Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- La Padania

Hanno avuto paura della Padania

Tremonti: accettare il Bel Paese in Europa fu una decisione politica, per evitare la tensione interna

Ci hanno raccontato un sacco di frottole, i vari Prodi, Ciampi e compagnia tecnocrate cantante, al momento di brindare per l'ingresso dell'Italia nell'Unione monetaria europea. Se lo scalcagnato Belpaese, dai conti pubblici disastrosamente in rosso, è riuscito a partecipare alla nascita dell'euro, i meriti non sono dei suoi "timonieri" e delle ricette economiche in grado di agire da balsamo sulla struttura finanziaria pubblica. La scelta di imbarcare anche l'Italietta di fine secolo è stata prettamente "politica", come spiega in questa lunga intervista a tre puntate il professar Giulio Tremonti. «Parlare d'Europa significa in questo decennio parlare di Maastricht - spiega il noto fiscalista -. E Maastricht significa essenzialmente un progetto di rigenerazione del Vecchio Continente per metterlo in grado di competere dopo l'avvento dell "economia-mondo", cioè di quella che comunemente si chiama globalizzazione».
Maastricht ha avuto anche qualche valenza politica?
«Il parametro del 3% ha un'enorme valenza politica. Significa che per ogni 100 lire di spesa pubblica solo 3 possono essere fatte a debito. Ovvero, per semplifica re: meno Stato e più privato».
L'opposto di quanto fatto dal governo italiano in questo decennio...
«Proprio così. Il “risanamento" all'italiana si è basato sui due terzi di tassi e un terzo di tasse. Nella partita ci ha guadagnato lo Stato debitore e tassatore, ci ha perso il privato produttore, consumatore e risparmiatore».
Malgrado ciò l'Italia è entrata nell'Uem. Come mai?
«Nel triennio fondamentale per l'Italia che va dal 1996 al 1998 si verifica ovunque la riduzione dei saggi di interesse, a causa della nuova struttura dell'economia. In quei tre anni è venuto meno il differenziale italiano: lo Stato italiano, fortemente indebitato, viene enormemente avvantaggiato dalla caduta dei saggi d'interesse. L'Italia era costretta fino quel momento a pagare sul suo debito pubblico un premio di rischio, ovvero tassi d'interesse più alti degli altri. Con la decisione politica di annettere Roma nell'euro, il differenziale scompare».
Perché sarebbe stata una decisione politica?
«Perché si decise di costruire l'Europa sulla più ampia possibile base geopolitica. Sono così rimasti fuori i Paesi che non vo levano entrare (l'Inghilterra) e quelli che proprio non potevano (la Grecia)».
L'Italia venne graziata, professore?
«Esiste una sorta di "dispotismo illuminato" che muove le decisioni monetarie ed economiche europee. Queste èlites, spinte da vari motivazioni, hanno premiato l'Italia e l'hanno ammessa nel consesso dell'euro».
Una decisione presa dall'alto, quindi?
«Grazie alla rimozione del differenziale negativo italico, tengo a ribadirlo. Ma per fare una simile operazione doveva essere pressoché certo che la lira sarebbe scomparsa nella moneta europea».
Prodi e la sua cricca ha sempre giurato che i conti pubblici erano ormai risanati...
«Tutte storie. Nessun bilancio risanato, se non attraverso quella fondamentale scelta politica da parte del "dispotismo illuminato" monetario. Non è stata cioè in questo caso l'economia ad aver influito sulla scelta politica, ma esattamente l'inverso. E immediatamente i banchieri centrali elogiarono l'ingresso italiano paragonandolo a quello di una Ferrari».
Quali sono i fattori che hanno condotto alla scelta di includere l'Italia nell'Uem?
«Due classi di fattori, uno di politica pura: l'Europa non è solo monetaria, ma anche storia, cultura, democrazia. L'altro è stato un calcolo economico, fondato sulla domanda: cosa succede se l'Italia non entra nell'euro? Certamente si sarebbe verificata una tensione interna all'Italia molto forte, con il Nord che avrebbe incolpato la palla al piede del Sud per la mancata partecipazione».
Sarebbe insomma nata la Padania, professore, come dice Bossi?
«Sicuramente il Nord non avrebbe perdonato a Roma questo fallimento storico. E’ molto probabile che nei vertici di Bruxelles la crisi politica, economica e geopolitica in Italia costituiva un vero pericolo per l’unità continentale. Senza dimenticare che la forza economica della Padania, con la lira al di fuori dell’euro, avrebbe potuto creare grossi grattacapi in termini di concorrenza agli industriali tedeschi, ad esempio».
Gli industriali germanici, temendo un “Giappone padano”, avrebbero esercitato pressioni per includere l’Italia intera (che non fa paura a nessuno) nell’euro?
«Potrebbe essere andata proprio in questo modo. Anche se la Bundesbank era contraria».
Quindi ha ragione Bossi quando spiega che è stata l’Europa a fermare il processo di autodeterminazione della Padania, per paura della sua concorrenza?
«E’ un discorso un po’ troppo semplicistico, ma non sbagliato a priori. Specialmente per il futuro, anche immediato».
Cosa vuol dire?
«Fatta la moneta, non si è fatta ancora l’Europa politica, che è invece necessaria. Andiamo incontro ad una fase di importanti cambiamenti politici, il processo è soltanto agli inizi, ne vedremo delle belle».
E la Ferrari-Italia potrebbe restare senza carburante, ovvero senza il Nord?
«Tutte le ipotesi sono plausibili. E’ stato giocato soltanto il primo tempo della partita europea, dove la scelta politica è stata quella di includere l’Italia e sistemare i suoi conti pubblici. Ma la partita è ancora lunga e la palla, come si dice, è rotonda».