«Non c'è un'intesa tra governo e Fossa»
Saranno gli occhiali, deformanti, del fiscalista. L'abitudine, quo-tidiana, a studiare bilanci. Ma Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze del governo Berlusconi, non perde di vista la partita doppia neanche se parla di politica.
Saranno gli occhiali, deformanti, del fiscalista. L'abitudine, quo-tidiana, a studiare bilanci. Ma Giulio Tremonti, ex ministro delle Finanze del governo Berlusconi, non perde di vista la partita doppia neanche se parla di politica. E così, quando deve spiegare perché l'Italia è in panne, risponde come se avesse a che fare con un conto profitti e perdite. «A determinare la crisi sono state le politiche di risanamento portate avanti dal '92. Fondate su una sola equazione: meno tassi, più tasse. Abbiamo così avuto da una parte lo Stato, tassatore e debitore, dall'altra i cittadini, pagatori e risparmiatori».
Fra D'Alema e gli industriali, però, sembra essere tornato un certo feeling.
«Non me ne sono accorto. Forse c'è stato un processo diverso. È il governo che ha fatto qualche passo verso gli industriali».
E gli imprenditori?
«La verità è che la relazione del presidente del Consiglio all'assemblea di Confindustria mi è sembrata più di circostanza che concreta. Di proposte operati-ve ne ho viste ben poche».
Però, lo stesso Fossa, ha intravisto qualche spiraglio sul versante della previdenza...
«Quello delle pensioni non è un problema che si può risolvere in sede di Finanziaria. Occorre un consenso sociale e i sindacati hanno mostrato tutta la loro mio-pia quando, nel '94, hanno utilizzato in maniera strumentale la riforma proposta da Berlusconi. Per far ripartire il Paese occorre puntare sulla riduzione delle tasse».
Non ha promesso la stessa cosa anche D'Alema?
«Le risponderò solo con poche cifre. Negli ultimi anni è cresciuta fortemente sia la pressione sia l'oppressione fiscale. Dal '92 ad oggi gli italiani hanno pagato 150mila miliardi di tasse in più. Negli ultimi due anni, poi, sono stati pubblicati circa 400 provvedimenti fiscali, uno ogni tre giorni. Le istruzioni per il 730, inoltre, sono passate da 16 a 48 pagine».
Ma ci sono davvero i margini per ridurre le tasse con un debito di 2 milioni di miliardi?
«È la stessa strada che hanno seguito sia paesi ricchi, come gli Stati Uniti, sia quelli più poveri, come la Spagna e l'Irlanda. Avevamo cominciato a percorrerla nel '94, con il governo Berlusconi. E oggi perfino il Senato riconosce che la legge Tremonti non ha provocato perdite di gettito ma un incremento delle entrate».
Qual è la vostra proposta?
«Il ragionamento è semplice: occorre ridurre la pressione e l'oppressione fiscale perché solo così si potranno incentivare i consumi, rimettere in moto l'economia e quindi ottenere maggiore gettito».
Anche D'Alema vuole ridurre le tasse per stimolare i consumi?
«E’ vero. Ma il metodo seguito è completamente sbagliato. Si vogliono abbassare le aliquote utilizzando i proventi dell'evasione. Dimenticando che sono proprio le aliquote alte a spingere i contribuenti a non pagare le tasse. Occorre, invece, una scelta radical-mente diversa».
Cioè?
«Il nostro sistema viaggia su tre gambe. In primo luogo prevediamo un «no tax area», una zona di esenzione per i redditi bassi, la spesa sociale, la famiglia, la casa che stiamo ancora definendo con precisione. Quindi ci saranno solo due aliquote, una del 23% per í redditi fino a 200 milioni e l'altra del 33% per chi supera questa soglia. Ovviamente, an-che per queste categorie, la parte di reddito che rientra nell'area di esenzione non sarà soggetta a tassazione. In questo modo avremo aliquote oneste, ridurremo l'evasione, l'economia si rimetterà in moto perché nelle tasche degli italiani ci saranno più soldi e non ci sarà alcun effetto sul versante del gettito».
D'Alema, agli industriali, ha detto chiaramente che intende completare la legislatura. Ce la farà?
«Al momento credo di sì. Prevarrà l'istinto di conservazione della maggioranza rispetto al logoramento interno. Ma, alla fine, tutto questo potrebbe anche rendere più facile la vittoria dell'opposizione».