Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Giornale

Il massimo della doppiezza

C’è qualcosa che manca, qualcosa di vuoto nella fenomenologia politica di Massimo D'Alema.

C’è qualcosa che manca, qualcosa di vuoto nella fenomenologia politica di Massimo D'Alema. Secondo lui è un «deficit di comunicazione». In realtà è un «deficit di doppiezza». Palmiro Togliatti teorizzava, sublimava, incarnava la «doppiezza». La vocazione organica alla doppia verità, la paranoica duttilità tipica di chi riesce a vivere solo dicendo l'opposto di quello che pensa, solo facendo l'opposto di quello che dice. Gli riusciva piuttosto bene. Massimo D'Alema tenta di replicare l'esercizio, ma è costretto a farlo su di un campo diverso, avendo compiuto un doppio passaggio: «from Marx to Market», dalla rivoluzione al governo. Ed è qui che si incarta, perché i numeri sono più rigidi delle idee. Perché il pallottoliere non è manipolabile. Perché «doppiezza» e «partita doppia» suonano simile, ma sono due cose molto diverse. L'una esclude l'altra. Lasciamo perdere i passaggi letterari dell'ultimo discorso di D'Alema, come quello ormai celebre sull'incremento dei «contatti Internet» verificatosi durante il governo D'Alema e perciò merito del governo D'Alema. È infatti, questa, solo la replica del celebre passo letterario sul selvaggio che si sveglia, assiste al sorgere del sole e conclude: il sole è sorto perché io mi sono svegliato: «post hoc ergo propter hoc»! Tratto dagli elenchi sofistici, è solo un falso modo di argomentare, non logico ma paralogico, non causale ma casuale. Stiamo piuttosto sui numeri. E qui facciamo un doppio «test», di tipo doppiezza-verità, su due temi chiave del discorso di D'Alema: le tasse e la povertà. Primo «test»: le tasse. Mettiamo in contatto il presidente del Consiglio con il suo ministro delle Finanze. Ipotizziamo un «dialogo» tra i due. Primo personaggio, il presidente D'Alema (Atto Camera n. 645, 18 dicembre 1999): «... la pressione fiscale è scesa… ed è destinata a scendere ulteriormente a partire dal 2000». Secondo personaggio, il ministro Visco (Camera dei deputati, commissioni riunite Bilancio e Finanze, audizione da ministro delle Finanze, 17 novembre 1999): «Nel periodo gennaio-settembre 1999 gli incassi erariali sono ammontati a circa 385.700 miliardi, a fronte dei 358.000 miliardi realizzati nel corrispondente periodo dello scorso anno, evidenziando, come rilevabile dalle informazioni contenute nella Tabella 1, una crescita di circa 7,7 punti percentuali, circa 27mila miliardi in termini assoluti... Ne deriva che sulla base dei risultati conseguiti nei primi nove mesi dell'anno, il gettito tributario presenta un tasso di crescita superiore a quello previsto su base annua (Dpef del proprio '99)». E sono questi, in realtà, dati approssimati per difetto. Secondo la «Trimestrale di cassa» nei primi nove mesi dell'anno le entrate fiscali sarebbero infatti salite non del 7,7%, ma addirittura del 14,7%. Ingenuamente, si potrebbe supporre che uno dei due mente. In realtà, siccome Visco non ha smentito D'Alema, plaudendolo anzi in Aula, si deve concludere che mentono tutti e due, non l'uno all'altro, ma entrambi ai cittadini. Il nucleo evidente del falso, l'insufficiente tasso di «doppiezza» applicata, si trova nel fallito tentativo di dare corpo al mitico paradosso fiscale dell'«illusione finanziaria». Una magia per cui le tasse salgono, ma la gente dovrebbe essere comunque contenta, suggestionata dal messaggio contrario. Il governo fa in specie questa operazione: A+B-C. Dove A è il gettito fiscale del 1998, B è il supergettito del 1999, C è la riduzione del 2000. vero che ora il governo fa