Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Italia Oggi

Il peso fiscale per le famiglie è salito di 7 mln in sette anni

L'ex ministro delle finanze, Giulio Tremonti, spiega le ragioni della crisi del sistema tributario ed economico italiano

Dal 1992 le imposte per ogni famiglia italiana sono aumentate di più di 7 milioni di lire. È quanto ha affermato Giulio Tremonti, ex ministro delle finanze nel governo Berlusconi nell'intervista rilasciata a ItaliaOggi.
Domanda. Come si pone lo sviluppo dell'Italia nello scenario europeo?
Risposta. Dal 1992, rispetto all'Europa, l'Italia ha avuto il più basso tasso di sviluppo e il più alto tasso di disoccupa-zione. Negli ultimi anni i dati di sviluppo italiani A sono stati la metà rispetto a quelli dell'Europa.
D. Quali le ragioni?
R. L'Italia si trovava già in crisi. A peggiorare le co-se sono arrivate prima la crisi asiatica e poi quella dei Balcani. Queste ultime quindi non sono state le cause scatenanti della crisi italiana. Infatti, l'ultimo dato sull'andamento economico italiano, peraltro disastroso, è relativo all'indice Istat di gennaio-febbraio "1999. La crisi italiana è strutturale. Le cause della crisi sono da ricercare nel movimento dei conti pubblici. In sostanza a vantaggio dello stato e a svantaggio dei privati. La pressione fiscale è aumentata dal 1992 di 150 mila miliardi di lire. Facendo due conti su ogni famiglia italiana pesa un incremento di imposte pari a più di 7 milioni di lire. Questo perché il sistema aliquote italiane rispetto a quelle europee. In sintesi noi paghiamo tasse europee ma :abbiamo servizi africani.
D. Quali sono stati i criteri di risanamento della politica fiscale italiana negli ultimi anni?
R. Il «risanamento» è Istato basato sulla formula tassi bassi e tasse. alte è stato fatto per 2/3 minori tassi 1/3 maggiori tasse per il resto la spesa pùbblica corrente è rimasta invariata. Questa formula ha favorito lo stato debitore e tassatore e ha sfavorito simmetricamente il privato produttore, consumatore e risparmiatore.
D. Cosa significa tassi di interesse bassi?
R II fatto che i tassi di interesse siano scesi in modo drammatico non è solamente una realtà italiana perché la tendenza alla discesa è generalizzabile a tutto il mondo. Avere tassi di interesse bassi va bene allo stato italiano perché essendo molto indebitato non può che guadagnarci.
D. Ma per i cittadini?
R. In Italia c'è una propensione al risparmio che è inversamente proporzionale rispetto alla fiducia verso le strutture pubbliche. Quello che attualmente vediamo è estremamente drammatico. Un titolo del debito pubblico italiano rende il 2%. Mentre l'inflazione «dichiarata» è pari all'1,5%. Ma il tasso di inflazione, oggi, è quello calcolato non tanto sui beni di consumo ma sui servizi, come per esempio ferrovie e telefonia o sulle bollette del gas e dell'elettricità. Questo però sposta il valore dell'inflazione a livelli più alti rispetto all'1,5%. Quindi la causa principale della crisi italiana sta nel fatto che il risparmio non rende più nulla.
D. Ma allora secondo lei dove il governo italiano ha sbagliato?
R. L'aumento delle tasse. Da un lato lo stato non da più interessi sui Bot e dall'altro aumenta la pressione fiscale. Dal 1992 ad oggi su ogni famiglia pesano 7,5 milioni di lire di imposte in più. Ma a mio parere non bisogna guardare solo di quanto so-no aumentate le tasse ma anche come sono aumentate. Con la riforma fiscale del 1971/1973 aveva due obiettivi specifici: in primo luogo l'introduzione dell'Iva e poi l'introduzione della progressività della tassazione personale. Nel ‘94 quando ha progettato la riforma fiscale (nel governo Berlusconi Giulio Tremonti era ministro delle finanze, ndr) gli obiettivi da perseguire erano tre: passare dalla complessità alla semplicità del sistema fiscale, dal centro alla periferia e dalle persone alle cose. Per quest'ultima ipotesi è infatti più opportuno ridurre la tassazione sui redditi aumentare quella sulle cose. È meglio tassare la massa di risparmio raccolta (che è una «cosa») piuttosto che il capital gain in capo al singolo. Infine, terzo obiettivo era quello di tassare dal centro alla periferia introducendo così una forma di federalismo fiscale.
D. E l'attuale riforma fiscale?
R. La riforma del governo attuale aveva sostanzialmente annunciato due obiettivi e uno occulto. I primi due, che a mio giudizio non sono stati raggiunti, sono: l'introduzione dell'Irap e la semplificazione del sistema fiscale. In compenso è stato raggiunto un terzo obiettivo più nascosto: far pagare le tasse al ceto medio produttivo. Quando a suo tempo proposi la legge che detassava gli utili delle imprese e dava primi alle imprese che assumevano giovani oppure incentivi a chi intendeva avviare un'attività, ci venne risposto che questa legge faceva perdere gettito.
D. Cosa ne pensa della riforma del sistema sanzionatorio?
R. È una discriminazione «contro il popolo della partita Iva». basti pensare alle sanzioni personali. Non solo inflitte alla società ma anche al singolo rappresentante.
D. In un suo intervento qualche mese fa lei definiva l'Irap come un'imposta sbagliata. E ancora di quella opinione?
R. Assolutamente. L'Irap è un'ottima imposta qualora si consideri una impresa molto patrimonializzata, con un parco robot e poco personale. Ma l’Irap penalizza le pmi che sono le uniche realtà che producono ancora forza lavoro.