Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Stampa

L’economia non vabene. E i privati anche peggio

Gli anni ’90 sono stati, e sono ancora, un «triste decennio».

Gli anni ’90 sono stati, e sono ancora, un «triste decennio». Secondo l’onorevole D’Alema, si tratta di un decennio governato dalla sinistra. In specie, governato in continuità da Amato, Ciampi, Dini ed infine da lui. A parte la sbiancatura dalla «foto di gruppo» dell’onorevole Prodi (tecnica, questa, che si usava a Mosca negli Anni 30), per eliminare il rivale, il resto è vero. È vero e si vede. Un decennio è un tempo sufficientemente lungo per fare un bilancio.
L’Italia sta scivolando verso il basso sui due piani paralleli, della politica e dell’economia. Politica ed economia si pongono su due piani paralleli, perché, dopo la fine del «romanticismo» (la cultura che ha nobilitato, ma anche insaguinato, il ‘900), con l’avvento del «consumismo», la politica tende sempre più ad avvicinarsi all’economia. E viceversa. Può piacere o no (a me non piace). Ma è così.
La politica italiana fa sempre più schifo. Soprattutto i «ribaltoni», le pratiche di palazzo che creano governi senza maggioranza e lasciano le maggioranze senga governo, hanno svilito e svuotano la politica. All’estero, l’astensionismo è fiducia tacita nella politica. In Italia è, all’opposto, schifo esplicito per la politica. Se non la secessione dall’Italia, è in corso, via secessione dal voto, la secessione dall’idea dell’Italia. Nel medio andare, la pagheremo tutti.
L’economia italiana non va bene. Vanno bene (forse) i conti pubblici. Non vanno bene i conti privati. È una differenza che non può durare. Infatti, se i conti privati non vanno bene, alla fine anche i conti pubblici non vanno bene. Molto della crisi economica italiana, che pare una crisi più «strutturale» che «congiunturale», dipende dalla politica fatta, più o meno, a partire dal 1992, per il cosiddetto «risanamento» dei conti pubblici.
La filosofia politica del Trattato di Maastricht, concentrata nel parametro-chiave del 3%, è: meno Stato, più privato. In Italia, è stato fatto l’opposto. La formula «tasse alte – tassi bassi» ha favorito lo Stato, tassatore e debitore. Ma ha penalizzato il privato, produttore, risparmiatore, consumatore.
Cominciamo dalle tasse. L’arte di tassare, secondo il ministro delle Finanze del Re Sole (che se ne intendeva), consiste nel prelevare dall’oca la maggior quantità di piume, con la minor quantità di strilli. La differenza, da allora, è che l’oca non solo può strillare, ma può anche volare via (oltre confine).
Va poi aggiunto che alle tasse normali si aggiungono le tasse occulte (per la verità, neanche tanto occulte), costituite da un eccesso di leggi e decreti, che aumentano i costi e vincolano l’economia, in nome di un’ideologia (di sinistra) secondo cui non abbiamo il diritto, ma addirittura il dovere legale di essere felici (a partire dalla normativa sui servizi igienici nei luoghi di lavoro).
Dall’altro lato, la discesa dei tassi di interesse (che, per la verità, si è verificata in tutto il mondo) è stata un vantaggio per lo Stato, ma uno svantaggio per tutti gli altri.
Per circa trenta anni, sui «bot» gli italiani hanno costruito la «pensioncina parallela» (l’altro Welfare State) e, nel durante, hanno finanziato una parte (considerevole) dei loro consumi. Ora, tassi di interessi nominali riconosciuti sul risparmio intorno al 3%, con un’inflazione doppia di quella europea (e probabilmente maggiore di quella che dice il governo, basta quardare le «bollette»), portano vicino a zero la remunerazione reale del risparmio. Così alterando «progetti di vita» personali ed abbattendo la domanda complessiva di servizi e beni di consumo (di qui, la crisi economica in atto nel Paese).
Il risanamento poteva essere fatto diversamente, combinando il rigore con lo sviluppo. Come, per esempio è stato fatto nel 1994, detassando linearmente e fortemente gli investimenti produttivi (non, come ora, imponendo alle imprese di fare il giro dell’oca). Allora come ora, sono i conti privati che devono essere messi a posto, passando dalla moneta all’economia, dalle tasse allo sviluppo.