B-C, ma è anche e soprattutto vero che prima ha fatto A+B. Essendo B maggiore di C, l'effetto finale è quello tipico di una truffa fiscale. Più in dettaglio, è vero che nel 2000, per effetto della «finanziaria», saranno «restituiti» circa 10.000 miliardi di tasse. Ma è anche e soprattutto vero che nel 1999 sono stati prelevati da 30.000 a 50.000 miliardi di maggiori tasse. L'uso del pallottoliere consente di verificare che restituire dopo e meno, vuol dire incassare prima molto di più: qualcosa di enorme che va da 20.000 a 40.000 miliardi di maggiori tasse. Ne vale l'argomento che si tratta di recupero dell'evasione. Il recupero dell'evasione è infatti seriamente stimabile per cifre molto più modeste e, tra l'altro, è soprattutto dovuto agli «studi di settore» e all'«accertamento con adesione», introdotti dal governo Berlusconi e a suo tempo contrastati proprio da chi ora governa. La verità è che in questi anni, chiamandolo «riforma», si è sistematicamente attivato e messo a regime un infernale e recessivo meccanismo fiscale di pompaggio di denaro, dalle tasche dei cittadini alle casse dello Stato. Un meccanismo in parte voluto, attraverso una pletora di microinterventi. Per esempio, uno tra i cento esempi possibili, limitando la deduzione fiscale del costo dell'auto degli agenti di commercio, come se per questi viaggiare fosse divertirsi e non lavorare. In parte un meccanismo casuale, ma fiscalmente sfruttato, come nel caso dell'inflazione, che fa salire, e ben più del tasso «ufficiale» di inflazione, il costo dei beni e dei servizi e dunque e di riflesso anche il relativo carico fiscale. In questo contesto, inevitabilmente, la truffa sarà continuata anche nel 2000, il governo farà una finanziaria che «riduce le tasse», essendo queste automaticamente cresciute, per una cifra molto superiore a quella «restituita», in corso d'anno. In questi termini è evidente che non c'è doppiezza o mezzo di comunicazione o effetto di illusione che possa convincere il cittadino del fatto che il falso non è falso, che le tasse scendono invece di salire. Più che nella litigiosità della sua maggioranza, è in specie in questo campo, nella forma recessiva del mancato sviluppo economico, che si rende evidente il lento suicidio del governo. E, per sua mano, il lento declino del Paese. Quest'anno, il Pil è cresciuto solo dell' 1%, le tasse più del 7, 7%!
Secondo test: la povertà. La scena che si apre è solo parzialmente diversa dalla precedente. Primo personaggio, presidente D'Alema (Atto Camera, citato): «l'area della povertà, dopo anni, si è contratta, sia pure leggermente, scendendo dal 12% all'11,8%... segnali positivi che secondo la Relazione del Cnel sono destinati a incrementarsi». Il coro (Censis, 33" «Rapporto sulla situazione sociale del Paese» con il patrocinio del Cnel): «Ed è proprio l'emergere di un disagio diffuso, che interessa un'area del corpo sociale ben più ampia di quella del disagio materiale, uno dei fenomeni chiave del '99. Come è noto la dimensione della cosiddetta povertà relativa, stimata dall'Istat nel 1998, era pari all'11,8% delle famiglie (pari al 13% della popolazione)... Ad essa si aggiunge un ulteriore 7,8% che si colloca di poco al di sopra (20%) della soglia di povertà. Complessivamente, dunque, l'area del disagio economico può essere stimata intorno al 19,6% delle famiglie. Tuttavia numerose indagini Censis condotte nel 1999 indicano la presenza di un malessere di dimensioni ben più ampie». Uno dei due soggetti formula una «doppia» rappresentazione della realtà. Purtroppo per i più deboli che, se hanno la speranza di uscire dal loro stato di sofferenza, non è con le statistiche, ma con lo sviluppo.