Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Padania

Lega, è il momento delle scelte

Tremonti: «Il crollo dell'euro affonda l'utopia di un'Europa competitiva con l'America»

L’Europa delle sinistre, intrisa di concezioni stataliste e burocratiche, non si è dimostrata in grado di rendere competitiva l'Europa rispetto all'America. L'euro, infatti, sta miseramente toccando il fondo e, parlando di casa nostra, la Padania soffre terribilmente le conseguenze di questo fallimento epocale. Per evitare il tracollo definitivo, le forze riformiste e federaliste europee devono riprendere in mano la situazione e la Lega Nord, il primo movimento politico ad aver intuito la crisi irreversibile degli Stati nazionali di derivazione ottocentesca, potrà svolgere un ruolo storico di arto livello. A patto che rifiuti lo "splendido isolamento" politico che l'ha contraddistinta negli ultimi quattro anni. Questo il "succo" del pensiero di Giulio Tremonti, illustre fiscalista e docente universitario, che, in questa seconda parte della lunga intervista concessa a la Padania, parla molto del Carroccio. «All'interno del processo di globalizzazione economica in atto - spiega Tremonti-, un processo irreversibile, le organizzazioni politiche possono agire concretamente per conservare il massimo grado possibile di civiltà e di democrazia. La politica quindi non deve arrendersi allo strapotere dell'economia, altrimenti ci rimettono i popoli. E l'arma migliore nelle nostre mani è quella del federalismo».
Federalismo vuol dire libertà?
«Proprio così. Significa anche organizzazione delle aree territoriali e ricerca di una sovranità superiore, a base contrattuale. È il foedus. È la contrattazione. Lo Stato-nazione non può più garantire questa mediazione e le nuove aggregazioni politiche sono tutte da cercare e da costruire. Dobbiamo farlo e senza perdere tempo».
Scusi, professor Tremonti, la Lega Nord è stata la prima a parlare di federalismo in Italia, ricevendo in cambio, per anni insulti di ogni genere e l'ostracismo dei media di regime...
«Verissimo. Io invece, e non sono il solo, attribuisco alla Lega il primato indiscusso di aver introdotto la "questione federalista" in Italia. Si tratta di una grande Intuizione politica di Bossi, quella di aver riportato in auge uno dei capisaldi della civiltà europea. Alla fine dello scorso decennio soltanto Bossi, in politica, e il sottoscritto, in economia, lanciavano la parola d'ordine del federalismo. Stia attenta, ora, la Lega a non lasciarsi scippare questa parola d'ordine da D'Alema, che in quanto a furbizia non è secondo a nessuno».
Bossi continua a dire che la Lega dovrà andare al governo. Come interpreta le parole del leader leghista, professor Tremonti?
«Vogliamo parlare un po' della Lega? Va bene. Dirò come la penso io. A mio avviso, il Carroccio ha due possibilità, nell'immediato futuro. Può adottare una formula lepenista, oppure può scegliere la formula riformista».
Cosa significa "lepenista"?
«Lepenista significa identificazione di nemici nuovi (al posto dei meridionali gli immigrati), difesa estrema ed eccessiva della tradizione e del territorio, raffigurazione della globalizzazione economica come avversario a tutti i costi della Padania, evocazione di alcuni fattori ancestrali (il dio Po, ad esempio). Se il Carroccio si mette su questo binario, secondo me rischia di allontanarsi dall'intuizione geniale della modernità del federalismo. Il lepenismo non è una novità, sia ben chiaro. Appartiene alla storia dell'Europa, ma non ha un futuro politico, in quanto nel nostro continente, a torto o a ragione, esiste una conventio ad excludendum, un rifiuto concordato di fenomeni di questo tipo. La Lega lepenista può durare nel tempo, questo sì. Ma che fine farebbe il Dna originale del movimento leghista, rappresentato dal binomio modernità-federalismo?».
In alternativa c'è l'ipotesi "riformista"?
«Esattamente. E in questo caso si configura una seconda alternativa: entra nella stanza riformista e trova due "porte", quella del governo D'Alema e quella del Polo. Dietro la “porta" del governo attuale c'è lo statalismo, una visione che tutto è fuorché moderna. Una visione di dipendenza dall'estero, americana soprattutto. Ricordiamoci bene che D'Alema è stato legittimato da Clinton, il quale ha definito il premier post-comunista con il termine di rocky, roccioso. Dietro la porta di Rocky D'Alema Bossi può trovare soltanto la conservazione dell'attuale sistema fallimentare e centralista. Dal 1992 al 1999: abbiamo visto come la sinistra ha inteso il risanamento, soltanto a favore dello Stato tassatore e debitore a danno del privato consumatore, risparmiatore e produttore. Questo modello rigido e dogmatico non credo possa piacere a Bossi e ai leghisti in genere».
Dietro l'altra "porta" c'è il Polo. Ma nel 1994 le cose non sono andate molto bene, ricorda?
«Forse è stato meglio così, forse era ancora prematuro andare al governo dopo i governi tecnici sostenuti da D'Alema. Pur non avendo condiviso i tempi e i modi dello "strappo" leghista che fece cadere il governo Berlusconi, posso dire ora, ex post, che è andata bene così. Adesso però è il momento di voltare pagina, senza rancore».
Lei auspica un'alleanza tra il Polo e la Lega? E An cosa direbbe?
«L'alternativa a questo regime statalista e colluso con gli interessi tecnocratici europei e americani è la rielaborazione di una dialogo tra il centro-destra e il Carroccio. Ci sarebbe molto da lavorare, questo è fuor di dubbio, ma perché non provarci, senza rancori inutili? Bisogna sedersi intorno ad un tavolo e definire i principi essenziali di questa eventuale collaborazione. Non chiamiamola alleanza, per adesso. Basterebbe un incontro franco per fissare paletti precisi, di modo che sia il Polo che la Lega non perdano la loro ragione d'essere. Per quello che riguarda An , non vedo grandi problemi. Non è più quel partito demonizzato da tutti nel 1994. A livello europeo An è stata accettata tra i gollisti francesi, per esempio, e la concezione statalista si è molto annacquata».
Sarà...
«Vede, bisogna ormai ragionare in termini europei, dove esistono, semplificando il ragionamento, due grandi blocchi di partiti, quello laburista e quello popolare. Anche se le differenze tra i conservatori inglesi e il centro-destra tedesco sono chiari, la matrice comune è una sola. La Lega potrebbe svolgere quell’importante ruolo incarnato in Baviera dalla Csu di Stoiber, un movimento fortemente radicato sul territorio, con forti spinte autonomiste, ma fiancheggiatore del centrodestra federale, la Cdu».
Lei pensa veramente che il Sud potrà liberarsi dalla tradizionale politica assistenzialista?
«L'equazione Mezzogiorno uguale assistenzialismo a mio avviso deve essere rivista. Ricordo quando, insieme a Roberto Maroni, ci recammo a Bari e a Molfetta: ci siamo resi conto entrambi che anche al Sud esiste un fermento ed un desiderio di rinnovamento molto sentito e diffuso. Dobbiamo fare il possibile per aiutare i meridionali ad affrancarsi da un regime centralista ormai scavalcato dalla forza dell'Europa. Ma cominciamo da quassù, dal Nord. Unendo le forze del Polo e della Lega».