualcosa di molto più intenso che una parodia bigotta della tradizione. Elementi di razzismo a parte, è un misto di paura e di orgoglio, una riserva di memoria, un retroterra arcaico e umorale che è difficile negare, comprimere o sopprimere, in cui «rivive» il romanticismo, se pure in forme non ideologiche e non eroiche. Sinistra nuova e «leghe» hanno dunque, e paradossalmente, qualcosa in comune: la matrice della tradizione. Con differenze non marginali, ma sul resto. Mentre le «leghe» sono più forti nel radicamento alla tradizione e, per complicare le cose, contengono anche fortissimi elementi comuni con la «destra libertaria», la sinistra nuova ha - o, se ci fosse, avrebbe - un suo plus specifico, nel non rivolgersi solo al passato ma anche al futuro: la possibilità di rimettere in gioco l'utopia, il bisogno di assoluto e di sacro. Ma è questo il punto finale della riflessione. Il conflitto tra mondo «americano» e mondo «cristiano» non è infatti necessariamente un conflitto tra masse di individui organizzabili politicamente, come tra le due vecchie opposte polarità della destra e della sinistra, perché può prendere la forma tipica dell'«Inneres Erlebnis», dell'esperienza continua, interna a ciascuna persona. Per questo, come è stato in passato, più degli altri la Chiesa potrebbe avere davanti a sé un grande futuro «politico».